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Nei mesi trascorsi ci siamo interessati di come il vento generi portanza attraverso le vele e come quest’ultime interagiscano tra loro.
Cambiamo adesso prospettiva e ci concentriamo su cosa succede al di sotto della linea di galleggiamento, il regno dell’idrodinamica: come cioè la carena e le appendici influenzano la velocità della nostra imbarcazione. Si tratta di un tema molto vasto che coinvolge concetti a volte difficili da digerire, per questo motivo l’approccio sarà graduale, a volte didascalico e per questo non me ne vogliano i lettori più esigenti.
Lo scafo di qualsiasi mezzo navale o nautico è progettato per soddisfare due esigenze precise: trasportare un carico a destinazione e nel minor tempo possibile. Questo implica che la sua forma deve essere in grado di sopportare un certo peso ed avere una forma tale da necessitare la minor potenza possibile per spostarsi da un punto all’altro. Di questi temi si occupa l’architettura navale che descrive le forme dei galleggianti, ne caratterizza la statica e ne descrive la resistenza al moto.
Il piano di costruzione, che fornisce una rappresentazione dello scafo secondo piani differenti (orizzontale, verticale e laterale), rappresenta il punto di partenza per la valutazione di alcune delle caratteristiche più importanti di qualsiasi scafo.
La tabella delle carene dritte
Attraverso una serie di calcoli viene ricavata la tabella delle carene dritte all’interno della quale, per una serie di immersioni corrispondenti ad altrettanti piani di galleggiamento, è possibile trovare importanti informazioni come il dislocamento dello scafo (corrispondente alla spinta di Archimede) e le coordinate dei centri di spinta (dove è applicata la spinta di Archimede) e di gravità dove si considera applicata la risultante di tutti i pesi.
La posizione reciproca del centro di spinta (B) rispetto a quella del centro di gravità (G) ha un ruolo determinante nelle caratteristiche di stabilità del mezzo.
La forma della carena determina la resistenza dello scafo al moto e della potenza necessaria per la propulsione alla velocità richiesta. Tradizionalmente le prove in vasca su un modello in scala hanno rappresentato il gold standard per la determinazione della resistenza totale del mezzo. Un modello viene trascinato in acqua a densità e temperatura note fino a raggiungere la velocità richiesta, viene quindi misurata la forza esercitata che corrisponde, appunto, alla resistenza del mezzo.
Idrodinamica – Il ruolo della CFD
Attualmente si è consolidato l’utilizzo della fluidodinamica computazionale (CFD) che, attraverso la soluzione numerica di un set di equazioni, permette di ottenere risultati confrontabili con le prove in vasca navale a costi minori e con maggiore flessibilità di utilizzo. L’utilizzo di modelli tridimensionali dello scafo realizzati da un computer, al posto dei modelli in scala costruiti fisicamente, consente una maggiore semplicità nella modifica di particolari progettuali e della verifica quasi immediata degli effetti sul moto dell’imbarcazione.
Si usa normalmente suddividere la resistenza di uno scafo nelle sue componenti che, nel caso delle imbarcazioni a vela possono essere così suddivise: componente dovuta alla viscosità dell’acqua e componente residua legata principalmente alla formazione di sistemi d’onda da parte della carena. In condizioni di barca sbandata e mare formato vanno considerati ulteriori termini dovuti a sbandamento, e moto ondoso presente nella zona. Si considera un ulteriore termine, la resistenza indotta, associata al movimento laterale dello scafo in presenza di scarroccio.
Il coefficiente di attrito e la resistenza
La componente legata alla viscosità dell’acqua si manifesta come forza di attrito, espressa attraverso un coefficiente di attrito che viene calcolato dalla formula:
Come tutte le quantità legate alla resistenza viscosa, anche il coefficiente di attrito dipende dal numero di Reynolds Rn: una quantità adimensionale molto usata nella dinamica dei fluidi sulla quale torneremo più avanti.
Per conoscere il valore della componente di resistenza dovuta all’attrito e’ necessario moltiplicare il coefficiente per la velocità al quadrato, la densità dell’acqua e la superficie bagnata dello scafo.
Il tutto è espresso dalla formula:
Il calcolo teorico della resistenza residua dello scafo può essere effettuato mediante l’utilizzo delle serie di carene come quella di Delft (una serie di carene prodotta dall’Università olandese di Delft per cui è stata valutata la resistenza. Se progetti uno scafo con caratteristiche simili ad uno della serie anche la resistenza sarà simile, ndr).
Nel corso degli anni sono stati misurati in vasca il valori di resistenza di una serie di scafi e mediante questi valori, utilizzando lo scafo della serie che maggiormente si avvicina a quello di nostro interesse è possibile applicare una formula per valutare la componente residua della resistenza totale.
Il valore numerico della resistenza residua viene ottenuto mediante il calcolo di una formula contenente coefficienti relativi al proprio scafo combinati con altri relativi allo scafo simile della serie. Sono attualmente in corso studi, piuttosto promettenti, relativi all’applicazione del machine learning a questa particolare necessità, che potrebbero rappresentare una interessa evoluzione di un metodo tradizionale.
Fig.1 – Andamento della resistenza totale al variare della velocità per un vecchio scafo di 10 metri IOR senza le appendici.Fig.2 – Componente di attrito della resistenza dello stesso scafo della Fig.1Fig.3 – Componente residua della resistenza totale per lo scafo di Fig.1. Dal confronto tra le tre immagini risulta abbastanza chiaro che a basse velocità domina la componente di attrito della resistenza alla quale si sostituisce la componente residua a velocità più alte.
Idrodinamica e foil
L’analisi degli effetti delle appendici consegue la valutazione della resistenza dello scafo; entriamo però in un territorio dove le innovazioni degli ultimi anni stanno cambiando radicalmente l’approccio progettuale. L’avvento dei foil in particolare ha trasformato radicalmente le possibilità degli scafi in termini di velocità facendo raggiungere performance prima impensabili. Abbiamo assistito a regate, come quelle di Coppa America in cui il contatto della carena con l’acqua è quasi occasionale. Di questo tema però parleremo nei prossimi mesi.
Chi è il nostro “prof”
*Paolo Andrea Gemelli è docente di Architettura Navale presso il corso di laurea in Design del Prodotto Nautico dell’Università di Genova. Dal 1999 ad oggi si è occupato di sicurezza marittima con particolare riferimento al weather routing ed all’intelligence navale. È membro del panel di esperti della European Maritime Safety Agency (EMSA) e dell’Associazione Italiana Analisti di Intelligence e Geopolitica.
1 commento su “Idrodinamica di una barca a vela. Carena e resistenza”
gino
Detto in parole semplici gli scafi Ior , avendo minore lunghezza al galleggiamento ,raggiunta una velocità tale che si forma una sola onda da prua a poppa ,cominciano poi a soffrire di alta resistenza all’aumentare della velocità o potenza propulsiva . Una barca Ior a condizioni di vento non sostenute spesso hanno la meglio su scafi più moderni che hanno maggior lunghezza al galleggiamento e quindi più attrito , Gino – Sorrento
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1 commento su “Idrodinamica di una barca a vela. Carena e resistenza”
Detto in parole semplici gli scafi Ior , avendo minore lunghezza al galleggiamento ,raggiunta una velocità tale che si forma una sola onda da prua a poppa ,cominciano poi a soffrire di alta resistenza all’aumentare della velocità o potenza propulsiva . Una barca Ior a condizioni di vento non sostenute spesso hanno la meglio su scafi più moderni che hanno maggior lunghezza al galleggiamento e quindi più attrito , Gino – Sorrento