Piano di coperta, tutta la verità. Cosa controllare, cambiare e quando
IL REGALO PERFETTO!
Regala o regalati un abbonamento al Giornale della Vela cartaceo + digitale e a soli 69 euro l’anno hai la rivista a casa e in più la leggi su PC, smartphone e tablet. Con un mare di vantaggi.

Dopo la prima puntata sui controlli del rig, Danilo Fabbroni, uno dei massimi esperti rigger italiani e uno dei “guru” del refit, si occupa del deck e vi spiega cosa bisogna controllare, cambiare, modificare sul piano di coperta di una barca nuova, con qualche anno sulle spalle o anzianotta. Scoprirete che c’è tanto da fare sul piano di coperta per averla sempre efficiente e aggiornata.
Tutta la verità sul piano di coperta
Quando rimettiamo piede in coperta dopo esser stati sull’albero per il controllo di rito tiriamo un sospiro di sollievo non solo perché siamo con i famosi “piedi per terra” ma perché tutto quello che vediamo in coperta, tutta l’attrezzatura orizzontale, ci sembra più “facile”, più “a posto” rispetto a quanto visto sull’albero, se non altro perché è decisamente a portata di mano, ben ispezionabile, bene in vista. Abbiamo detto “sembra” e vediamo perché.
Tutto sul piano di coperta ci sembra familiare ed a posto: il tendi-paterazzo a manovella perfetto (ha solo 3 decenni di uso sulle spalle… ); i carrelli del genoa (sì, in effetti le rotaie sono segnate ma “stanno lì”…); i winch intonsi (l’ultima volta che li ho aperti … boh … ma l’avrò mai aperti? Non mi ricordo… tanto girano bene no?); il girafiocco (mi domando se ha “dentro” un cavo per strallo od è auto-portante “come una volta” … chissà…); la centralina idraulica o il tendi-paterazzo idraulico (ma perché? Stanno bene!
Meglio non toccarli … magari faccio dei danni…); la bozzelleria (“dura una vita”…) ed infine le manovre correnti (scotte; bracci per chi li usa ancora; carica-basso; ritenute varie; cime di controllo varie come quella per l’in-hauler o il trasto della randa o la regolazione dei carrelli del genoa, ecc.).
Per finire con le drizze, ovvio collegamento tra attrezzatura di coperta e insieme dell’albero, il rig appunto di cui abbiamo parlato nella puntata precedente.
Piano di coperta – Occhio alla rotaia del fiocco/genoa
Partiamo, per analizzare la situazione del deck plan dal tipico discorso da banchina: “Proprio l’ultima volta che sono stato in barca, lo scorso fine settimana, stavo parlando col vicino di barca ed ero all’altezza delle sartie quando questi mi fa notare che vicino ai miei piedi il carrello del genoa ‘ballava’. Aveva perso, una volta che ci ho guardato bene, una delle due guide di plastica che gli permettevano di scorrere bene sulla rotaia e soprattutto di non segnarla e quindi far andar via la preziosa anodizzazione dell’alluminio, che la preserva dalla corrosione sempre in vigile agguato”.
Se dovessimo rispondere all’immaginario armatore (che poi tanto immaginario non è) lo potremmo rassicurare dicendo che il carrello di sicuro non salta via dalla rotaia senza una ma neanche senza le due guide, ma di sicuro inciderà la rotaia sempre di più, rendendola meno scorrevole quando si cambia il punto di scotta.
E in ultimo, ma neanche tanto, nei trasferimenti a motore risuonerà fastidiosamente a causa del suo continuo “vibrare” in loco. Soluzione? Talvolta le ditte produttrici conservano in magazzino tali guide e con un po’ di cortesia e di insistenza si riesce ad averle, se non in omaggio, almeno spedite a qualche rivenditore della nostra zona, a noi comodo.
Non per pura ripicca, ma il nostro immaginario armatore vede che la barca del vicino ha i carrelli del genoa rinviati ad un paranco che dalla zona delle sartie torna colla cima di comando verso il pozzetto. Bella soluzione. Gli chiede se si trova bene con questa soluzione, al che lui risponde che va bene solo con vento leggero. Infatti nessun tipo di carrello genoa, vecchio o recente (non a sfere per intenderci) che sia, può scorrere su una rotaia a forma di T con brezza: gli attriti glielo impediscono. Con vento medio-forte il carico sul carrello, quando lo si sposta in avanti, può esser facilmente pari addirittura ad un terzo di quello che si trova sulla stessa bugna del genoa. Quindi solo con carrelli che scorrono su rotaie ad X (quindi carrelli dotati di sfere o di rulli circolanti in apposite sedi) si potrà regolarli sotto carico sostenuto.
Per chiudere l’argomento (attenzione! La stessa logica vale per il carrello del trasto della randa) è sin troppo ovvio che pensare di migliorare l’attrezzatura di coperta per quanto riguarda il sistema di rotaie e carrelli genoa il più delle volte diviene impossibile. Svitare le decine e decine di perni filettati che tengono la rotaia al suo posto è assolutamente sconsigliabile. Corrosione tra acciaio dei perni e rotaia (ed eventualmente tra i primi e piastre in acciaio affogate in coperta), teste dei perni che si spezzano sotto l’effetto devastante del cacciavite a percussione, senza dimenticare i costi coinvolti, rendono l’opzione quasi impraticabile.
Piano di coperta – Quando e come intervenire
Ma i carrelli possono tornare nuovi
Questo vale a dire che non possiamo far manutenzione su questa zona? No di certo. Il carrello viene via in genere facilmente dalla rotaia che, anche se provvista di fermi di fine rotaia, possono essere rimossi per avere il carrello finalmente in mano. Magari consegnandolo ad un attrezzatore degno di questo nome. Una buona pratica consiglia di smontare completamente il carrello per verificarne stato di usura dei perni, vedere se sono piegati o meno (il che denuncerebbe l’aver oltrepassato il carico di lavoro massimo); eventuali punti di corrosione presenti (da trattare, se minimi, quindi con paste isolanti come Duralac o TefGel); consunzione della o delle pulegge (da cambiare allora facendole rifare da un tornitore oppure ordinandole nuove se ancora in produzione).
Piano di coperta – Cosa si nasconde sotto l’avvolgifiocco
Terminata la chiacchierata col vicino di barca, il nostro armatore se ne va a prua per vedere una nuova grande barca entrare in porto. Si appoggia al girafiocco ed è in quel momento che si domanda: “ho preso questa barca ed aveva su il girafiocco quindi sono convinto che sia tutto a posto ma ‘dentro’, dentro cosa c’è?”.
La domanda non è peregrina in quanto agli albori del girafiocco (marca Hood, Goiot e Stearn) c’erano in effetti degli attrezzi auto-portanti nel senso che le canale, i profili di alluminio in cui si inserisce la vela insomma, reggevano il carico e facevano funzione di strallo, non serviva il cavo dello strallo.
Se, come in questo caso, non si è mai fatto controllare l’avvolgifiocco, questo controllo va fatto in quanto qualsiasi avvolgifiocco nasconde alla vista lo strallo. Quindi non si può sapere se è in buono o cattivo stato. Fa eccezione a questo discorso il notevole Jiber, il rivoluzionario avvolgifiocco della nostrana UbiMajor che ha lo strallo, in tondino, in vista almeno per il 90% della sua lunghezza. Una volta smontato e revisionato l’avvolgifiocco sarà nostra cura, o quella del rigger avveduto, far sì che la lunghezza perno-perno (tra albero e landa in coperta) sia davvero quella appropriata, affinché la catenaria dello strallo stesso sia la minore impossibile in navigazione (l’argomento è vasto e non è possibile approfondirlo ora).
Negli armi più recenti chiamati performance cruiser – vedi il caso eclatante del Pogo 50’ – il discorso di prima decade per la semplice ragione che in molti casi i girafiocchi non sono più presenti sostituiti dai cosiddetti “frullini”. Altro non sono che girafiocchi senza canale, senza profili. Dei girafiocchi conservano ovviamente la girella superiore; il tamburo inferiore (nella quasi totalità ridotto di altezza, assomiglia al self-tailing di un winch, in quanto la cima di controllo non viene più immagazzinata, ma scorre su se stessa a circuito chiuso. Col grande vantaggio di consentire una base del genoa molto più bassa in coperta, con uno strallo in genere in tessile speciale (del tipo anti-torsione).
Con questo non vogliamo dire che sono esenti da manutenzione (alcuni di questi incorporano cuscinetti industriali aggredibili dalla ruggine e quindi sigillati, il che porta a dire che dopo ogni 2-3 anni vanno controllati e semmai cambiati) ma il fatto che abbiamo “tutto a vista” già permette un controllo.
A proposito del bompresso fisso o amovibile, se ce l’avete
Visto che siamo a prua diciamo anche due parole per chi si è dotato di bompresso fisso o rimovibile o, a maggior ragione chi ha una barca nata col bompresso, quindi ben più recente. Il bompresso auto-portante o no che sia (auto-portante sta a significare che non ha cime di sostegno, né laterali né verticali) è soggetto a carichi altissimi tanto più è lungo e tanto più “cattiva” è la vela che deve sopportare.
Per questo motivo lo ispezioneremo visivamente almeno una volta l’anno e smonteremo le eventuali pulegge e golfari di rinvio delle mura degli asimmetrici ogni due-tre anni almeno.
Piano di coperta – Cosa fare se possedete il gennaker e il Code 0
Visto che siamo in argomento soffermiamoci sulla evoluzione delle vele non bianche, dallo spinnaker in poi. Spinnaker tradotto vuol dire gioie e dolori: tangone che agiva come una implacabile mannaia, doppie scotte, bracci e scotte vere e proprie, caricabasso, amantiglio e chi ne ha più ne metta. Troppe erano le complicazioni e quando nacque la prima alternativa allo spinnaker, il gennaker il successo fu immediato e giustamente lo fu. Non avere il tangone nel caso del gennaker fu l’arma vincente, essendo il gennaker asimmetrico. Ha una balumina fissa ed una ralinga altrettanto fissa quindi lo strambi a mo’ di fiocco (a bandiera o non a bandiera non muta il senso del discorso).
Dal punto di vista del carico il gennaker è decisamente più mite dello spinnaker, sia perché non è mai fatto con tessuto pesante come può essere lo spinnaker (spinnaker da tempesta erano fatti con 2,2 once, in pratica pari al telo di un camion!) sia perché il gennaker non lo porti mai al traverso stretto con brezza sostenuta. Rammentiamo che una balumina con la curva accentuata (si parla di freccia come la massima profondità della curva della balumina) è segno inequivocabile di bassi carichi: ecco il gennaker!
Al contrario, una balumina non certamente dritta ma con poca curva denota carichi alti, ecco il Code 0! Il Code 0 nacque durante un giro del mondo, in regata, quando Chris Dickson approfittando di un buco di stazza se ne uscì con questa vela – il Code 0 – che ha facilmente la superficie di un appartamento, lo spessore di telo da camion e che si è guadagnata il non positivo soprannome di “winch killer” in quanto la sua adozione determinava rotture dell’attrezzatura e del rig non da poco.
Il Code 0, il killer del deck-plan
Infatti se noi passiamo da una barca armata con tangone e spinnaker ad una che usa il gennaker non dobbiamo preoccuparci di niente: se tutto era a posto per lo spinnaker lo sarà anche per il gennaker. Contrariamente se vogliamo usare meno motore possibile, ergo, camminar a vela anche durante le bonaccette mediterranee, di sicuro il Code 0 ci dà una grossa mano anche se in versione non cattivissima come quella che aveva Dickson, ad esempio un cosiddetto A0. Importante capire e sintonizzarsi col velaio su cosa si vuole a vela con questo asimmetrico e altrettanto importante fare un esame di coscienza da soli o col rigger sulla tenuta del vostro piano di coperta, rig compreso. Diciamo rig compreso perché se pensiamo alla puleggia che prima serviva per una drizza dello spi o peggio, del gennaker, ora, col Code 0 o con un asimmetrico “cattivo” potrebbe non bastare più. Ricordiamo brevemente che una puleggia sull’albero per una drizza vede quasi il doppio del carico che c’è sulla drizza a causa della deviazione pari a scarsi 180 gradi!
Bisogna assicurarsi che tanto la puleggia da dove parte la drizza del Code 0 quanto il perno che la sostiene siano adeguati. Stessa cosa in coperta per la mura dell’asimmetrico (a dimostrazione lampante del carico enorme concernente, si vedono paranchi a 2 o a 3 vie impiegati per tesare la mura in questione). Ma l’uso di un asimmetrico da alte prestazioni riserva anche un ulteriore dubbio: siccome viene usato per bordeggiare, per così dire, anche ai laschi (la VMG, la velocità effettiva ne guadagna assai) la strambata avviene perché necessita spesso e volentieri di tanti metri di cima da recuperare, quasi il doppio della lunghezza della barca. Questo può significare che i winch primari, quelli del genoa per intendersi, possono essere non deboli, non sotto-specificati tanto per carico quanto per velocità.
Si rischia di metterci molto tempo a strambare a causa di un diametro non sufficiente della campana del winch. Ad onor del vero il problema è aggirabile ampiamente con un po’ di pazienza, visto che se non si è in regata, tempo se ne dovrebbe avere: lo citiamo soltanto per il fatto che non ci si dovrebbe sorprendere qualora si evidenziasse questa problematica.
Le zone calde della “cappetta” dell’albero e dei rinvii
Prima di lasciare la zona di prua due parole vanno spese per l’eventuale trinchetta che sia fissa o mobile non importa: qui valgono le stesse identiche regole citate per lo strallo-girafiocco, tanto a canale che a frullino. Arretrando verso poppa ritorniamo come al gioco dell’oca all’albero e lì una prima cosa da vedere (con albero passante sotto—coperta) la cappetta: inutile dire che con mare forte non dovrebbe far passare acqua. Un controllo “sotto il vestito” è d’obbligo almeno ogni due anni.
Se la mastra è sigillata con la più moderna SparTite (un blob di colla speciale) vale sempre la pena di guardarci: in entrambi i casi ciò ha valenza anche per le zeppe dell’albero (poppa-prua e laterali se ci sono) che, inutile dire, debbono stare perbenino al loro posto. Nella stessa zona un occhio acuto va dato alla bozzelleria che rinvia le drizze in coperta (con l’eccezione di manovre solo all’albero vecchia maniera). Questi bozzelli sono potenzialmente pericolosi perché nel caso di distaccamento dal loro punto fisso, golfare od altro che sia, partirebbero seguendo la diagonale del carico che si trova proprio ad altezza di testa o di tronco di colui che disgraziatamente sta cazzando la drizza…
Di nuovo, ispezione solo visiva una volta all’anno mentre distaccamento del pezzo, suo disassemblaggio, controllo e rimontaggio ogni due anni.
Le lande, dipende da quanto è vecchia la barca
Sullo stesso livello abbiamo le lande del sartiame laterale, tanto che siano in linea (crocette senza angolazione verso poppa vecchia maniera o quelle angolate, tendenza vincente oggi). Qui il discorso è complesso e lo è in quanto sarebbe arduo se non folle suggerire di rimuovere le lande dalla coperta di qualsiasi barca.
Perciò, personalmente, amo moltissimo la scelta di avere le lande imbullonate a fianco della parte alta dell’opera morta, in fiancata insomma, almeno perché mi stanno ben bene sotto l’occhio vigile del padrone!
Se disponiamo di una barca molto vecchia, ad esempio una risalente agli anni Ottanta, i perni del bulbo, l’asse del timone e la pala stessa e tutte le lande dovrebbero essere soggette ad una analisi tecnica approfondita.
Le drizze? Basta girarle! E gli stopper? vanno puliti
Si dovrebbe anche approfittare del momento per girare le drizze, intendendo con ciò re-impiombare od assicurare il moschettone o il grillo nella parte della drizza che sinora era stata morta, pigra, destinata al solo recupero, così questa parte che non ha quasi subito stress e fatica di lavoro ridà quasi nuova vita alle drizze. Parenti delle drizze sono gli stopper: qui a pulizia delle camme va fatta con regolarità, diciamo una volta l’anno almeno mentre vanno smontati interamente ogni due anni.
Un eventuale problema di questi potrebbe costare caro. Smontaggio, apertura, controllo visivo e successiva ricomposizione con eventuale grasso ed olio sono obbligatori.
Stessa cosa per la bozzelleria che ogni due-tre anni va disassemblata e controllata totalmente: se si hanno volanti strutturali i relativi bozzelli vanno fatti soggetto a tale controllo ogni anno. Per centraline idrauliche o cilindri idraulici a se stanti (paterazzo; vang…) vale anche qui una routine di controllo biennale o triennale.
E poi, cosa fare con i winches
Rimane fuori da questa disamina il grande attore dei piani di coperta, il winchame. Presto detto: mandatorio un controllo, apertura, smontaggio, pulizia, ingrassaggio e sostanze chimiche attinenti, una volta all’anno. Qualora si riscontrasse malauguratamente un pezzo danneggiato non ci si dovrebbe disperare: pezzi del winch non strutturali, come ad esempio parti del self-tailing, possono essere riprodotti talvolta con le stampanti 3d se fuori produzione.
Così come parti strutturali in metallo – tipico l’ingranaggio – può essere replicato sì ad un costo alto, ma pur sempre infinitamente meno dispendioso del prezzo di un winch nuovo di zecca. In genere le ditte nel dopo vendita non hanno problemi a fornire i disegni originali per lo scopo di cui si diceva, altrimenti bisogna ricorrere al reverse engineering e cioè partire dal pezzo gemello che sta sull’altro winch per far generare un disegno in 3d da un bravo disegnatore. Alcuni bravi rigger offrono questo tipo di servizio sul mercato.
*Chi è Danilo Fabbroni, l’esperto di rig
L’autore di questo articolo, Danilo Fabbroni, è un marinaio che ha fatto del “rigger” la sua fortunata professione.
Ha navigato su alcune delle più importanti barche da regata come Brava e partecipato a regate come Admiral’s Cup, One Ton Cup, Sardinia Cup, poi diventa rigger professionista. è stato responsabile dell’assistenza tecnica di Harken e ha tenuto lezioni presso la Facoltà di Ingegneria Navale dell’Istituto Europeo di Design. Ha scritto un best seller nautico, “Rigging”. Ama l’architettura ed è un ottimo fotografo.
Condividi:
Sei già abbonato?
Ultimi annunci
I nostri social
Iscriviti alla nostra Newsletter
Ti facciamo un regalo
La vela, le sue storie, tutte le barche, gli accessori. Iscriviti ora alla nostra newsletter gratuita e ricevi ogni settimana le migliori news selezionate dalla redazione del Giornale della Vela. E in più ti regaliamo un mese di GdV in digitale su PC, Tablet, Smartphone. Inserisci la tua mail qui sotto, accetta la Privacy Policy e clicca sul bottone “iscrivimi”. Riceverai un codice per attivare gratuitamente il tuo mese di GdV!
Può interessarti anche
A cosa servono le porte in una barca a vela?
Lele Panzeri, noto creativo pubblicitario e velista incallito (a proposito, sta organizzando dei corsi di vela creativa per settembre e ottobre sulla sua barca), dopo avervi spiegato perché, secondo lui, l’ormeggio di prua è meglio che quello di poppa, e perché vadano
Guida pratica per armatori evoluti: i consigli del guru per una barca a prova di lunghe navigazioni
Il navigatore e consulente nautico Enrico Tettamanti vi spiega come ottimizzare o scegliere la vostra barca per renderla sicura, comodissima e a prova di lunghe, lunghissime navigazioni. Mettendo a vostra disposizione ciò che ha imparato nella sua trentennale esperienza di
Meteo pratico – Nowcasting: impariamo a leggere quello che ci circonda in mare
Chi naviga lo sa: pianificare è essenziale, ma il mare è vivo e cambia in fretta. Per questo, la meteorologia in tempo reale, il cosiddetto nowcasting, è uno strumento sempre più strategico nella gestione della sicurezza a bordo soprattutto nei
Fatti la “fondina” e quando sei all’ancora stai come un re
Lele Panzeri, noto creativo pubblicitario e velista incallito (a proposito, sta organizzando dei corsi di vela creativa per settembre e ottobre sulla sua barca), dopo avervi spiegato perché, secondo lui, l’ormeggio di prua è meglio che quello di poppa, e perché