Effetto Sinner – L’esempio del tennis da cui la vela italiana dovrebbe trarre spunto

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effetto sinner vela e tennis

Il velista, istruttore e giornalista Lamberto Cesari, attento studioso della “base” e delle sue dinamiche (vi ricordate del suo articolo sulla ricetta per moltiplicare i velisti, in regata e in crociera?) in questo articolo prende in esame il lavoro fatto dalla FITP (Federazione Italiana Tennis e Padel) che ha portato ad avere una generazione di atleti ai vertici mondiali. Il “modello” tennis è trasferibile a quello della vela? Per certi versi si, sostiene Cesari. Siete d’accordo con lui?

Effetto Sinner – Il tennis “modello” per la vela? Sì, ecco perché

In questi giorni di euforia per la vittoria della Coppa Davis da parte di Sinner e compagni ho riletto un articolo dello scorso anno del Post che racconta il lavoro fatto dalla Federazione Italiana Tennis negli ultimi anni per arrivare a questo livello, con una generazione di atleti capace di stare nei primi venti al mondo e arrivare alle fasi finali degli Slam.

Nonostante sia difficile trovare i rapporti di causa effetto, l’articolo indaga sulla riforma del tennis negli ultimi 10-15 anni e con un cambio generale di mentalità, andando a guardare tutti gli aspetti dello sport dalla comunicazione al percorso di formazione di atleti e tecnici.

Di questi temi nel nostro sport abbiamo già iniziato a parlare, e penso soprattutto all’ottimo articolo di Marco Tommasi sul nostro sito che ha sapientemente messo in ordine con dati e nomi la moltitudine di attori nel panorama della nautica italiana, attraverso il coordinamento dei quali una sapiente regia potrebbe davvero avere un impatto su questo mercato tanto frammentato quanto importante.

Tennis e vela. Analogie e differenze

Facciamo ora un piccolo esercizio di fantasia prendendo spunto dall’articolo del Post e vediamo come un “modello” possa essere trasferibile in uno sport così diverso come la vela.

tennis e vela
Tennis e vela. L’argomento del nostro articolo

Per prima cosa si parla dell’aspetto mediatico con l’apertura di un canale televisivo dedicato al tennis. Purtroppo la vela soffre del fatto di essere poco televisiva, lo sappiamo, ce lo diciamo e ce lo dice il CIO, e nonostante i milioni investiti da Russell Coutts e dalla Coppa America rimane forse uno dei problemi più grandi del nostro sport. Questa è a tutti gli effetti la più grande differenza con uno sport come il tennis, che al contrario è lo sport televisivo perfetto e grazie a questo gode di finanziamenti e premi in denaro. Questo breve spazio non è il luogo per affrontare un tema così complesso, ma sicuramente l’arrivo di un team di SailGP italiano (ve ne parleremo in un prossimo articolo, ndr) è una piccola ulteriore goccia che aiuta il nostro movimento.

Ganga Bruni ci ha visto lungo

Mi è piaciuto molto leggere del progetto “campi veloci”, un investimento volto a far giocare di più i ragazzi sui campi dove si compete maggiormente nel mondo (prima gli italiani erano forti solo sulla terra rossa). Viene facile pensare alla similitudine con le nostre condizioni mediterranee o lacustri così diversi ai mari del nord, e alla difficoltà che abbiamo storicamente trovato regatando in Oceano o nord Europa; il risultato sotto alle aspettative in molte classi a Den Haag (dove ad agosto si sono svolti i World Sailing Championships) ne è una prova.

Non dico nulla di nuovo, e penso che questa sia stata una delle intuizioni vincenti del coach Ganga Bruni, che nello scorso quadriennio si è spostato in Italia con la squadra Nacra 17 andando a cercare le condizioni di onda più simili a Tokyo, e i risultati si sono visti con l’oro di Tita-Banti e i nacristi italiani al top della vela mondiale.

Il tennis e i giovani

Nel tennis c’è stata una riforma del settore tecnico, andando a prendere competenze specifiche esterne (mental coach, nutrizionisti, fisioterapisti) e costruendo dei corsi tematici sul tennis in modo da dare loro gli strumenti specifici per lavorare con atleti tennisti. Allo stesso modo si è spinto perché gli ex atleti mettessero in gioco le loro esperienze per aiutare i giovani a non rifare gli stessi errori piuttosto che diventare maestri di circolo. La Federazione vela ha fatto un grande lavoro negli ultimi anni sulla formazione, ma tante competenze specifiche ancora mancano.

Il punto più interessante è quello sul percorso di formazione dei giovani, dove prima venivano selezionati i talenti emergenti e portati al centro CONI di Tirrenia di fatto “strappandoli” al loro percorso di crescita naturale, ora si favorisce una selezione intermedia sul territorio con raduni zonali, dove gli atleti partecipano con i propri allenatori inserendosi gradualmente nell’ambiente federale e vengono accompagnati in questo percorso facendo amicizia e ricevendo il supporto che da soli non potrebbero permettersi. «I passaggi intermedi sono un grosso aiuto, perché alla fine viene fuori una selezione naturale»

Meglio atleti “medi”, ma che siano tanti!

Al momento poi del passaggio al professionismo arriva l’intervento e il supporto della federazione: il tennis è uno sport che richiede dei sacrifici enormi, viaggi continui da un torneo all’altro nel mondo e pochissimi soldi. Non è detto che un talento emergente a 12 anni avrà la mentalità giusta per affrontare tutto questo. Per questo Paolo Bertolucci, ex grande tennista e commentatore televisivo, dice che l’ambizione dev’essere quella di scovare più giocatori “medi” possibili a livello giovanile: «A 12-14 anni io non voglio uno buono, ne voglio sei discreti: lì in mezzo è più probabile che ce ne sia uno con più voglia degli altri che mi diventa un giocatore».

Siamo stati a volte critici su alcuni effetti distorsivi della classe Optimist, ma il lavoro che sta venendo fatto sui raduni interzonali va esattamente in questa direzione.

L’articolo del Post poi parla del grande sforzo fatto per avere tornei Challenger (intermedi) in Italia e “l’effetto traino” delle ragazze italiane, incredibilmente vincenti negli anni precedenti. La Federazione Italiana Vela non è sempre soggetto attivo di ciò che di buono succede ne movimento, ma nella vela oceanica per esempio l’effetto traino è sotto gli occhi di tutti; e speriamo che questo momento favorevole della vela italiana tra oro olimpico, Coppa America e navigatori oceanici possa davvero ispirare i bambini e le bambine di oggi.

Il compito di noi giornalisti e comunicatori è trasferire queste imprese, filtrando nella maniera corretta la scala dei valori nella vela.

Alle istituzioni il compito di coordinare gli enti di promozione, la formazione, e il rapporto con la scuola e la famiglia; il tennis ha dimostrato che tramite una visione di insieme di riesce a creare un sistema di successo.

Lamberto Cesari

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3 commenti su “Effetto Sinner – L’esempio del tennis da cui la vela italiana dovrebbe trarre spunto”

  1. Se è vero che l’”effetto Sinner” può effettivamente essere trainante per portare giovani allo sport della vela, come è stato anche con Alberto Tomba nello sci, mi parte che non si colgano alcune differenze fondamentali fra tennis e vela (e anche lo sci, che ho praticato per diversi anni a livello agonistico).
    Tennis e sci sono effettivamente molto più telegenici, in quanto facilmente comprensibili per lo spettatore anche non esperto. Per tentare di rendere più spettacolare la vela si è dapprima provato, nelle derive e non solo di cambiare il classico percorso a triangolo con il trapezio, accorciando il percorso in modo da avere le barche molto pi+ a contatto, ma ciò ha portato, secondo me, ad un impoverimento della regata dal punto di vista strategico-tattico a quello tecnico-atletico: è piu importante manovrare e condurre bene la barca che fare i bordi giusti e prendere decisioni sul meteo, corrente o quant’altro.
    Ma soprattutto la differenza fondamentale è che, mentre il tennis presuppone per la sua natura stessa il concetto di agonismo (sei tu contro un avversario) nella vela ( e anche nello sci) ciò non è assolutamente vero, in quanto la maggior parte dei praticanti lo fa a livello assolutamente ricreativo e diportistico.
    E’ qui che, a mio avviso, si equivoca sul discorso di ampliare la base dei praticanti. E’ appezzabile sentir dire da Bertolucci che a 12-14 anni preferisce avere 6 “medi” che 1 campione, ma andrei oltre con questo ragionamento: io, a quell’età vorrei si avere 5 o 6 medi, ma soprattutto vorrei averne 5-6 che a 20 anni continuino ad andare in barca, sia ad alto livello agonistico, sia a livello piu basso, amatoriale, come succede in alcune classi frequentate prevalentemente da adulti, come lo Snipe, il Finn e soprattutto il Laser/ILCA, ma ancor di più a livello amatoriale. Ricordo che negli anni 80, quando regatavo in Laser a livello nazionale, giravamo tutta Italia in 25- 30 atleti della XIII zona ( da Trieste a Venezia). C’erano i bravissimi, i bravetti, i medi ed i medio-scarsi ma comunque tutti facevano gruppo, ci si divertivamo come pazzi e quasi tutti hanno in qualche modo continuato l’attività, sia a livello agonistico, professionistico e non, sia a livello amatoriale, crocieristico eccetera. Molti di noi, magari meno competitivi, sono diventati chi istruttore, chi posaboe, chi volontario nell’organizzazione di regate ed eventi, partecipando attivamente alla vita dei circoli, di cui sono la linfa vitale. Alcuni figli di questi non campioni hanno dei figli che invece campioncini lo sono…
    A me duole vedere che nel mio circolo ultracentenario, ma anche in molti altri, in una stagione passano 50-60 bambini per la scuola vela di optimist; continuano in 7-8 a fare agonismo. Le squarde di optimist hanno una decina di piccoli e una decina di grandicelli. Quando passano ad altre classi ne sopravvivono la metè, praticano un’attività frenetica che li obbliga a frequentissime assenze da scuola e, praticamente, a non poter fare altro: Intorno ai 20 anni smettono, perché 15-20 regate all’anno non sono compatibili con lo studio e pertanto, a livello senior, sono 4 gatti.
    Non è un caso che per citare la classe piu’ diffusa, il Laser/ILCA alle regate nazionali a fronte di circa 150 ILCA4 e altrettanti ILCA6 gli ILCA7 sono 20-30.
    Non parliamo poi dei doppi: Nel 420 alle nazionali le barche sono un centinaio, di cui i seniores sono uno o due, il 470 è praticamente sparito. I 29 er sono 50-60 barche, i 49er una decina.
    Mi viene da pensare che i velisti siano una specie in via di estinzione, come i dinosauri.

  2. Daniele Ciabatti

    A parte la minore telegenicita’ della vela rispetto ad altri sport, accentuata dalla innata tendenza dei giudici e delle autorità a farci regattare fuori dalle acque internazionali, credo che un grosso limite ad avere “tanti mediocri” siano i costi: fino a 16 ed oltre si dovrebbe regattare su “catorci” da pochi euro e non su barche ad alte prestazioni ed alti costi che scremano la base non sul talento ma sulla capacità economica. La federazione potrebbe fare molto su questo.

  3. Mahh!!!!….visto i i risultati dei nostri velisti direi il contrario! Olimpiadi, coppa America, solitari …. Vecchia guardia il grande Gio e Malingri.
    Buon vento

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