Rig. Cosa controllare, cosa cambiare e quando farlo – Parte 1
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L’albero e la sua attrezzatura, in una parola il rig, vanno costantemente controllati e nel tempo vanno eseguite sostituzioni di materiale. Danilo Fabbroni*, uno dei più esperti rigger vi guida passo dopo passo per non avere sorprese
Tutta la verità sul rig
Il tema della manutenzione e relativa lista di controllo periodico che permette di mantenere se non in perfetto almeno in “sopportabile” stato un manufatto come la casa, l’automobile e non ultimo, la barca, diventa d’attualità soprattutto nei mesi invernali. Perché si presume che in questo periodo la barca sia a riposo per la maggior parte del tempo. Nel caso dell’automobile i contorni del problema sono almeno all’apparenza chiari, specie se consideriamo le automobili dell’ultima generazione che segnalano, attraverso le consuete infernali app, quando e come si debba far manutenzione inchiodando il povero utente-proprietario alle proprie inderogabili responsabilità del “buon manutentore”!
L’utente si piega volentieri ai richiami della casa automobilistica nel fare i tagliandi di controllo al tempo dovuto, se non altro perché di sovente tutto ciò serve anche per mantenere la garanzia sull’autovettura. Nel caso di un acquisto sul mercato dell’usato la faccenda diventa un po’ più complicata, tant’è vero che non è raro assistere a una valutazione più alta per una macchina che possa dimostrare con cognizione di causa l’aver effettuato i tagliandi dovuti in passato e vieppiù se fatti da centri di assistenza autorizzati, se non addirittura dai concessionari della marca dell’autovettura.
Perché c’è bisogno della manutenzione? Ovvio, anche un manufatto basilare come una capanna necessita della manutenzione, altrimenti andrebbe a ramengo nel breve tempo. Quindi, la risposta è semplice: la manutenzione è la condizione necessaria affinché un “qualcosa” duri quanto di più possibile nel tempo e – non solo – “performi”, si comporti in modo da ottemperare alla sua funzione. Per una barca la funzione è portarci di qua e di là per piacere, giacché questa è la definizione di yachting, sic et simpliciter.
Rig: manutenzione e refit, meglio farla
Quindi da parte nostra la posizione è chiara: o manutenzione o deperimento, la terza via non è data. Per uscire dalla metafora citeremo un fatto accaduto pochissimi anni fa e, purtroppo, non è un fatto isolato: una ex-barca da regata di 14 metri con trenta e passa anni sul groppone di stimata attività tra gioventù corsaiola e media-tarda età crocieristica – sebbene assai sportiva – perde l’albero malgrado tanto l’albero quanto il sartiame fossero stati da poco revisionati. Anzi, il sartiame era stato cambiato diverse volte nel corso dei decenni. La perdita dell’albero del 14 metri è dovuta al fatto che la landa di coperta si è tranciata senza dar nessun preavviso, nonostante, si badi bene, la costruzione dello yacht fosse stata fatta da un cantiere primario su disegno di un architetto navale di gran grido allora.
Stessa sorte è occorsa, più di recente, ad un half ton appartenente alla gloriosa epoca della stazza IOR per lo stesso identico motivo. Ora cosa c’è (o ci dovrebbe essere) di più solido e duraturo di una landa che in fin dei conti è una piastra massiccia il più delle volte di acciaio inox 316? Il problema è proprio questo: tanto più diamo scontato che un pezzo sia solido e duraturo in eterno tanto più rischiamo: la sequela non rara di incidenti di barche che sono state perse in mare a causa del distaccamento del bulbo dallo scafo la dice lunga su questo tema. Se acquistassi una barca con sulle spalle decenni e decenni di esistenza non lo farei mai se non avessi i mezzi per farle togliere bulbo, timone e lande, costi quello che costi, onde controllare il tutto doviziosamente.
Il rig. Che cos’è?
D’altro canto questo scenario è uno scenario limite, estremo: per fortuna non tutti vanno alla caccia di cimeli “storici”. Quindi la seconda domanda che sporge spontanea è: “come mi dovrei comportare con una barca mediatamente usata od addirittura pochissimo usata o meglio, con una barca nuova di zecca?”. Proviamo a vedere la questione passo a passo, mano a mano assieme, con l’avvertenza che qui parleremo di quanto concerne il cosiddetto rig e cioè più semplicemente, in italiano schietto, tutto quello che concerne l’armo della barca, manovre correnti e dormienti (drizze, scotte, sartie, stralli, paterazzi, ecc.) nonché, ovvio, albero, boma, crocette, girafiocco, frullino, bompresso eventuale, tangone se sopravvissuto!, lande ed outrigger per le poche barche che li hanno (specie di “tangoni” messi uno su ogni lato della barca per dare una base al sartiame).
Oltre al rig la nostra chiacchiera verte anche sul completamento di questi “pezzi” e cioè l’attrezzatura di coperta: tutto quello che sta pressappoco “in orizzontale” sulla coperta: winch, rotaie, bozzelleria, idraulica e quant’altro.
Albero, fate come Tabarly
Partendo col rig, si parte dall’albero, ovviamente. Mi vien in mente da dire, anzi da ricordare, uno spezzone di vita: le volte che vidi Eric Tabarly in persona che mi si parava dinnanzi agli occhi quando ero ragazzo, in carne ed ossa. Era quasi sempre collocato appeso come una scimmia sull’albero, a parte quella volta che ebbi l’onore di stringergli la mano sulla banchina di Auckland, prima della partenza della tappa del giro del mondo, sul bellissimo ketch di Farr, La Poste!
Questo per dire che l’albero va visto “a brutto muso”, a quattr’occhi per così dire, da vicino a distanza ravvicinata, muniti di bansigo e “visitato” da cima a fondo. La “semplice” ispezione ci dice molto sullo stato del vostro albero e di quanto lo concerne: crocette, lande e certo non da ultimo, tutto il sartiame e perché no di quello che si vede delle drizze, amantigli eventuali, ascensori (cime destinate solo a mandar su una persona a riva appunto).
Del resto faccio solo la scoperta della famosa acqua calda: Rod Stephens, il fratello del grande Olin Stephens, che aveva il ruolo di metter a punto le barche di “casa” passava un tempo smisurato sugli alberi. Cosa guardare quando si è su, appesi come scimmie sulla palma dei banani? Direi di tutto, dalla A alla zeta, tutto il “guardabile”, vogliamo o no avere cura del nostro “palo” che si sobbarca la faticaccia di portar sulle spalle il “motore” della nostra barca e cioè le vele? Certo che sì!
Quindi mi viene in mente che se ad esempio abbiamo la rotaia della randa steccata (e non … la rotaia serve e come se serve! anche in caso di randa non totalmente steccata…) è uno “strabene” veder se ci sia o meno uno dei quasi infiniti perni filettati che tiene la rotaia sull’albero non perfettamente avvitato! Uno solo di questi colto in défaillance ed ecco che “Houston abbiamo un problema!”, giusto per fare solo un banale esempio.
Vedremo ovviamente come stanno le crocette sia nel punto d’attacco coll’albero che alle loro sommità ove passa o si ferma, dipende dal tipo di armo, il sartiame. Se ci son pelli, o nastro, gray-tape o roba più sofisticata sulle punte delle crocette sarebbe oltremodo consigliato (anche in caso di coperture semi-rigide tipo pvc o simile) togliere tutto (ahinoi!) e metter il naso sotto a queste “sottane” per vedere ce non siano “maturate” cose spiacevoli (cricche; rotture; sfilacciamenti e chi più ne ha più ne metta).
Albero, le zone da controllare
Nella lista di controllo non può mancare l’attacco del sartiame (quale esso sia: dal cavo d’acciaio zincato alla Moitessier sino a quello in fibre esotiche delle “mosche volanti” e cioè dei Coppa America di oggi). Come non può mancare il controllo delle lande in tutte le sue forme: dalle piattine di bronzo marino degli alberi di legno sino alle “non-lande” in uso negli alberi in carbonio (qui le sartie si vedono “scomparire” entro delle finestre del profilo dell’albero).
Inutile dire che alla zona della testa d’albero va riservata una ispezione a fondo e tanto che ci siamo entrate & uscite drizze vanno ispezionate specie per vedere che non siano “mangiate” ai loro estremi (cosa molto comune per chi ha usato od usa ancora drizze misto acciaio-tessile; ciò è dovuto al disallineamento tra uscita drizze e rinvio di coperta…).
L’albero ovviamente va controllato anche da “terra” e cioè tanto dalla coperta che da sotto-coperta: base albero importantissima da controllare! Qui è probabile della corrosione per un albero di alluminio visto che (in caso di albero passante) la sentina coi suoi miasmi di acqua di mare non vive mai una situazione igienicamente buona. Se la barca è grande ed ha il mast-jack cioè il cilindro che serve a tesare il sartiame è buona norma guardare i fori e/o l’attacco del cilindro sull’albero in quanto è una zona che sforza notevolmente ogni qualvolta si mette sotto tensione il sartiame appunto.
Sempre in caso di albero passante vedere bene cosa c’è sotto la cappa della mastra albero e non dimenticare i tie-rods, gli “stroppi” che impediscono alla coperta in zona mastra di sollevarsi sotto il carico delle drizze.
Visto che uno è sull’albero non bisogna trascurare l’elettricità e cioè i cavi che portano i necessari segnali a luci via, luci crocette, luci fonda, eventuale radar e quant’altro di attinente da sotto-coperta sino in testa d’albero (strumentazione tutta).
Chi fa il lavoro?
Chi fa quello che vi ho appena descritto? Questa ispezione la può benissimo fare uno dell’equipaggio, anche su base amatoriale se dotato di sufficiente esperienza specifica e di cognizione di causa del pericolo. Quindi occhio e gambe quando si va sull’albero! Altrimenti ci si può affidare ad un rigger (da ricordare che da anni esiste una legislazione nazionale a cui si deve ottemperare per salire in quota, la quale scatta anche a poche distanze di uomo dalla coperta e quindi è obbligatoria la presenza di un cosiddetto “preposto” ovverossia persona dotata di patentino per ciò oltre all’obbligo generale di indossare dispositivi di sicurezza personali certificati).
Rig, la verità sul sartiame
Quando va fatta questa ispezione e con quale frequenza va ripetuta? Qui entriamo nella parte più scabrosa della questione: diciamo subito che se stessimo a quanto raccomandato dalle case fornitrici di sartiame ad esempio saremmo messi molto male per certi versi! La routine di controllo ed addirittura di sostituzione vivamente consigliata dalle ditte è assai severa e prevede controlli a breve distanza dalla “nascita” del sartiame quanto sostituzioni in toto di esso assai frequenti. Questo – si badi bene – è al fine di poter garantire una copertura assicurativa consona al valore effettivo della barca. Da notare che ciò si riferisce al sartiame in fibre esotiche, in tessile in parole povere, non in metallo e per quello in tondino, il cosiddetto rod, in acciaio del tipo Nitronic: il sartiame più diffuso al mondo, quello spiroidale (generalmente nella guisa a 19 fili ma anche a 49 fili nelle barche d’epoca) in acciaio AISI 316 è pressoché escluso da questi lacci e lacciuoli.
Quest’ultima notazione suona più come “mal diffuso mezzo gaudio”: infatti nel sartiame più diffuso al mondo, lo ripetiamo, lo spiroidale che alcuni soloni davano morto quando apparve quello in tessile, si precipita in una “terra di nessuno” ove vigono le tesi più disparate da “il sartiame non va mai cambiato sennò danneggia l’albero” a “il sartiame va cambiato almeno una volta all’anno” passando per una pletora di voci intermedie tra questi due estremi. Una regola di buon senso vuole che il sartiame in spiroidale di qualsiasi barca al volgere del settimo anno di vita sia da cambiare, punto ed a capo, se si vuol mantenere una sufficiente dose di buona manutenzione. Per fare uno strappo alla regola il periodo potrebbe essere considerato ed esteso al decimo anno di vita, ma se fosse così dovrebbe essere davvero l’ultima spiaggia in cui cambiare il sartiame.
Quando si dice cambiare il sartiame s’intende cambiarlo anche se non si è intravisto o visto nulla: va cambiato e basta, in base ad un ragionamento di fine del suo ciclo di vita.
Va considerato che la quasi totalità del cavo spiroidale presente sul mercato proviene da grosse ditte di cavi industriali, per lo più orientali, il che porta a dire che il prodotto in generale, cosa da evidenziare, non ha una qualità, come dire? apicale. Diverso il discorso pel restante sartiame che è sicuramente di fascia alta: il rod ed il tessile. Grazie alla sorte i disgraziati che in Italia contrabbandavano il tondino usando acciaio inox 316 al posto del ben più pregiato Nitronic sono scomparsi e quindi ben venga il Nitronic di questa o quell’altra marca, basta che sia davvero Nitronic.
Nel tessile la cosa è più complicata in quanto il campo non è vasto, è vastissimo! Una buona sartia volante in tessile me la fa anche un rigger (parliamo di barca da crociera ben s’intenda…) che se ne intenda bene di quale cima doppia-calza o mono-calza usare se mi accontento dei risultati (leggi: buon prezzo-qualità) ma da qui in poi si possono usare invece prodotti di questa o quell’altra corderia marina pensati e realizzati apposta per questo uso sino a sconfinare poi in prodotti ad alta tecnologia come il sartiame ad esempio realizzato tanto da ditte neozelandesi quanto da ditte svizzere (sorpresi?!).
Detto questo a nostro avviso il sartiame in tondino dovrebbe aver vita più lunga di quello spiroidale se non altro perché il Nitronic è un acciaio che ha una altissima resistenza alla corrosione rispetto all’acciaio AISI 316 (quello dello spiroidale) e quindi oserei dire che pel tondino l’asticella la si dovrebbe alzare e portarla almeno a 10-12 anni, fermo restando, lo ripetiamo per estrema chiarezza, che le raccomandazioni dettate dalle case fornitrici di gran lunga più restrittive e quindi se si vuol seguire il loro avviso va cambiato molto prima.
Sento di già una obiezione nell’aria che viene da quell’armatore che dice: “la mia barca è stata poco in mare; quasi sempre a terra oppure in banchina ma spostata in navigazione poco e quindi queste regole non valgono”. Giusto e sbagliato allo stesso tempo. La ditta Ronstan, australiana, di grande profilo, anche dotata di esperienza nel rigging industriale (tensostrutture e simili) aveva reso noto una ricerca sul campo che dimostrava un invecchiamento quindi un deperimento del sartiame che si presentava “semplicemente” su barche per lo più giacenti al gavitello, in baie ove una piccola ma costante risacca imprimeva ai sartiami delle barche l’esiziale pratica del filo di ferro: se pieghi un filo di ferro una volta o due o tre non lo rompi ma se ripeti questo cento volte lo spezzi!
Rig, quando intervenire
In conclusione, chiudendo anche la prima parte di questo articolo per poi continuare col resto e cioè manovre correnti, drizze, scotte e corderia varia nonché bozzelleria e winch, meglio aver paura che buscarle: il controllo dell’albero va fatto già ai primi due anni di vita, meglio se di routine lo si fa ogni anno con la procedura fin qui descritta.
Al giro di boa dell’ottavo anno in su arriva il punto dolente, il controllo va fatto (purtroppo) mettendo l’albero a terra con tutto quello che ne consegue a riguardo di costi e tempi e rischi (il gruista non all’altezza del compito è sempre vigile e ci vede benissimo… ! a far danni!) inerenti. Stessa cosa alla boa dei 16 anni. Fino a questo stadio temporale siamo sul “consigliato” e sul “vivamente consigliato” mentre quando andiamo oltre la boa dei 16 anni e più mettere giù l’albero è “obbligatorio”.
Con l’albero a terra è tutta un’altra storia ovviamente: il grado di accuratezza di ispezione non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello di albero in barca, se non altro perché è un po’ difficile dividere la parte alta dell’albero da quella bassa mentre lo stesso è su! Stessa cosa dicasi per il piede d’albero e la testa d’albero, punti che purtroppo riservano spesso e volentieri brutte sorprese. Se queste brutte sorprese si rivelano tali conviene sottoporre l’albero ad una indagine coi liquidi penetranti (spray speciali che evidenziano micro-cricche) nel caso di alberi d’alluminio oppure indagine ad ultrasuoni (per carbonio). La prossima puntata vedremo come far con il resto del rig e del rigging.
- Nella prossima puntata: Rig. Tabella interventi e consigli indispensabili
*Chi è Danilo Fabbroni, l’esperto di rig
L’autore di questo articolo, Danilo Fabbroni, è un marinaio che ha fatto del “rigger” la sua fortunata professione.
Ha navigato su alcune delle più importanti barche da regata come Brava e partecipato a regate come Admiral’s Cup, One Ton Cup, Sardinia Cup, poi diventa rigger professionista. è stato responsabile dell’assistenza tecnica di Harken e ha tenuto lezioni presso la Facoltà di Ingegneria Navale dell’Istituto Europeo di Design. Ha scritto un best seller nautico, “Rigging”. Ama l’architettura ed è un ottimo fotografo.
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