Sono stato in barca a vela in paradiso (ovvero a Fernando de Noronha)
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Non doveva fuggire da nulla, voleva solo realizzare il suo sogno: attraversare l’oceano. Così Nicolò von Wunster, 60 anni, mette un annuncio on line per trovare imbarco e si ritrova in Sudafrica a bordo di un Oyster 625 dei signori Roger e Mary verso la sperduta isola di Sant’Elena e poi il Brasile.
Diario di bordo della prima volta in oceano di un ottimo velista che porta l’Italia a bordo di una barca inglese. Nicolò (che ha un curriculum velico di tutto rispetto. Due volte Campione italiano Tornado ha navigato per 30.000 miglia in tutto il Mediterraneo con il suo Baltic 38DP) ci racconta il suo “Ocean Passage” in quattro puntate, ricche di consigli utili.
Nella seconda puntata del suo viaggio, lo abbiamo lasciato a Salvador de Bahia, in Brasile.
- Leggi la prima puntata: Cape Town – Saint Helena
- Leggi la seconda puntata: Saint Helena – Salvador de Bahia
In questa terza puntata, Nicolò racconta i quattro giorni di navigazione da Salvador de Bahia alla splendida isola brasiliana di Fernando de Noronha, paradiso dei marinai.
Salvador de Bahia – Fernando de Noronha
4 giorni di navigazione, 701 miglia. Il racconto di Nicolò von Wunster
…L’oscurità ci avvolse uscendo dalla marina, accostammo a sinistra seguendo i fari del canale di uscita. Mary era prua con il VHF per avvisare immediatamente Roger, al timone, di ogni eventuale ostacolo a prua, poco dopo le onde iniziavano a farsi sentire e stare a prua non era certo una posizione comoda e sicura ancorché legati con la cintura di sicurezza come da prassi.
La rotta prevedeva una bolina larga con mure a dritta, a sinistra c’era la costa e volevamo allontanarci il più possibile per evitare i bassi fondali. La città lentamente si allontanava e le luci si affievolivano lasciando spazio ad una maggior brillantezza delle stelle e della luna. Ritornavamo a navigare e la sensazione di rilassatezza mi avvolgeva rendendomi molto felice, stavo bene in barca, meglio che a terra.
I turni di guardia
Eravamo rimasti in quattro e dopo un confronto molto democratico a bordo era passata la mozione di David, da me ampiamente sostenuta, di portare i turni di guardia notturni da due ore a due ore e mezza, tenendo fisse le ore dei turni, senza più rotazione, al fine di lasciare il nostro orologio biologico adattarsi alle ore di veglia rispetto alle ore di sonno.
Io scelsi il turno delle 3.30 fino alle 6.00, rilevando il comando da David e affidandolo a Roger che seguiva e poi il turno di giorno 15.00 alle 18.00. questo mi lasciava libero per cucinare pranzo e cena e sistemare la Galley. Per dare l’idea di cosa volesse dire essere di guardia descrivo come si svolgevano le mie ore notturne: mi svegliavo alle 3.00 del mattino, indossata il salvagente con la cintura di sicurezza mi preparavo una moca di caffè da quattro, con caffè Kimbo e poi Lavazza, latte di mandorla e tre biscotti. Salivo in pozzetto chiedendo a David di riassumere la situazione: salti di vento, corrente, incroci di navi da AIS e Radar, distanza da Way Point, scostamento dalla rotta (XTE), percentuale di vela spiegata, etc.…Tutti gli strumenti che apparivano sia sugli schermi delle console e sui ripetitori, mentre all’inizio erano una massa di dati che si pensava di capire, divennero sorgente di dati essenziali per monitorare la barca, l’andatura, il vento, la rotta etc.…
Io e David cominciammo il gioco di dover passarci il comando con un XTE (scostamento sulla rotta) a zero, potendo impostare ogni regolazione non oltre i cinque minuti dall’ora zero di passaggio del comando. Per riuscirci bisognava dimostrare di aver molta sensibilità sulla reazione che la barca avrebbe avuto verso la poggia o l’orza.
Safety, comfort and speed
Chiaramente navigavamo con il pilota automatico regolato sull’angolo del vento reale o apparente (Wind Vain) e non sulla rotta al WPT, regolando con accostamenti di gradi più o meno per tenere la barca in rotta. Cmq preso il comando e congedato David iniziavo a studiare il radar e il plotter in pozzetto per controllare che non ci fossero groppi, navi sulla nostra rotta o zone di pericolo. Controllavo quindi le vele, che in questo passaggio erano randa, trinchetta e genoa, essendo la barca armata a Cutter, verificavo la velocità del vento e della barca e l’angolo di sbandamento. Piano piano regolavo le vele per ottenere quello che io ritenevo essere il miglior assetto, i principi ben chiariti da Mary erano: Safety, Comfort and Speed …e guai ad invertirli.
Una notte per non scadere pericolosamente sottovento e mantenere una velocità di crociera non inferiore ai 5 nodi la barca rimase molto sbandata, al mattino Mary era molto scocciata e mi presi un richiamo disciplinare senza mezzi termini.
Malgrado non avessi in realtà una vera colpa, se non quella di aver preferito tenere un angolo stretto senza ridurre la randa per non perdere velocità. Non successe più comunque con un angolo di sbandamento tollerato doveva rimanere sotto i 20 gradi.
Le batterie
Durante il mio turno le batterie reduci della notte scendevano sotto il 40%-30% e quindi dovevo accendere il generatore non prima di aver attivato le ventole del vano motore e del vano generatore, aspettare due minuti che salisse la temperatura, in tale lasso di tempo accendevo il dissalatore, portando la pressione a 50 bar e aspettando che la pompa ad alta pressione cominciasse a produrre l’acqua dolce e riempire il serbatoio da 600 litri di sopravvento, dopo aver controllato elettronicamente la qualità della stessa. La pressione veniva quindi portata a 65 Bar per garantire un flusso di 140 litri all’ora.
Quando la temperatura del generatore arrivava a 70 gradi, si doveva attivare l’interruttore che accendeva il quadro dove a sua volta si attivavano i carica batterie al Litio divisi in due banchi. Una procedura articolata sia nelle varie accensioni sia negli spegnimenti e guai a sbagliare.
Navigare lungo le coste brasiliane
Il navigare lungo la costa Brasiliana, ancorché ad oltre 20 miglia, dava una sensazione diversa rispetto al navigare attraverso un oceano. Di notte si potevano vedere i leggeri bagliori delle cittadine senza poter distinguere altro oltre ad un discreto traffico di barche da pesca. Quattro giorni di navigazione era nulla e passarono in fretta, con un andatura di bolina larga e traverso che bloccavano il rollio della barca su una sola mura agevolando anche il dormire. Il mio turno di guardia, fisso, dalle 3.30 all 6.00, mi permetteva di vedere l’alba ogni mattina, allo smontare rilevavo e trascrivevo sul giornale di bordo tutti i dati del log e tornavo a dormire. Era bellissimo riaddormentarsi appoggiato alla murata della mia cuccetta.
Fernando de Noronha, l’isola che non c’è
Arrivammo il primo marzo alle 4.00 del mattino, buttammo l’ancora davanti all’unico approdo presente sull’isola. Alla mattina l’isola ci apparve con tutta la sua bellezza, sembrava l’isola che non c’è o l’isola di Jurassic Park. Dalla costa vicina si sentiva con un intervallo regolare un ruggito che lasciava immaginare una creatura marina dei racconti di Giulio Verne.
L’onda oceanica che arrivava a riva si infrangeva su un promontorio di roccia, forse con delle grotte e dei sifoni, dove gli sfiati creati dalla pressione dell’acqua, generavano un rumore simile al respiro di un’enorme creatura.
Scendemmo a terra, doppiando l’estremità di una diga foranea corta ma alta sul mare, la risacca era forte e ci mettemmo un po’ ad ormeggiare in sicurezza il nostro tender. A terra ci aspettava Marcos, il capitano del porto. Aspettammo un paio d’ore prima che l’Ufficio Migrazione riaprisse dopo la pausa pranzo e nel frattempo nel bar vicino cominciammo a sorseggiare dell’ottima birra.
Piano piano arrivarono gli altri equipaggi che erano già stati in giro per l’isola con queste buggy scassate.
Sean, l’irlandese “romano de Roma”
Come al solito era piacevole riprendere le chiacchierate lasciate in sospeso a Salvador. Rividi Sean e Catherine imbarcato sul Archaeopteryx, nome impossibile da pronunciare correttamente, posseduto da Michael, 61 anni compiuti il 6 febbraio, mio coetaneo ed ex finanziere della city di Londra e molto alla mano.
Il suo sogno era avere una barca più lunga dei suoi anni (in piedi) e così aveva deciso di comprare un’Oyster 66, molto bello anche internamente. Sean era irlandese, per tutti, ma per me era romano de Roma, cuoco ufficiale di bordo, con cui mi confrontavo e consultavo su varie ricette o dove recuperare i nostri ingredienti.
La cosa divertente che Sean ed io ci eravamo incrociati già diverse volte parlandoci in inglese. A Sant’Elena però li avevo salutati forse con un “ciao” mentre se ne andavano da Anne’s place. Lui chiese a Catherine chi fossi e se per caso parlassi italiano. Quando ci ritrovammo lui mi parlò neanche italiano ma romano de Roma.
Finalmente qualcuno con cui parlare italiano e di cucina e con lo stesso approccio sul cibo….sapete cosa significa dover spiegare che quando si scolano gli spaghetti al dente che si deve venire a tavola….strano no? Finito il pranzo, le chiacchiere da bar e le procedure per l’immigrazione decidemmo di tornare in barca.
Fernando de Noronha, paradiso dei surfisti
Era attesa per l’indomani una mareggiata, cioè la famosa “great swell” che sarebbe durata per almeno tre giorni. In effetti l’indomani delle grandi onde lunghe passavano silenziose e maestose sotto la barca, l’aver ancorato abbastanza distanti dalla spiaggia si rivelò una saggia decisione di Roger. Le barche tra di noi e la spiaggia sparivano nel cavo dell’onda per poi ricomparire. Scendemmo a terra e fu veramente la prima volta che potei assistere con i miei occhi, ad onde enormi, paradiso dei surfisti, che frangevano con la cresta spazzata dal vento contrario e un grande rumore quando l’onda cadeva poi su se stessa arrivando a riva.
Rischiammo non poco, facendo il surf col tender per poi girare velocemente a ridosso della diga foranea. La risacca era fortissima e Roger decise di tornare in barca per prendere due lunghe cime. Nel far ciò io e Mary decidemmo di stare a terra mentre David a Roger sarebbero tornati. Ci mancò poco che fossero travolti da un’onda enorme.
Li vedemmo sparire dietro al diga per poi rivederli tornare surfando a tutto motore inseguiti da un’onda enorme frangente. Avevano sbagliato la sequenza. Per fortuna, malgrado i suoi anni, Roger aveva dimostrato ancora una volta prontezza di riflessi e sangue freddo, portando il tender in sicurezza, per poi ripartire, riuscendo, al secondo tentativo, di oltrepassare la linea dove le onde iniziavano a frangere.
L’ultimo giorno a Fernando de Norohna
Decidemmo che saremmo ripartiti al tramonto e quindi quello era l’ultimo giorno. Roger e Mary da una parte e David ed io, affittammo rispettivamente due Buggy, molto scassate. Ci dividemmo dandoci appuntamento alle 17.00 al porto. Ci divertimmo un sacco, guidavo io con David che riprendeva tutto con la sua GoPro. Prendemmo una strada sterrata fino a giungere in una boscaglia che ci separava dalla spiaggia in basso. Scendemmo a piedi e ci trovammo in una spiaggia enorme, senza anima viva con i cavalloni che arrivavano dal mare e frangevano a 30 metri di distanza per poi arrivare fino a bagnarci i piedi.
Camminammo lungo la spiaggia oltrepassando un promontorio di roccia, arrivando in una ansa con un grande stagno che si inoltrava nella boscaglia. Sulle rocce grandi granchi dai colori accesi si muovevano al rallentatore, proseguendo passammo un altro promontorio cercando di passare tra le rocce, evitando di essere trascinati dalle onde che arrivavano con un ritmo costante. Oltre tale promontorio si apriva una lunga spiaggia piena di gente che stava assistendo ad una gara di surf, che David mi disse essere parte di un circuito internazionale.
Ci prendemmo una birra e ci avvicinammo al palco dove una massa di giovani surfisti stavano ad osservare qualche temerario che affrontava i cavalloni a poca distanza. La gara era stata sospesa perché la mareggiata era troppo pericolosa. Provai ammirazione per questi ragazzi tutti molto giovani e super cool, con fisici super atletici, ventri piatti e super abbronzati. Idoli internazionali di molti loro coetanei e cavalieri delle onde.
David mi raccontò che i surfisti brasiliani sono tra i migliori al mondo. Erano bellissimi, giovani e spiriti liberi che aspettavano l’onda ideale. Che differenza rispetto ai ragazzi di casa. Un altro pianeta, distante mille anni luce.
Tornammo alla Buggy, trovammo un piccolo ristorante locale, con persone molto ospitali e simpatiche, finito di pranzare con la solita Moqueca de Camarão, ci accorgemmo di avere una gomma bucata…pazienza, guidai fino al posto dove l’vevamo presa e la lasciamo lì, era comunque bella scassata e gli avevamo fatto il pieno di benzina. Con un taxi interecettato per caso, ci facemmo portare al porto. Pagai in contanti con gli ultimi Real che mi erano rimasti in tasca. Dopo un’ora eravamo in barca, avendo superato una grande onda nell’uscire dal porto.
Iniziammo a preparare la barca per riprendere il mare, come al solito dispiaciuti per non essere riusciti a scoprire di più dell’isola e dei suoi decantati fondali, ma felici di riprendere a navigare con la metodica routine di bordo, tutto tornava a rallentare riaprendo spazi per dormire, leggere, cucinare, contemplare il mare e pescare.
Nicolò von Wunster
CONTINUA…
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