Nicolò von Wunster: la mia traversata oceanica a 60 anni da Sant’Elena a Bahia
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Non doveva fuggire da nulla, voleva solo realizzare il suo sogno: attraversare l’oceano. Così Nicolò von Wunster, 60 anni, mette un annuncio on line per trovare imbarco e si ritrova in Sudafrica a bordo di un Oyster 625 dei signori Roger e Mary verso la sperduta isola di Sant’Elena e poi il Brasile.
Diario di bordo della prima volta in oceano di un ottimo velista che porta l’Italia a bordo di una barca inglese. Nicolò (che ha un curriculum velico di tutto rispetto. Due volte Campione italiano Tornado ha navigato per 30.000 miglia in tutto il Mediterraneo con il suo Baltic 38DP) ci racconta il suo “Ocean Passage” in quattro puntate, ricche di consigli utili.
Nella prima puntata lo abbiamo lasciato sull’Isola di Sant’Elena.
In questa seconda puntata, Nicolò racconta i 13 giorni di navigazione da Sant’Elena a Salvador de Bahia, in Brasile.
Saint Helena – Salvador de Bahia
13 giorni di navigazione, 1934 miglia. Il racconto di Nicolò vin Wunster
L’8 febbraio alle 18.00 (UTC + 0.00), il cielo è terso ed il sole ancora scaldala pelle, Roger mi affida il timone e mi chiede di salpare dal gavitello con il solo ausilio delle vele, su questo eravamo sempre super affiatati, dove si poteva far a meno del motore non perdevamo mai l’occasione. L’Ocean Pearl, all’ordine di recuperare l’ultimo ormeggio di prua, accostò lentamente fino a raggiungere i 275° gradi bussola, i due genoa erano stati aperti a farfalla, le ritenute sistemate e l’andatura si assestò velocemente sui 7/8 nodi, gli alisei sarebbero tornati a soffiare regolarmente, dopo un po’ di miglia, non appena la terra di sopravento avesse terminato il suo effetto. Saint Helena si allontanava dalla nostra poppa delineando sempre di più tutto il suo profilo solitario in mezzo all’oceano Atlantico meridionale.
Eravamo rimasti poco sull’isola di Napoleone ma la gioia di riprendere il mare compensava la sensazione di non aver avuto abbastanza tempo per conoscere meglio quest’isola, soprattutto per i fondali che sono meta di molti sub che, attraverso Johannesburg, volano fin qui per immergersi con lo squalo balena, le mante e molte altre specie pelagiche. Questo passaggio sarebbe stato il più lungo quasi 2000 miglia nautiche e avrebbe celebrato l’attraversata dell’Oceano Atlantico del Sud. Destinazione: Salvador de Bahia.
Avevamo ripreso la routine dei turni a rotazione, tecnicamente chiamati in inglese Watch Rota, la barca aveva riassunto il tipico rollio dettato dalle due vele di prua gemelle e dall’assenza della randa. C’era un ottimo buon umore a bordo dato che tutti sapevamo, ma ancora di più Roger e Mary, che in questo passaggio avrebbero completato, per longitudine, il giro del mondo, inoltre l’equipaggio così formato, stava dando ragione a Roger, forse un po’ per intuito forse un po’ per fortuna, di fatto stavamo risultando il miglior equipaggio avuto a bordo. Io devo dire che avendo Paul, poco più giovane di me ma ingegnere elettronico e David, che poteva essere tranquillamente mio figlio e neanche il maggiore, anche lui ingegnere, meccanico, mi trovavo molto bene, Roger non perdeva occasione per correggere il mio inglese, malgrado lo parlassi da 45 anni, e che comunque migliorai molto, dopo i 70 giorni di permanenza a bordo.
Cucinare in barca
C’era il tempo per leggere, contemplare tramonti, notti stellate ed albe australi e soprattutto per cucinare ogni giorno con un’altissima attesa da parte di tutto l’equipaggio. Questa attesa su cosa avrei servito mi dava un grande stimolo e Mary, sollevata a questo punto dal cucinare lei era la mia musa ispiratrice oltre che grande supporter. Mary sapeva bene cosa significasse cucinare nel Galley per tutti due volte al giorno.
Iniziai veramente a prenderci gusto e tutto sommato stavo piano piano passando dal ruolo di Watch Leader a First Mate affiancato da un secondo titolo di Chef di bordo mi assicurava un nuovo ruolo con un certo grado di importanza a bordo. Grazie alla scorta di prodotti italiani potevo proporre diversi piatti, che per noi sono quasi ordinari, ma per i miei commensali inglesi/irlandesi/sudafricani, impegnati ad attraversare un oceano, apparivano straordinari e di fatto lo erano, soprattutto per David, sempre affamato, dato i suoi 23 anni, a cui garantivo sempre doppia porzione rispetto agli altri.
È così che iniziai a preparare spaghetti Rummo alla matriciana con vero guanciale e pecorino e salsa Mutti, la Carbonara (sempre amata da tutti), pasta alla puttanesca con olive capperi acciughe e salsa di pomodoro, aio oio e peperoncino, pomodoro e tonno.
I risotti: al Parmigiano, allo Zafferano, con i funghi porcini ai piselli e guanciale e poi quando iniziammo a pescare dell’ottimo pesce lo stesso veniva cucinato per aggiungersi anche ad alcuni di questi piatti. Col pesce iniziai a realizzare piatti con miele, soia, teriaky, accompagnati da cipolle caramellate e pure di patate con l’aggiunta di noce moscata e parmigiano reggiano.
Insomma, i sapori e le pietanze che portavo in tavola erano molto apprezzati e soprattutto le cene divennero un piacevole momento condiviso da tutti. Il buon cibo esaltava le doti dell’italianità nel modo corretto e gli argomenti su illustri italiani nella matematica e per mare come Amerigo Vespucci, cartografo e navigatore fiorentino, o Fibonacci matematico Pisano, e Galileo Galilei sulla navigazione astronomica entravano nelle conversazioni relative alle varie tecniche di navigazione, rotte e scoperte sia inglesi sia italiane. Analizzando un po’ la situazione gli italiani, sponsorizzati dai portoghesi e dagli spagnoli, hanno scoperto molte terre oltre oceano, poi occupate dagli inglesi però.
Il 20 febbraio verso le 15.45 UTC David scorge un delfino, dopo pochi minuti i delfini sono almeno quindici o venti che nuotano sotto la nostra prua, uno spettacolo incredibile dato che quando arrivavano sotto la prua si giravano su un fianco per guardarci. Ogni tanto qualcuno saltava girandosi poi su un fianco come fossero ammaestrati e volessero farci divertire con le loro evoluzioni in acqua. Rimasero per almeno tre ore con noi, quasi volessero scortarci, creature stupende e molto intelligenti.
Terra!
Il 21 febbraio, dopo 13 giorni di navigazione, altro mio numero fortunato, avvistiamo la costa brasiliana e lo skyline di Salvador de Bahia, una bella emozione e la felicità di aver compiuto la prima attraversata oceanica per Paul, David ed il sottoscritto, era finalmente fatta e poi l’Atlantico del Sud per un totale di 3782 miglia secondo il log book di bordo.
Il selfie di noi tre non poteva mancare. Roger inizia a dare istruzioni per l’approdo e piano piano, sempre a vela giungiamo quasi fino all’entrata di Bahia Marina. Entriamo piano a motore e scorgiamo i primi Oyster già ormeggiati: MAKARA, INTREPID ed altri, i cui equipaggi visti l’ultima volta alle feste di Cape Town ci corrono incontro sul pontile applaudendoci e facendo suonare le sirene di benvenuto.
La musica dell’ultimo giorno di carnevale è dappertutto così come le feste sulle barche nella Marina, che ci urlano bem vindo a Salvador, parabéns, muito bon ….in poco tempo siamo scortati al nostro posto barca e sul pontile si ammassa una piccola folla fatta degli equipaggi delle altre barche che partecipano al Rally.
Il bello degli Ocean Rally
La cosa divertente di questi Rally se da una parte rappresenta un condizionamento sulle tappe d’arrivo, sui tempi di sosta e navigazione, essendoci di fatto un calendario ben studiato con un’organizzazione a terra che rimane disponibile un certo arco di tempo, dall’altra parte crea una community di persone legate in un certo senso allo stesso destino, con uno spirito di avventura comune con cui condividere racconti, eventi, soluzioni di navigazione e soprattutto le feste che vengono di volta in volta organizzate a rotazione dei vari armatori per celebrazioni varie.
A Salvador quindi riagganciamo diverse barche del Rally che avevano un vantaggio di giorni su di noi ma che si erano fermate sia per visitare il Brasile sia per godersi il carnevale. Rivedo di fatto molti incontrati alle feste di Cape Town e l’occasione ci porta a convergere tutti noi tre nel locale della marina dove le bottiglie di birra non si contavano più confuse dagli svariati racconti sull’attraversata o di vita. Ovviamente l’età media dei ragazzi e delle ragazze imbarcate era tra i 25 e i 35 anni, e risultava molto divertente essere ammessi a questi incontri come fossimo perfettamente loro coetanei.
Questo fatto non era banale, andar per mare ed affrontare un oceano accomunava persone che, in un contesto ordinario, non avrebbero forse mai condiviso nulla, o molto poco; invece, qui era come un unico gruppo di amici, senza barriere di età e stato sociale, che condividevano una passione unica ed un’esperienza comune. Se ci penso la frase che mi trovai a dire a David che io sfilettavo i pesci quando lui non era ancora nato era assolutamente vera, come il pensiero che lui avrebbe continuato a sfilettarli quando sarò ormai diventato solo un lontano ricordo. Fa effetto ridere, scherzare, raccontare ed ascoltare racconti con persone che stanno condividendo lo stesso quotidiano speciale ed affascinante e che sanno che stanno facendo qualcosa di non comune ed ordinario senza per un minuto percepire e lasciare trasparire la differenza di età, la cui semplice matematica richiamerebbe impietosamente alla realtà.
Come vivere bene
Per imparare a non sentirsi oppressi dal tempo bisogna, prima di tutto, comprendere che abbiamo tutte le possibilità per vivere il presente, se solo fuggiamo dalle attese inutili, dagli orari e dagli appuntamenti. Perché irreparabile fugge il nostro tempo. Questo devo dire che è un aspetto del girare il mondo a vela che ha un valore inestimabile.
Col navigare, vivi il presente, non ti affanni se non per quanto veramente ti serve per continuare a godere dello spettacolo di una natura che si ripete ogni giorno, da quando esiste il mondo. Incontrare persone che hanno fatto la stessa scelta ed invece solo di sognare e progettare sono partite e lo stanno vivendo. Il vento, il mare, gli spazi immensi in un pianeta parallelo, dove il tempo assume sicuramente un’altra dimensione rispetto soprattutto a quello attuale della terra ferma, dove la velocità imposta dal nuovo progresso digitale rende tutto più inumano ed alienante.
L’ultima notte di carnevale a Bahia
Dopo un po’ di birre e dell’ottima carne, decidiamo che non si può perdere l’ultima notte di Carnevale e Victor, di San Paolo, ospite di MAKARA, si offre come guida speciale. Saliamo quindi su un taxi in 5, dopo una negoziazione in brasiliano col tassista riluttante e veniamo scaricati nel quartiere di Barra, uno dei posti più caldi per il carnevale.
Ci troviamo catapultati in un fiume di gente per lo più a torso nudo e non solo, circondati da cordoni di polizia in tenuta anti sommossa che stridevano col la tenuta da perizoma o quasi dei festanti. Tutti si muovevano come in trance bombardati da una musica assordante prodotta da mega impianti a bordo di grandi camion, che portavano sul tetto attrezzato a terrazze, bande che suonavano e cantavano. Victor si trovava assolutamente a suo agio, “intrattenendosi” ogni tanto con “amici” forse mai visti prima di allora, io guardai Paul e ci scambiammo uno sguardo, nel rumore assordante, che non lasciava dubbi, ce ne volevamo andare appena fosse stato possibile. In quel momento sentii forse il peso della mia età, non riuscivo a trovare alcun aspetto divertente nel vedere quella massa di gente ubriaca e felice di far parte di una tale bolgia dove ogni freno inibitorio era scomparso, in preda ad un delirio collettivo, tipico del più estremo Rave Party che si possa immaginare.
Ogni 20 minuti Victor mi comprava una lattina di birra che io regolarmente mettevo in tasca e al prossimo giro gliela offrivo io, la stessa di fatto. Finalmente Victor ci scortò ai nostri taxi, solo noi due, perché gli altri si sarebbero fermati, e fu così che, poco dopo, io e Paul sfrecciavamo su due rispettivi moto taxi scassati, guidati da chissà chi, attraverso le strade bagnate di Salvador in un traffico cittadino brasiliano, era già passata la mezzanotte, l’ultima del carnevale, certamente un orario poco raccomandabile per girare in moto. Paul ed io pensammo la stessa cosa, di finire sdraiati sull’asfalto, in attesa di essere portati ad un pronto soccorso. Come potevamo rischiare la vita così dopo aver attraversato un oceano? Pensa comunicare a casa che eravamo quasi crepati, non in mare ma in motorino, assurdo. Arrivammo bagnati ma sani e salvi e ce ne tornammo in barca certi di aver scampato un bel pericolo, la stanchezza era immensa e credo che più che addormentarmi nella mia cuccetta svenni. Sicuramente per queste cose non ho più l’età.
Nei due giorni che seguirono lavorammo molto in barca, David sempre sporco d’olio, ed infilato nel vano motore, io con spazzolone e sapone per pulire a fondo tutte le stuoie a copertura dei paioli, forse mai state pulite così a fondo. Il bello era comunque uscire a pranzo e a cena dove finalmente potevamo apprezzare la cucina locale e soprattutto gustare dell’ottima carne, ingrediente non presente a bordo, tranne quella di Springbok, fornitaci dall’amico Carlo a Cape Town, proveniente dal suo Game Park. Strepitosa.
La storia di Bahia
Fondata nel 1549 a ridosso della Baía de Todos-os-Santos (in italiano “Baia di tutti i santi”). Infatti, dopo l’approdo di Pedro Álvares Cabral, il 1º novembre 1501 Amerigo Vespucci approdò sul sito dell’attuale Salvador, chiamandola “baia di tutti i santi”, dal nome della chiesa fiorentina della sua famiglia (San Salvatore in Ognissanti) e della festività di Tutti i Santi, celebrata nel giorno della scoperta. 48 anni dopo Salvador venne fondata e fu la prima capitale brasiliana e il primo porto coloniale, secondo al mondo per la tratta degli schiavi, dove furono sbarcati 1.500.000 africani in catene destinati alle piantagioni. L’ammiraglio olandese Piet Hein tenne in pugno e saccheggiò la città nel 1624, fino a quando fu liberata dalla flotta spagnola-portoghese diventando un vero fortino della resistenza contro gli olandesi. Salvador rimase capitale fino al 1763, quando venne sostituita da Rio de Janeiro.
Si riparte, ma prima…
Era arrivato il giorno della partenza e mi accorsi che malgrado Mary e Paul, avessero fatto cambusa la mia dispensa era mezza vuota. Trasalii nel pensare che da qui a Grenada che avremmo raggiunto fra tre settimane non avremmo più potuto mangiare italiano. Mi informai e scoprii che esisteva un negozio di prodotti italiani ad un quarto d’ora di taxi. Avvisai Mary e Roger che li avrei raggiunti al Museu do Mar appena finito di fare la mia spesa ed opportunamente stivata in barca.
Arrivai da Pepe (Av. Santa Luzia, 985 – Horto Florestal, Salvador – BA, 40295-050, Brazil), dove potei trovare quasi tutto quello che cercavo tranne il Guanciale. Pasta Garofalo, salsa Mutti, Capperi, Acciughe, Olive e Tonno e poi Pecorino e Parmigiano Reggiano, Olio d’Oliva De Cecco, prosciutto crudo e mortadella in vaschette. Comprai la qualunque per 350’00 euro e 5 sacchetti e me ne tornai in barca, felice che anche per questa parte dell’attraversata avrei avuto gli ingredienti per continuare a cucinare all’italiana.
La visita al quartiere di Pelourinho vale la visita alla città. Partendo dal Museu do Mar – Aleixo Belov, in Sant’Antonio e camminando lungo la Rua do Carmo, a Santo Antônio Além do Carmo, per circa un chilometro si incontrano diversi locali, caffè e ristoranti, con le facciate colorate o sgarrupate, in un’atmosfera dove il tempo sembra si sia fermato. Dopo la visita al Museo do Mar, con Roger e Mary, ci separammo e con David cominciammo a camminare a piedi per il quartiere. Erano quasi le 15.30 e dovevamo ancora pranzare. David stava svenendo dalla fame, as usual. Entrammo in un piccolo ristorante tipico del quartiere e ordinammo due birre e quanto avrebbero voluto farci mangiare dato che non riuscivamo a leggere il menu. Ci portarono delle crocchette di Tapioca fritte con delle ottime salsine e poi un piatto tipico la Moqueca de Camarão, che sono gamberi cotti nel latte di cocco, con una di peperoni, pomodori, coriandolo, zenzero, aglio, spezie e olio di dendê.
Cotta lentamente in una padella di terracotta con pesce o gamberi locali, la Moqueca viene solitamente servita con riso e altri accompagnamenti come la farofa, una miscela condita a base di radice di manioca tostata. Da li ci spostammo a piedi lungo la via ed entrammo nel caffè di Paolo Vaz, la persona che stava seduta ad un bellissimo antico tavolo davanti al bancone, disse al ragazzo di farmi un espresso “ al banco”….lo guardai e gli chiesi se per caso parlasse italiano.
Si presentò: Paolo Vaz, piacere, disse e proseguì in perfetto italiano dicendomi di aver studiato arte a Firenze. Facemmo subito amicizia e mentre sorseggiavo l’ottimo espresso mi raccontò del suo caffè e degli amici che vengono a trovarlo da tutte le parte del mondo e lo seguono sul suo sito di IG come Paulo_vaz_cafelier o cefeliercarmo.
Dopo la foto di rito ci salutammo e salimmo sul taxi che ci avrebbe riportato in barca dove eravamo attesi alle 17.30 per salpare, dopo aver fatto gasolio, per l’isola di Fernando de Noronha a 4 giorni di navigazione a nord lungo la costa brasiliana.
Nicolò von Wunster
CONTINUA…
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