“Finalmente l’Oceano a 60 anni”. Il racconto di Nicolò von Wunster
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Non doveva fuggire da nulla, voleva solo realizzare il suo sogno: attraversare l’oceano. Così Nicolò von Wunster mette un annuncio on line per trovare imbarco e si ritrova in Sudafrica a bordo di un Oyster 625 verso la sperduta isola di Sant’Elena e poi il Brasile. Diario di bordo della prima volta in oceano di un ottimo velista che porta l’Italia a bordo di una barca inglese. Nicolò (che ha un curriculum velico di tutto rispetto. Due volte Campione italiano Tornado ha navigato per 30.000 miglia in tutto il Mediterraneo con il suo Baltic 38DP) ci racconta il suo “Ocean Passage” in quattro puntate, ricche di consigli utili.
L’Oceano a 60 anni – Da Cape Town a Saint Helena
Non riuscivo bene ancora a capire i contorni di questa mia decisione, eppure l’avevo desiderata e pensata in realtà da oltre 40 anni. Attraversare l’oceano a vela o per dirla tutta fare il giro del mondo a vela in due anni.
Ho letto ogni possibile libro e ho navigato per tutto il Mediterraneo, prima con barche noleggiate poi con il mio amato Baltic38 DP. Ora a 60 anni compiuti non potevo più rimandare. Il problema non è certo il navigare, se hai passione e hai navigato molto lo puoi fare, il vero problema è partire senza però “fuggire”. L’idea la presi da Naty, la figlia dell’ amico Giulio, che mi mise in contatto con un professore di educazione fisica di Lugano che usava piattaforme per trovare imbarchi, come www.oceancrewlink.com o www.findacrew.net. A ottobre inserii il mio profilo e una lettera di presentazione per il Crew Recruiting Officer di Oyster, Charlie Durham. Dai link visualizzai molte opportunità, dopo due mesi di cortesi ma ineluttabili “decline” capii che forse nessuno imbarca un sessantenne.
Per di più senza esperienza di traversate oceaniche. Soprattutto se sei un capitano della tua barca, da armatore sei poco credibile come Watch Leader e non hai track record come First Mate o Ocean Skipper…tanto meno come Chef.
Quello che ho è una patente nautica italiana oltre le 20 miglia e due brevetti da SUB. Purtroppo non il certificato veramente utile, il RYA-MCA Yachtmaster Certificate possibilmente ottenuto in Inghilterra, la bibbia per gli skipper oceanici professionali. Quando ormai ci avevo quasi messo una pietra sopra, mentre stavo lavorando al computer, mi arrivò una mail con due righe di introduzione:
Dear Nicolò
Thank you for your recent interest via Ocean Crew Link. We realize some time has passed but please could you let us know if you are still interested and available. We are looking for crew for Ocean Pearl’s Atlantic crossing from Cape Town (approx. departure 9 January 2023) to Grenada (approx. arrival date end February 2023). If so, please could you email us an up-to-date CV? We look forward to hearing from you. Best regards
Roger and Mary
Pensai che fosse una delle decine di mail inviate e che il mio CV sarebbe stato superato da altri candidati, più giovani e più inglesi di me e con più esperienza di bluewater. Invece il giorno dopo ero in video chiamata con gli armatori Roger e Mary. Alla mia domanda se non fossi troppo “vecchio”, replicarono che con i loro rispettivi 78 e 75 anni da compiere… risultavo alquanto “giovane”.
A bordo ci sarebbero stati insieme a me e per la prima esperienza in Oceano, Paul nipote di Mary di 54 anni e David giovane ingegnere di Durban, di 23 anni e mai uscito dal Sud Africa prima di allora e i due armatori con ¾ di un giro del mondo alle spalle.
L’indomani Roger mi scrisse che ero imbarcato, mi aspettavano il 6 gennaio per prendere parte ad alcuni eventi dell’Oyster Ocean Rally. Non ci credevo ancora, due mesi in oceano con l’Oyster 625 Ocean Pearl. Pensai subito come comunicare in famiglia che invece di tre settimane sarei stato via due mesi e invece dell’Oceano Atlantico Settentrionale avrei attraversato l’oceano Atlantico Meridionale per 6.700 miglia circa.
Sudafrica, Porto di Cape Town
Aeroporto di Città del Capo, Sudafrica, 6 gennaio notte. Roger Kendrick, il 78enne armatore dell’Oyster 625 mi aspetta. Con la sua guida sportiva raggiungiamo il porto di Cape Town dopo la mezzanotte. Tutti dormono ma Roger mi offre un Gin&Tonic di benvenuto prima di ritirarmi nella mia cabina, tutta per me con un boccaporto che dà sulla coperta e un oblò in fiancata. Senza dubbio un bel lusso per un Watch Leader, figura all’ultimo gradino di un equipaggio.
Per chi si imbarca, come me, non avendo esperienza di Oceano tutto deve essere dimostrato. Per stare in barca in un’impresa di questo tipo, oltre a sapere cosa fare a livello tecnico operativo bisogna sapere andare d’accordo col comandante, con tutto l’equipaggio, 24/7 e in un ambiente ristretto ed isolato per giorni. Quindi: umiltà, diplomazia e comportamento adeguato per ottenere rispetto nel comando e nell’esecuzione di ordini senza prevaricare o essere prevaricato.
La mattina del 9 gennaio, la notizia arriva quasi in sordina, Roger ci informa che da un controllo del sartiame è stato rilevato un trefolo rotto all’interno dell’impiombatura della sartia bassa di sinistra. Plausibile dopo 25.000 miglia di navigazione a vela. Passeranno due settimane prima di ricevere il pezzo da sostituire dall’Inghilterra, e due giorni per disalberare e rialberare.
L’intuizione di mangiare italiano
Due settimane trascorse a Cape Town in cui ho avuto il permesso di fare una mia cambusa parallela, dopo aver realizzato che su barca inglese si sarebbe mangiato inglese, mi approvvigiono degli ingredienti per garantire a bordo la presenza di una vera cucina italiana.
Avevo già portato del Parmigiano Reggiano, del Gorgonzola, del Riso Carnaroli e l’immancabile olio d’Oliva Extra Vergine della Tenuta Calissoni Bulgari. La cuccetta superiore della mia cabina diventa quindi l’Italian Grocery a bordo, accessibile solo da me ovviamente. Di cosa era formata? Ma dalle basi della dieta mediterranea e del buon vivere a tavola: diversi tipi di pasta Rummo, Pelati Mutti, Tonno Rio Mare, Olive Capperi Acciughe, Pecorino e Guanciale locali fatti da italiani emigrati lì da tanti anni (rivelatisi ottimi), un’ulteriore scorta di Olio Extra Vergine di una tenuta locale di una famiglia italiana. A seguire, funghi porcini secchi, zafferano Leprotto, dadi brodo vegetale Star, e altri importanti ingredienti base della nostra cucina.
Un’intuizione: se la grande passione per la vela è basata sul mezzo di trasporto più lento al mondo “the slowest mean of transportation” perché non abbinarci il meglio dello “slow food” mondiale? Invece di nutrirsi, a bordo si sarebbe fatta cultura del cibo… se la lingua inglese ha conquistato il mondo la cucina italiana è la più famosa lingua globalmente parlata a tavola. L’anello di collegamento tra la nota eleganza mista a resilienza e disciplina marinara inglese e la ferrea senza compromessi disciplina italiana in cucina e del buon vivere. L’operazione riuscirà alla perfezione. La Galley (cucina) diventerà mio regno a bordo. D’altra parte, davanti ad un risotto alla parmigiana accompagnato da barracuda appena pescato, scottato in padella, o a una autentica carbonara guanciale e pecorino, chi può resistere?
Verso la sperduta Sant’Elena
Alle 6.30 del 26 gennaio Mary chiama con la radio VHF la capitaneria chiedendo di aprire i due ponti, uno levatoio e l’altro girevole, che separano la Marina dall’uscita in oceano. Ci muoviamo nel silenzio di una Table Bay di una mattina perfetta, con le immancabili foche intente a pescare alla prime luci dell’alba, lasciandoci alle spalle la sagoma sempre più definita del Table Mountain.
Di fronte quasi 2000 miglia da percorrere in 10 giorni, prima con una rotta NW di bolina larga e traverso, che sale quasi parallela alla costa del Sud Africa con venti che possono arrivare anche a 30 nodi nella piena estate australe, per almeno 300 miglia. Poi per seguire una rotta a WNW fino a passare il banco di Valdivia e a raggiungere gli Alisei del sud Atlantico che soffiano mediamente tra i 15 e i 20 nodi e direzione ESE, con un andatura alla fine in poppa.
Sto navigando in oceano, immenso e freddo dove le foche continuano a nuotare tra le onde, gli albatros compiono incredibili planate sulle lente e imponenti onde, più gentili di quelle del Mediterraneo. L’attività a bordo è molto intensa siamo in cinque a coprire i turni di notte e di giorno e Roger con la sua precisione da ufficiale della Royal Navy appunta in bacheca il foglio del Watch Rota con ore e nomi di ognuno, in un meccanismo di rotazione perfetto e suddiviso in due ore notturne e tre ore diurne per ciascuno con due ore di communal watch prima delle 20.00 ora di cena. Il fuso orario viene tenuto fisso su quello di Cape Town (UTC + 2.00) fino a Saint Helena.
La comoda vita di bordo
Le procedure prevedono due accensioni del generatore mattina e sera per riportare in carica le batterie al Litio che non devono scendere sotto il 30% di carica e portate fino a circa il 90%. Contestualmente, e solo con il generatore acceso, si accende il dissalatore (Watermaker), oltre a definire bene la strategia relativa all’uso delle cisterne d’acqua ed al loro riempimento. Senza generatore il rischio è di rimanere senz’acqua e dopo 24 ore senza poter cucinare, oltre a sospendere i servizi del freezer, del fabbricatore del ghiaccio e del frigo, quasi tutti fondamentali per la qualità molto elevata che ci permettiamo bordo.
Per tutta l’attraversata avevamo molta acqua, tanto da potersi lavare con generose docce ogni giorno. La stessa acqua costituisce la riserva di acqua potabile e per cucinare grazie a filtri a carbone a monte del rubinetto. Non pensavo fosse possibile bere acqua dissalata, ma in realtà dopo una mia prima diffidenza divenne la regola. L’assenza di bevande gassate di ogni natura, oltre alla policy che prevede un dry passage (no alcohol) fatto salvo per qualche celebration, contribuirà a farmi perdere peso malgrado lo scarso esercizio aerobico e fisico quotidiano.
Altro elemento che sembra contribuire a far perdere peso è il continuo rollio sotto le sole vele di prua gemelle, un esercizio fisico passivo del corpo alla costante ricerca dell’equilibro anche mentre si dorme.
La dimensione dell’Oceano
Le giornate scadenziate dai turni iniziano a prendere quella routine tipica dell’andare per mare, dove il termine vacanza non si addice per niente. In barca ci sono si momenti dove si può leggere, ma vengono dopo tutte le mansioni imposte dal navigare sotto varie forme. Dormire è fondamentale per evitare di addormentarsi nelle ore dei turni a notte fonda passate da soli in pozzetto.
Ci sono poi tutte le manovre di regolazione delle vele e delle ritenute. Chiaramente su queste barche sistemi idraulici ed elettrici tolgono ogni fatica fisica, però bisogna fare molta attenzione a come si manovrano dato che le potenze espresse sono elevate e una dimenticanza di uno stopper o di una ritenuta può provocare danni importanti alle manovre, alle vele, al sartiame e anche fisici all’equipaggio. Dato il continuo rollio, l’attenzione a tutto quello che si fa deve essere massima, così come per muoversi in coperta e sottocoperta.
Piano piano si entra nella dimensione dell’Oceano e si esce da quella della terra ferma che sparisce. La percezione della terra e delle sue frenetiche attività si fa sempre più sfumata. Spinti dagli Alisei sembra di viaggiare su di un’astronave sempre alla stessa velocità con direzione verso un’orizzonte costante ed immutevole. Il pensiero inizia ad adeguarsi a questo spazio immenso, isolati nel perimetro dello scafo.
Jib gemelli e compleanno
Il 30 gennaio, dopo 4 giorni di navigazione e circa 750 miglia con randa e genoa, tutto l’equipaggio è chiamato da Roger in coperta per issare il secondo genoa. Questo nuovo assetto permette di sfruttare al meglio l’andatura ormai quasi di poppa piena, con il classico sistema delle “trinchette gemelle”, in questo caso un genoa più leggero che si issa parallelamente a quello già issato e dopo averli avvolti insieme si procede ad aprirli con i punti di scotta sui bordi opposti, usando il tangone da una parte e l’estremità del boma dall’altra, con la randa ammainata.
La manovra viene eseguita in modo molto preciso e lo stesso Roger dai suoi 78 anni di esperienza e 25.000 miglia alle spalle sull’Ocean Pearl, lavora a prua saldamente assicurato alla life line. Non posso negare la mia ammirazione nel vedere che la passione per la vela ti permette di andare oltre i canoni classici del “non ho più l’età”.
Il 9 è tra i numeri che mi portano fortuna ed è proprio al nono giorno di navigazione che finalmente scorgiamo Sant’Elena il 4 febbraio, giorno del mio compleanno, un bel regalo indimenticabile.
Festeggiamo con una torta preparata da Mary ed l’immancabile bollicina per celebrare a bordo il mio compleanno, che grazie al fuso orario locale di due ore in meno di Cape Town rimarrà il giorno di compleanno più lungo mai avuto….26 ore. Al mattino lo spettacolo dell’isola e di questa unica baia così accogliente, dopo 1750 miglia, è unico.
La bandiera Q, di colore giallo, è issata regolarmente e dopo un po’ arriva la pilotina di servizio che ci prende a bordo per accompagnarci all’ufficio dell’harbour master per registrare la nostra entrata ufficiale a Sant’Elena. Il mal di terra si fa subito sentire e il piacere di camminare sulla terra ferma si mescola all’emozione di scoprire quest’isola sperduta in mezzo all’oceano.
Isola che ha rappresentato un punto di riferimento nei secoli passati per molti navigatori, dai Portoghesi agli Olandesi per passare poi agli Inglesi. Tutt’oggi è territorio britannico d’oltremare con l’Isola di Ascensione e quella di Tristan de Cunha. A Sant’Elena c’è una via centrale con piccoli negozi, pensioni, una banca un ufficio postale. Sembra un piccolo paese inglese rimasto al 1950. I circa 4.000 abitanti sembra si conoscano tutti tra di loro, parlano inglese con una forte accento e l’impressione è che non ci sia poi molto da fare, il governo inglese spende ogni anno oltre 35 milioni di sterline per sostenere quest’isola e, con tutto il rispetto, l’isola giace in un immobilismo quasi decadente. Nelle zone più fertili si vedono coltivazioni più che altro artigianali e quasi tutto viene importato.
Nelle camminate ho incontrato turisti inglesi e scozzesi, scoprendo che l’isola è meta di gruppi di subacquei che volano da Johannesburg (unico volo) per bellissime immersioni. Lontano da ogni flusso turistico, i pochi visitatori si conoscono tutti, si incontrano nei pochissimi posti di aggregazione. Nei tre giorni di visita all’Isola, incontriamo il Governatore inglese Nigel Phillips appena insediato per consegnargli una lettera che Paul aveva ricevuto dal discendente del primo Governatore dell’isola.
Poi, recandomi alla Plantation House (residenza del Governatore) fuori orario vengo accolto dalla padrona di casa, Emma, che scopro essere la moglie del Governatore e che, molto gentilmente, mi fa visitare la casa e il giardino dove incontro tortoise Jonathan. La tartaruga gigante più vecchia del mondo (191 anni!). Il giorno dopo, con la visita a Longwood House (ultima residenza di Napoleone) ci congediamo dall’Isola e riprendiamo il mare verso ovest…
….continua. Nella prossima puntata: Saint Helena – Salvador de Bahia
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