La ricetta per moltiplicare i velisti, in regata e in crociera: il divertimento

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Sembra l’uovo di Colombo, ma non lo è. Una vela dove ci si diverte, dove la condivisione vince sulla competizione, potrebbe essere la soluzione per evitare i fenomeni di dispersione giovanile e il “fuggi fuggi” dai club e dai campi di regata.

Facile? No. Il velista e giornalista Lamberto Cesari, attento studioso della “base” e delle sue dinamiche, spiega perché a parer suo il divertimento è la chiave per rendere la vela più diffusa e popolare, in ogni sua declinazione. Dalla regata alla crociera, dalle classi olimpiche all’uscita in famiglia in cabinato.

L’unica via alla vela “pop” è il divertimento

di Lamberto Cesari

Come far tornare a crescere il numero di velisti alle regate zonali e locali in Italia? Come evitare la dispersione giovanile dopo gli anni dell’Optimist? E come riuscire a vincere qualcosa di più di una medaglia in tre edizioni dei Giochi Olimpici? Come allargare la “base” di velisti ad ogni livello, dalle derive alle barche da crociera? Sono questi argomenti legati o non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro? E la Federazione, in tutto questo, che ruolo ha?

La complessità delle domande appena poste probabilmente è direttamente proporzionale alla quantità di volte che è stata chiesta, discussa tra gli appassionati nei circoli, sui social e tra le banchine. Il nostro è uno sport meraviglioso, ma porta con sé delle difficoltà pratiche e istituzionali che lo rendono chiuso o poco attrattivo, e non è raro che le persone che hanno conosciuto l’emozione di navigare a vela continuino a frequentare le spiagge ma attraverso strumenti più semplici e meno formali delle regate come windsurf e kitesurf; mentre i circoli si svuotano, la partecipazione cala e non si trovano più volontari per organizzare le regate.

Il “dilemma” della classe Optimist

Proviamo ad analizzare alcuni aspetti di questo problema che è complesso e merita diverse riflessioni. Innanzitutto la Federazione Italiana Vela viene finanziata attraverso le medaglie olimpiche, e questo fa in modo che la gran parte delle sue risorse vengono investite sulle squadre olimpiche e a cascata sulle classi giovanili con l’obbiettivo di supportare questo percorso.

optimist
foto di Fulvia Bernacca

A questo punto andrebbe aperta una parentesi sull’attività Optimist, che in Italia viene spinta non tanto dalla Federazione ma dalla classe stessa e dai soggetti che intorno le gravitano (allenatori professionisti, cantieri, velai) ed è finanziata in gran parte dalle famiglie, in un movimento che da una parte è molto bello e largamente partecipato, dall’altra ha raggiunto dei livelli di esasperazione (tra numero di giorni di vela, trasferte, cambi materiali, clinic) tali che dovrebbe indurre ad alcune riflessioni, prima tra tutte sul perché le nazioni che vincono consistentemente medaglie alle Olimpiadi non investono sull’Optimist (all’ultimo mondiale Gran Bretagna e Australia erano fuori dai primi 60).

Il risultato di questa situazione è che una volta che un bambino o una bambina mostrano talento o passione questo sport vengono inseriti in un percorso che inizia a portarli a regate zonali, nazionali, internazionali. Gli viene insegnato un regolamento e come utilizzarlo a proprio favore contro gli avversari, gli si insegna a prendersi cura della barca, a fare in modo che non ci sia nemmeno un graffio sulla deriva e a non far sbattere la vela per evitare che si rovini.

La concentrazione di circoli, allenatori, media si riversa su quella piccola percentuale che vince perché loro sono i prescelti per entrare in quel percorso che dovrebbe portare alle classi olimpiche, mentre la stragrande maggioranza dei ragazzini che fisiologicamente non hanno quella ambizione ma godono della compagnia o del piacere di navigare a vela vengono portati in giro ma lentamente perdono interesse (in questo caso va riconosciuto al circuito Kinder il lavoro di comunicazione che punta molto sull’inclusività).

In ogni caso, se un ragazzo o una ragazza volessero semplicemente prendere la barca a fare una veleggiata, o il bagno con gli amici, alare la barca sulla prima spiaggia per giocare; non sarebbe più consentito nel sistema attuale. Oppure provare a navigare di notte con una luce in testa d’albero o provando a montare un trapezio su di un laser: quello che tiene legate molte persone è il divertimento, il senso di partecipazione e il piacere di andare per mare ed il rischio è che non permettendo più questo l’abbandono diventi automatico, unito ai costi che l’attività post Optimist comporta.

La creazione del bacino

L’impressione però è che questo discorso sia permeato anche nella Federazione (con i limiti e vincoli di cui parlavamo prima), negli ultimi anni è stato fatto da classi e allenatori un lavoro importante di valorizzazione delle classi giovanili meno “competitive” come O’pen Skiff (ex O’pen Bic) e Feva, parte attiva dei campionati giovanili in singolo e doppio, e ritengo sia fondamentale per mantenere nell’ambiente un grande numero di bambini e famiglie che non sono interessati al livello di competitività della Classe Optimist.

I giochi di acqua sulla prua di un Open Bic. Foto di Martina Orsini

Questo sia per incrementare i numeri nello sport ma anche per attingere ad un bacino più grande in età successiva (i nostri recenti ori olimpici sono esempio di questa combinazione, con Ruggero Tita uscito dalla filiera “ufficiale” e Caterina Banti arrivata alla vela tramite una classe più ludica come l’Hobie 16).

Ma volendo guardare a nazioni più vincenti della nostra, e prendo in questo caso l’esempio della Norvegia che negli sport invernali è di gran lunga la nazione con il numero maggiore di medaglie per abitante, i bambini sono spinti a provare più sport possibili tenendo i costi bassi per le famiglie. Sotto i 13 anni non è permesso tenere i risultati delle gare e non ci sono trasferte o gare nazionali e fa parte di un documento programmatico che dice che “i bambini devono ricevere un’esperienza positiva ogni volta che prendono parte allo sport”. Gli adolescenti promettenti poi possono specializzarsi in una disciplina e ricevere allenamenti di alto livello, e chiunque segua lo sci alpino sa quale sia la qualità del bacino giovanile norvegese. Come allo stesso modo non può non saltare all’occhio quanti pochi siano i campioncini dell’Optimist che arrivano alle squadre olimpiche, non parliamo di medaglie.

Lo spostamento del focus dalla competizione al divertimento in età più giovane avrebbe quindi un doppio effetto, da una permetterebbe di creare una base (di atleti e famiglie) più larga e solida, dall’altra permetterebbe di focalizzare le risorse sui ragazzi non solo talentuosi, ma anche motivati durante gli anni più critici come quelli dell’adolescenza.

Se guardiamo alle eccellenze la classe Optimist ha il merito di formare una élite di velisti che arriva realmente preparata alle classi giovanili (dove siamo stabilmente tra le nazioni più forti al mondo almeno da vent’anni), ma è lì che sembra mancare il supporto necessario per il passaggio all’olimpica, dove la meritocrazia del campo di regata si scontra con un impegno economico difficilmente sostenibile da famiglie che con sacrifici sono riusciti a sostenere i ragazzi negli anni precedenti; i contributi di cambio classe sono un aiuto purtroppo non sufficiente e la selezione dei gruppi sportivi avviene già a risultati acquisiti nell’olimpica. Sarebbe bello pensare alla vela come uno sport democratico dove talento e impegno possono portare ad una medaglia, ma allo stato attuale delle cose purtroppo non è così.

Non è mai troppo tardi

Prendo alcuni spunti da un articolo particolarmente illuminante pubblicato da Rod Davis su Seahorse per estendere il discorso agli adulti e mostrare come i problemi siano simili in Italia come in Nuova Zelanda.

La vela ha un pregio rispetto ad ogni altro sport: permette di entrare anche ad età avanzata, a 30, 40, 50 e 60 anni. Per questo servirebbero dei percorsi per incentivare la vela per adulti, creare ambienti più rilassati per vivere lo sport, smettere con il marketing dell’esclusività che è solo controproducente: chiunque in Italia pensa che la vela sia uno sport solo per ricchi perché le aziende e la comunicazione non hanno fatto altro che presentarla così per decenni.

Se spendessimo una parte delle risorse che investiamo nel complicare la vela con rating, classi, limitazioni nel cercare di renderla più conviviale e divertente le persone avrebbero più piacere ad andare in barca.

divertimento
L’Hobie 16 regala divertimento puro

Le classi che hanno il successo più largo non sono quelle delle barche più veloci, ma quelle semplici, economiche e con un bel contesto sociale a terra, di feste che uniscono giovani e meno giovani: il grande successo di classi old style come Windsurfer e Hobie Cat 16 ne sono l’esempio. Esistono tante scuole vela, kite, windsurf in Italia che sfuggono all’egida della FIV, alcune famose come Caprera e tutte le altre scuole affiliate a CSEN e UISP. Questi enti si occupano di promozione sportiva, ma se poi anche loro partecipano a creare quel “bacino” che crea i velisti e regatanti di domani, la Federazione potrebbe cercare un approccio più collaborativo e inclusivo verso queste realtà.

Dove c’è avventura c’è successo

Inoltre perché le regate d’altura stanno avendo così tanto successo? Perché i valori per i quali la gente partecipa sono l’avventura, lo spirito di gruppo e la sfida, non la vittoria. Su questo dovremmo puntare, e anche i circoli dovrebbero pensare a modi più creativi di portare insieme le persone: regate con partenza dalla spiaggia, veleggiate notturne, arrivo in un posto notte all’ancora e rientro. Qualunque cosa promuova l’interazione abbassando le barriere all’ingresso.

Avventura crociera
Cosa spinge gli appassionati a partecipare alle regate d’altura, come la Middle Sea Race? Il senso dell’avventura, su tutto.

E tenendo sempre un pensiero in mente: non chiediamoci cosa può fare la Federazione o la classe o il circolo per me; chiediamoci cosa posso fare io per lo sport della vela e per la mia comunità. Tutti noi che viviamo e siamo amanti di questo sport possiamo fare la nostra parte, nel nostro circolo o nella nostra classe.

Chiudo con una citazione di Davis che mi ha fatto sorridere “Mio nonno si scandalizzava che non sapevo armare un albero al terzo, mio papà che non sapessi fare un punto con sestante e io che i bambini non sappiano armare un tangone. Dobbiamo tutti lasciarci andare, e guardare avanti non indietro”.

 

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1 commento su “La ricetta per moltiplicare i velisti, in regata e in crociera: il divertimento”

  1. Alberto alliney

    Condivido in pieno! La mia vita in barca a vela non ha portato coppe e medaglie, ma un percorso di vita e crescita che iniziato in gioventu con un 470 e oggi mi vede armatore di un bellissimo 33 piedi ormeggiato a Venezia. La mia storia e’ indissolubilmente legata alla vela ma non per risultati agonistici quanto per la voglia di trasmettete agli altri questo amore prima portando moglie e figli giovanissimi poi promuovendo la vela nel mio circolo nautico di pescatori sull’adriatico poi insegnando la vela su cabinato sul lago di Garda e ora portando ragazzi e adulti in giro per la laguna Veneta facendo piccole crociere e vita di bordo, uscite in notturna, regate costiere. Ultimamente sono impegnato anche nell’ organizzare eventi in flottiglia con gruppi di colleghi per progetti di team building e team spirit in barca a vela sul Garda. E’ un percorso diverso da quello istituzionale ma secondo me altrettando valido. Buon vento a tutti e che la vela sia per tutti noi!

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