Come abbiamo navigato 1500 miglia senza timone in pieno oceano
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Cosa fareste se, nel bel mezzo di una traversata atlantica, vi capitasse di perdere il timone? E’ quello che è successo allo Sweden Yacht 390 Egret di Patrick Marshall che, a 1.500 miglia dai Caraibi (con partenza da Capo Verde) si è ritrovato a dover affrontare metà Oceano Atlantico senza più la pala del timone attaccata allo scafo. Si sa, le difficoltà aguzzano l’ingegno e guardate un po’ che sistema si è inventato il signor Marshall (a bordo solo insieme alla moglie) e che ha poi condiviso sulle pagine di Yachting World. La domanda sorge spontanea: come si governa uno scafo di 39 piedi che pesa nove tonnellate in condizioni meteomarine impegnative (vento forza 7) senza timone e dovendo navigare anche di notte?
IL RACCONTO DELL’ARMATORE DI EGRET
Stavamo navigando splendidamente di lasco, sotto una luna piena incredibile, surfavamo sulle onde a sette nodi. All’improvviso abbiamo sentito un forte rumore metallico proveniente da sotto lo scafo, le vele hanno iniziato a sbattere, poiché la barca era andata fuori rotta. La prima cosa che ho pensato è che fosse un problema del pilota automatico, ma rimaneva impossibile governare la barca anche dalla ruota, così abbiamo deciso di avvolgere le vele (stavamo navigando per fortuna solo con genoa e staysail a farfalla) per capire cosa stava succedendo.
La seconda ipotesi che abbiamo formulato è che il problema fosse il collegamento tra la ruota del timone e la pala, ma quando ci siamo accorti che non era possibile timonare nemmeno dopo aver installato la barra di emergenza, abbiamo capito che il danno era al di sotto della linea di galleggiamento: avevamo perso la pala del timone.
ABBIAMO PERSO LA PALA DEL TIMONE!
La prima paura era che la perdita della pala avesse danneggiato anche la carena, per cui abbiamo subito azionato la pompa di sentina e ispezionato la zona in cui l’asse del timone entra nello scafo: tutto per fortuna era a posto. Intanto il sole aveva iniziato a sorgere e ci siamo presi un attimo di pausa con l’intenzione di comunicare via radio alle imbarcazioni vicine quello che ci era appena successo. Subito ricevemmo istruzioni adeguate alla situazione: quello che dovevamo fare era realizzare un sistema di trascinamento da lanciare a poppa che ci permettesse di condurre la barca.
Ci siamo messi subito al lavoro per improvvisarne uno. Abbiamo assicurato due cime alle bitte di poppa congiunte a triangolo a un sistema formato da: una cima di 12 metri, 4 metri di catena alla quale era attaccata la nostra ancora Bruce con assicurato un parabordo, altri 4 metri di cima con parabordo e infine altri 4 metri di catena con due parabordi, per un totale di 32 metri di trascinamento. Poi abbiamo collegato le scotte dello spinnaker alla prima sezione di catena, fatte passare da due bozzelli uno sulla mura di dritta e uno su quella di sinistra e rinviate a due winch in pozzetto.
Regolando le scotte dello spinnaker, lascando o cazzando quella di destra o quella di sinistra, siamo riusciti a controllare la rotta della barca e a virare o strambare a seconda delle necessità. Fatto questo rimaneva da risolvere l’assetto delle vele per navigare in rotta. Il migliore compromesso che siamo riusciti a trovare è stato quello di navigare al traverso solo con una piccola vela di prua con la possibilità di poggiare fino al lasco armando sottovento una staysail e tangonando sopravvento una piccola superficie di genoa con la possibilità di srotolarne di più se le condizioni l’avessero permsso. Il vento soffiava tra i 24 e i 30 nodi con onde di quattro metri: abbiamo quindi mantenuto sempre una concentrazione altissima, soprattutto durante le ore notturne.
ARRIVANO I SOCCORSI
Nel frattempo numerose barche sopraggiungenti ci hanno offerto il loro aiuto via radio. Abbiamo richiesto un po’ di diesel, perché il vento stava cominciando a calare, mentre continuavamo la nostra navigazione verso i Caraibi con una doppia vela di prua, alternando la staysail con la tormentina e il genoa tangonato, in modo tale che il piano velico fosse equilibrato e dovessimo aggiustare solo di poco la rotta attraverso il sistema di trascinamento che avevamo improvvisato. Abbiamo approfittato del calo di vento per provare diverse combinazioni di vele e essere così pronti a manovrare se le condizioni fossero peggiorate. Appena il vento è calato a sufficienza, siamo riusciti a farci accostare con un tender dall’equipaggo di uno yacht neozelandese, per recuperare due taniche di diesel che ci hanno consentito, dopo ventisei giorni di navigazione e 1.500 miglia senza timone, di arrivare a Santa Lucia.
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8 commenti su “Come abbiamo navigato 1500 miglia senza timone in pieno oceano”
Dire che l’equipaggio si sia comportato in maniera eccellente e’ forse banale. È’ questo un esempio di come in mare conta ancora e sempre il Marinaio.
Scusate , ma Vittorio Malingri ne ha fatte 3000 di miglia senza timone , in solitaria , durante la vendee globe , primo Italiano a partecipare.
Servirebbe piu’ attenzione verso i nostri grandi navigatori…
Sicuramente il grande e bravo Malingri ha saputo fronteggiare il grave problema della perdita del timone e Malingri da ottimo professionista ha provveduto egregiamente. Ci si aspetta un comportamento simile da un professionista, non certamente da uno sconosciuto navigatore, che ha saputo dimostrare,che pur non essendo professionista, ha saputo fronteggiare l’emergenza.
Perfettamente in sintonia con il commento precedente
http://www.velaallafinedelmondo.com
Ah quindi è una gara a chi fa più miglia senza timone?
Ernesto Tross l’ ha sempre detto. La randa non serve
Notevole! Mi chiedevo: a che profondità viene trascinata l’ancora? Perché mi sembra che qualche rischio lo presenti, se dovesse aggianciare qualcosa di voluminoso. Un solo parabordo ha una spinta sufficiente?
Questo fa capire l’importanza di portarsi sempre un timone a vento da montare all’occorrenza. Collisioni, UFO (quelli galleggianti, non gli omini verdi 😉 ) orche, avaria del pilota… Se qualcosa può andare storto, lo farà, diceva Murphy