Alain Gerbault, l’uomo che sfidò l’oceano e ispirò Moitessier
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Anche i maestri si ispirano ad altri maestri. Tutti gli appassionati di mare conoscono Bernard Moitessier, la sua fuga dal mondo civile e i suoi libri. C’è un marinaio, vissuto nella prima metà del ’900, che invece pochissimi hanno sentito nominare e che per Moitessier è stato indubbiamente una sorta di papà ideale: il suo nome è Alain Gerbault. Ex pilota di caccia, la mattina del 25 aprile 1923 prende il largo per tentare di attraversare l’Atlantico da Gibilterra a New York da solo, su una barca di 11 metri, senza alcuna esperienza di vela oceanica. Non solo riuscirà nell’impresa (diventanto il primo europeo a farlo), ma dagli Stati Uniti proseguirà in Pacifico, per tornare in Francia nel 1929 dopo una navigazione di oltre 40mila miglia.
MARINAIO E SCRITTORE
Gerbault ha narrato la sua traversata atlantica a bordo del Firecret in un bellissimo libro, ora edito anche in Italia (Cento giorni in solitario attraverso l’Atlantico, Ed. Endemunde, 10 euro). Con una prosa secca e asciutta, Gerbault riesce a portarci a bordo con lui, esprimendo perfettamente gli stati d’animo, gli imprevisti, i guasti e rischi di una navigazione di questo tipo in un’epoca così lontana.
GERBAULT E LA TEMPESTA
Ci troviamo allora a bordo quando il mare infuria e “un grande esercito di nuvoloni neri copriva il cielo dall’uno all’altro orizzonte, e cumuli di nuvole temporalesche erano sparse qua e là”. Immaginate la scena, le onde nascondono l’orizzonte, la pioggia incessante colpisce il timoniere per ore mentre non può lasciare la barra non tanto per tenere la rotta, quanto per sopravvivere. Un’immagine come tante nella letteratura marinara? Non proprio, perché il timoniere è nudo. E canta. “Ero inzuppato fino alle ossa, ora di schiuma ora di pioggia; ma faceva caldo e non avevo addosso alcun indumento, che in quelle circostanze sarebbe stato ben poco utile. Così, senza vestiti addosso, mi asciugavo assai più rapidamente. Non mi lamentavo del tempo cattivo: era quello che mi aspettavo, e che mette a prova l’abilità e la resistenza del marinaio, oltre che la forza della sua barca. Invece di impressionarmi per la maestà dell’oceano in furia, ero commosso all’avvicinarsi della lotta: avevo da fare con un avversario temibile e, allegro nella tempesta, cantavo tutte le canzoni marinaresche che riuscivo a ricordare”.
E quando il mare si infuria ancora di più, sola la prontezza di riflessi di Gerbault gli salva la vita in più occasioni: “Era mezzogiorno in punto; il Firecrest navigava quasi con vento al traverso, quando all’improvviso vidi sopraggiungere un enorme cavallone la cui cresta bianca ruggiva e superava in altezza tutte le altre. Stentavo a credere ai miei occhi: era una visione magnifica e spaventosa al tempo stesso; quella enorme montagna d’acqua si stava abbattendo su di me con un rumore di mille tuoni. Sapendo che, se restavo sul ponte, sarei andato incontro a morte sicura, ebbi appena il tempo di salire sull’albero maestro e quando arrivai a metà l’ondata travolse furiosamente il Firecrest, che sparì sotto tonnellate di acqua inferocita e spumeggiante. Il piccolo guscio esitò sotto l’urto di una forza immane, e io mi domandai se sarebbe stato in grado di risalire alla superficie”. Il Firecrest ce la fa, ma i danni e le rotture sono all’ordine del giorno e, per recuperare il fiocco finito in mare a causa del cedimento della drizza, Gerbault si ritrova a fare un bagno non certo voluto: “Camminando sul bompresso (…) ecco che una delle sartie si spezza sotto il mio peso, e io cado in mare. Per fortuna riesco ad aggrapparmi alla sottobarba e a ritornare sul ponte. Me la cavo con un bagno forzato di qualche secondo, ma la barca in quel momento faceva più di tre nodi e, se non avessi avuto la fortuna di afferrare la sottobarba, sarei restato solo in pieno oceano”.
UN BICCHIERE D’ACQUA AL GIORNO PER SOPRAVVIVERE
Gerbault vive l’incubo peggiore di ogni marinaio, quello della sete. La sua scorta si esaurisce rapidamente, anche perché il legno dei barili di rovere è troppo giovane e l’acido tannico la guasta: a 2.500 miglia da New York, il francese ha solo 50 litri d’acqua. Per sopravvivere, deve limitarsi a bere un solo bicchiere al giorno. Una sofferenza, mentre si trova nel Mar dei Sargassi e la febbre che lo colpisce aggrava ulteriormente la situazione. Solo l’arrivo di provvidenziali pioggie lo salvano e gli consentono di immagazzinare altra acqua dolce.
IL MANIFESTO DELLA LIBERTA’
In Gerbault, come in Moitessier, il rifiuto della civiltà e la volontà di tornare a una vita più legata alla natura è evidente. E’ lo stesso Alain a scrivere, forse senza rendersene conto, quello che può essere oggi considerato un vero e proprio manifesto della libertà: “Benché da secoli l’uomo sia abituato a vivere schiavo della civiltà, io non sarò costretto a fare la stessa vita servile e convenzionale. Padrone della mia barca, me ne andrò attorno per il mondo, ebbro di aria, di spazio, di luce, facendo la vita semplice del marinaio, bagnando nel sole un corpo che non è stato creato per essere prigioniero delle case costruite dagli uomini. E tutto felice di aver trovato la mia strada e realizzato il mio sogno, mentre sto alla barra , recito le mie poesie preferite sul mare…”.
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