“Come abbiamo vinto la RORC Caribbean 600 con il Class40 IBSA”
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C’è una regata che è potremmo definire il sogno caraibico di ogni velista. Veloce e tattica, fitta di manovre e rapidi cambi di direzione di venti e correnti, la RORC Caribbean 600 si sviluppa lungo un percorso di 600 miglia che da Antigua si dirige a nord, sfiora Barbuda e ruota attorno a Nevis, Saba e Saint Barth, doppia l’isola di Saint Martin e fa rotta a sud per girare Guadalupa, prima di puntare all’ultima boa al largo di Barbuda, e così tornare ad Antigua. Uno slalom intorno a 15 isole che sono considerate un paradiso in terra ma lungo un percorso complesso e ricco di insidie. Aperta a tutte le barche, non solo one-off, multiscafi in carbonio o barche oceaniche, alla RORC Caribbean 600 2023 hanno partecipato anche Beneteau First 40.7, Sun Fast 3200 e un “vecchio” Nautor Swan 441.
Quest’anno, per la vela italiana, la regata del Royal Ocean Racing Club è stata ricca di emozioni. Dalla doppietta di Bona e Beccaria, i “Coppi e Bartali della vela”, al secondo posto, a cardiopalma, di Giovanni Soldini con il suo Multi 70 Maserati, beffato per 11 secondi da Zoulou di Erik Maris, con a bordo il grande Loïck Peyron, senza dimenticare il successo di Gabriele Olivo, a bordo di Teasing Machine, la “mattatrice” delle lunghe, che ha vinto in classe IRC, la più competitiva, la RORC Caribbean 600.
Luca Bertacchi, team leader del progetto Class40 di IBSA e direttore sportivo del Circolo Vela Bellano, ha vinto la regata con Alberto Bona. Dal lago ai Caraibi… Ecco il suo emozionante racconto: dopo averlo letto, vi sembrerà di essere stati a bordo.
RORC Caribbean 600 – Una planata lunga 600 miglia
Ho avuto la fortuna di essere a bordo con Alberto Bona e il Team nella mitica RORC Caribbean 600, una regata che può essere assimilata alla “nostra” RORC Middle Sea Race. La prima tappa del “Campionato Mondiale” Class40. Sono felice di far rivivere la mia esperienza ai lettori del Giornale della Vela e trasferire un po’ dello spirito di questa meravigliosa classe offshore e di questi temerari marinai.
Cos’è un Class40
La Class40 è la classe off-shore più numerosa, con circa 100 scafi attivi, più di 40 di ultima generazione, oltre 20 in costruzione. I migliori progettisti della vela off-shore (Bertrand, Guelfi, Lombard, Manuard, Raison, Verdier, VPLP) stanno creando soluzioni e modelli sempre più performanti. Alla classe stanno approdando i migliori velisti delle classi Mini e Figaro.
Ma a cosa è dovuto tutto questo successo?
Il progetto nasce con l’idea di avere un’imbarcazione per armatori amatoriali, relativamente semplice, con regole di classe stringenti, appendici tradizionali, evitando la complicazione dei foil (ali) o della canting keel (chiglia basculante), e senza l’uso di carbonio per gli scafi. Questo rende le barche solide e accessibili a un numero molto più elevato di professionisti.
Come una grande ala planante
Le imbarcazioni di ultima generazione sono tutti scow (con prua tonda), scafi che proiettano il baglio massimo verso prua creando importanti volumi davanti e che permettono di trasformare lo scafo stesso in una grande ala planante. Il centro velico e il centro di deriva si sono spostati sempre più verso poppa con rake sempre più estremi. La barca come sensazioni e reazioni è molto simile a un multiscafo. La gestione dei pesi, degli equilibri e dell’inclinazione dello scafo è chiave e richiede aggiustamenti continui.
Il piano velico si compone di una randa square top, tre fiocchi rollabili murati in coperta in tre punti differenti, code 0 (che in Francia viene chiamato gennaker) e il gennaker (che in Francia viene definito spinnaker). La vela più grande di prua supera i 200mq!
Nasce per essere gestita da equipaggio ridotto. Le tecniche e i tempi di manovra chiaramente variano in maniera sensibile se si passa dalla gestione in solitario ad avere l’equipaggio (massimo 4 persone).
IBSA: il Class40 di Alberto Bona
La nostra imbarcazione, IBSA Class40, è il secondo scafo del nuovo modello Mach 5, disegnato dal francese Sam Manuard e costruito dal cantiere JPS che ha al suo attivo più di 40 Class40.
La barca pesa poco più di 4 tonnellate concentrate in chiglia e ha la possibilità di utilizzare 3 ballast per lato (serbatoi di acqua) che permettono di aggiungere circa 750 litri, creare stabilità e variare gli assetti nelle diverse andature.
Le mitiche regate dei Class40
Il nostro primo obiettivo del 2023 è il campionato assoluto che si compone di 5 prove tutte in equipaggio o per 2. La RORC Caribbean 600 appena disputata in equipaggio; la Défi Atlantique anch’essa in equipaggio, una vera sfida “contro corrente” di 3,500 miglia di rientro in Europa con tappa alle Azzorre e approdo finale a La Rochelle. La CIC Normandy Channel (per 2), bellissima regata di 1000 miglia che parte dalla Normandia, gira l’isola di Wight, doppia i due capi sud dell’Irlanda e dopo lo scoglio del Fastnet torna in Normandia. Le Sable – Horta regata in doppio di 3000 miglia a fine giugno che parte dalla Francia, gira attorno alle Azzorre e rientra a Les Sables d’Olonne. Il campionato si concluderà il 29 di ottobre con la Transat Jaques Vabre, regata lunga ben 4,250 miglia anch’essa in doppio con partenza da Le Havre in Francia per arrivare oltreoceano a Martinica dopo aver girato le isole di Capo Verde. In aggiunta al campionato faremo il Fastnet una regata classica da non perdere. Anche queste 700 miglia saranno percorse in equipaggio.
A bordo di IBSA alla RORC Caribbean 600
Lo spagnolo Pablo Santurde de l’Arco accompagnerà Alberto in questa stagione come co-Skipper. Pablo è un velista straordinario, ha 35 anni, ha iniziato la sua carriera a Santander nella squadra nazionale Spagnola come timoniere di 470 e ha un palmares straordinario nella Class40: ha vinto l’ultima Jacques Vabre, una Normandy Channel, una Les Sables Horta, ben 5 R0RC Caribbean 600 e fatto podio in tutte le regate disputate in Class40. Siamo veramente onorati di avere Pablo a bordo con noi questa stagione.
La RORC Caribbean 600 è stata un’esperienza favolosa, con un team favoloso e pianificata nei minimi particolari. Il livello questo anno era particolarmente alto con 13 agguerriti concorrenti. L’equipaggio per questa prima dell’anno era fondamentale, la barca è ancora da ottimizzare ed era importantissimo raccogliere il massimo dalla regata, per cui come terzo professionista a bordo per la regata abbiamo avuto la fortuna di avere Luke Berry.
Luke è inglese di nascita ma francese d’adozione. Laureato in ingegneria Navale a Southampton è stato armatore del primo Mach5, barca gemella di IBSA, con cui ha fatto il 7° posto all’ultima Rotta del Rhum. Il progetto del Mach5 deve molto al contributo di Luke che avendo avuto il Mach3 in precedenza ha sviluppato insieme al Progettista Manuard soluzioni per renderlo più efficace, sicuro e meno bagnato soprattutto in condizioni di onda formata e vento al lasco.
Quel “più” del velista offshore
Vedere all’opera questi tre marinai in barca è stata una vera gioia. Io ho avuto la fortuna di veleggiare con dei fantastici professionisti tra le boe dei campi di regata, ma il velista offshore ha qualcosa di diverso. È mosso da una ricerca continua della sfida, conosce la sua barca come fosse una parte di sé stesso, spesso la ha anche pensata e costruita. Deve essere un marinaio a 360° sapere fare un “peeling” (cambio di spinnaker) a prua, regolare al meglio le vele, volare sotto coperta quando, come è successo a noi, si sente puzza di bruciato e capire che parte dell’impianto elettrico è saltata….e poi correre al timone e rifare volare sulle onde la sua compagna, che aveva lasciato solo qualche minuto al pilota automatico, bravo sì ma non come lui.
Scegliere le vele giuste per la RORC Caribbean 600
Tornando alla nostra regata, un altro aspetto cruciale era avere il set di vele giuste alla partenza. Per regolamento si possono avere, oltre alla randa e ai 3 fiocchi, solo 4 vele non inferite (gennaker e spinnaker). Per l’occasione abbiamo portato ai Caraibi 2 vele che non avevamo usato nella Rotta del Rhum che poi sono dimostrate cruciali nell’arcipelago caraibico. La prima, un gennaker “frazionato” (il Frac) di dimensioni inferiori, che permette di raggiungere angoli stretti al vento anche con intensità oltre i 20 nodi, quando il testa d’albero non può essere usato. La seconda, uno spinnaker “polivalente” che pur essendo di grandi dimensioni ci permetteva qualche “libertà” in più rispetto all’A2, la vela più grande e leggera della barca che chiaramente all’aumentare del vento diventa sempre più delicata da maneggiare.
La vela off-shore parla francese
Nei giorni prima della regata siamo usciti ad allenarci, a provare le vele e a definire i protocolli di comunicazione. Si è deciso di usare il francese come lingua di bordo. Tutti sono cresciuti nell’ambiente della vela off-shore francese ed erano più familiari con il dizionario tecnico. Nelle issate Pablo e Luke erano responsabili della prua mentre con Alberto li seguivamo dal pozzetto. Essendo in quattro abbiamo limitato l’uso del pilota automatico di giorno per ottimizzare la velocità e gli angoli. Durante la notte il buon pilota di bordo è stato fondamentale. Ho rispolverato il mio francese e cercato di memorizzare tutti i termini velici….devo dire che durante la regata abbiamo ironizzato sul nostro “multicultural approach”, degno delle migliori barzellette.
Si parte! Slalom tra le isole con il Frac
Il 20, giorno della partenza, abbiamo ricevuto l’ultimo briefing meteo con indicazioni di dettaglio per fare il routage definitivo sul sistema di navigazione e definire la strategia di regata. Il meteo ci indicava venti medi prevalenti tra i 15 e i 25 nodi con direzione abbastanza costante Est-Nord Est per cui abbiamo deciso di non portare alcun spi medio ma solo vele leggere con la sola eccezione del gennaker frazionato, “il Frac”, che poi si è dimostrata una delle mosse vincenti.
Il percorso è estremamente tecnico e intenso per queste imbarcazioni: 600 miglia divisi in 14 gambe (vedi cartina con tracciato). Uno slalom tra le isole che alterna zone di mare formato con zone di ridosso. L’orografia è particolare: isole vulcaniche che arrivano fino ai 1,500 metri di Guadalupa. I monti si alternano a piane con valli e Alberto le ha studiate nel dettaglio con il suo aereoplanino virtuale, definendo gli effetti del vento in ogni situazione. Abbiamo programmato in anticipo distanze, strategia delle manovre e dei cambi vele.
La scelta giusta
Partenza ore 11.10 sotto la scogliera dell’English Harbour con una ventina di nodi e ballast scarichi per avere agilità di manovra, ci troviamo nel traffico e prendiamo una penalità dai francesi di Curium: si gira e si riparte. Siamo settimi ma la barca va bene di bolina. Scegliamo il lato sinistro del campo per prendere i “buoni” e la protezione dalle onde che la costa a sinistra ci offre. Riusciamo ad arrivare alla fine della bolina in sesta posizione lasciando a destra il capo di Man of War per il traverso e qui tiriamo fuori la prima arma, il Frac. Il vento oscilla tra i 20 e i 25 nodi ma l’angolo di vento reale è troppo stretto per portare il gennaker grande, il frazionato è l’unica vela giusta e solo noi e Brian Thompson su Tquila, lo abbiamo a bordo. Ci permette di andare veloci e in rotta mentre gli altri devono decidere se salire al vento con il genoa e scendere con il testa d’albero o fare la manovra opposta, comunque tanta strada in più.
L’Alberto in Frac ci permette di arrivare a Barbuda primi e iniziare la terza gamba dal lato favorevole. Il vento è ancora fresco arriveremo a Petit Nevis con la notte, dovremo manovrare fare il cambio fra spi e gennaker, e decidiamo di mettere lo spi più pesante che abbiamo a bordo, comunque un 195mq. Ancora si dimostra la scelta giusta, la barca va bene la vela è molto stabile. Dopo una serie di strambate giriamo Nevis ancora primi con dietro AllaGrande Pirelli di Ambrogio Beccaria, che fa un’ottima poppa recuperando alcune posizioni e inizia ad incalzarci.
Riposare se possibile
Abbiamo già fatto qualche riposino alternandoci. Mi ricavo un buco tra i due paramezzali accanto all’albero dove inserisco il cuscino che abbiamo a bordo. Abbiamo anche un materassino da Yoga che viene messo nello spazio sopravvento appena sotto il tambuccio. Se non si manovra, si cerca di riposare, anche se dentro è come un tamburo, sia per i rumori sia per le botte secche.
Si riparte per la gamba numero 5, cinquanta miglia a ridosso di Saint Kitts alla volta di Saba. Qui mettiamo il gennaker grande e manteniamo i distacchi ma l’approccio sotto l’alta Saba per primi è rischioso. Stiamo troppo sotto l’isola e perdiamo il vento più a lungo degli altri che rimangono più larghi. Siamo di nuovo riuniti per una lunga bolina notturna alla volta della bella Saint Barths. Il bordo è obbligato ed il bordeggio in copertura sul secondo ci permette di arrivare alla boa ancora primi e aprire lo spi leggero.
Nelle manovre notturne di spi, illuminati solo dalle luci frontali, si vede la capacità di questi fantastici sailors, si parla molto poco, tutti sanno cosa fare in ogni ruolo che scambiano se necessario. Spesso in regata ho visto il prodiere litigare con il pozzetto, qui non succede mai. Chi è dietro sa bene cosa vuol dire essere a prua, dove si trova spesso, e anticipa la difficoltà in maniera telepatica. Io mi muovo su istruzioni precise con la pressione di non sbagliare. Manovre fantastiche, sono estasiato.
Con Ambrogio Beccaria sempre sul fiato
Alle prime luci del secondo giorno arriviamo alle spiagge di Saint Martin, verso le 8 passiamo dai bassifondi sabbiosi a nord dell’isola e si riparte di bolina, la corrente è poca e l’isola piatta favorisce il lato destro. La barca va molto bene, Pirelli, che ci tallona sempre, non riesce a trovare alternative valide e allunghiamo. I miei tre moschettieri mi regalano quest’intera bolina, sto al timone con una gioia meravigliosa. La barca ha reazioni diverse dalle barche che ho timonato in precedenza, è facile andare più poggiati del dovuto soprattutto sulle onde, si deve cercare di mantenere un heel (inclinazione) ottimale e dei target di velocità ben definiti, è un macchina di precisione da maneggiare con cautela.
Prima di ogni manovra facciamo il matossage. Tutti i pesi all’interno della barca vengono spostati in base al bilanciamento ottimale da raggiungere. La barca è un guscio vuoto con solo buchi creati dalle strutture, madieri e paramezzali, e alcuni teli per contenere. Li riempiamo di vele, taniche d’acqua, sacche di vestiti e cibo. Nei giorni di allenamento ho studiato i movimenti isterici della barca che plana battendo la sua larga prua. Dopo qualche giorno, ci si abitua ma l’attenzione deve rimanere alta.
La cavalcata di 150 miglia
Dopo Saint Martin si riparte al traverso con il gennaker e allunghiamo la barca va molto bene per la gamba 9, un lungo traverso verso Guadalupa, una cavalcata di 150 miglia dovendo lasciare Monserrat a dritta per poi arrivare all’approccio di Guadalupa, che sappiamo essere critico. Prima della regata abbiamo discusso quest’approccio nel dettaglio, Pablo lo ha fatto sette volte, Luke due e sempre abbastanza con sfortuna. Alberto, che è un maestro anche nelle navigazioni costiere, lo ha studiato tanto per l’arrivo della Rotta del Rum. Sappiamo che arriveremo verso mezzanotte, che dovremo cercare le brezze sottocosta soprattutto nel cono d’ombra della grande montagna. Ma senza esagerare altrimenti puoi rimanere inesorabilmente pitturato sullo sfondo dell’isola francese.
Stiamo lasciando Monserrat a dritta sempre in prima posizione, è stata una giornata impegnativa, la prima parte della discesa da Saint Martin è risultata più complessa del previsto con molti groppi e situazioni che non sempre ci hanno avvantaggiato. Mangio l’ennesimo panino con il prosciutto e il formaggio, che solo dopo la partenza abbiamo scoperto essere alla senape: ne abbiamo fatti 40! Un po’ nauseato vado a riposare sapendo che sarà una lunga e difficile notte.
I francesi fanno paura
Mi sveglio dopo ben 3 ore, l’andatura ha favorito un sonno profondo, risalgo sul ponte, un po’ intorpidito dal mio buco, siamo sotto Guadalupa è notte inoltrata, poca aria, boliniamo con il gennaker. Alberto mi aggiorna:AllaGrande Pirelli ha approfittato di alcuni temporali ed è riuscita a recuperare, è appena più avanti di noi ma quello che ci preoccupa di più è Project Rescue Ocean di Axel Trehin, il campione francese che è riuscito a sfruttare le brezze sottocosta e sta sfilando sopravento.
Lo spirito che anima i campioni
Axel ha una bella barca, buona boliniera, disegnata da David Raison, l’inventore dei moderni scow. Dopo la regata ho avuto occasione di bere una birra con lui e complimentarmi per la bellissima regata e di come era riuscito a beffarci sotto Guadalupa. Lui sorride e mi risponde che lui da il meglio quando è in difficoltà. Abbiamo parlato per un’ora e mi ha raccontato come durante la recente Rotta del Rhum sia partito da Saint Malo con il ginocchio rotto, che spesso si bloccava. Durante i tremendi fronti iniziali alle volte non riusciva a muoversi, ma è proprio in quelle difficoltà che lui si sente vivo. Axel ha chiuso la rotta del Rhum decimo dopo aver rotto l’albero, essersi fermato alle Azzorre per sostituirlo e avere ricevuto l’albero da un altro partecipante impossibilitato a continuare. Prima della 600 il Team Bona ha pulito la chiglia di Axel che aveva dei problemi: questo è lo spirito che anima questi meravigliosi campioni.
Tutto da rifare!
Decidiamo di portarci sopravento a Pirelli e chiudere il distacco da Axel, la cui lucina verde continua minacciosamente a correre veloce alla nostra sinistra. Siamo fortunati, prendiamo una bella refola che ci sospinge fino a ridosso del francese che però riesce ad allungare. Nel frattempo anche Pirelli prende buon vento e si porta avanti a noi. Riusciamo a non fermarci ma arriviamo a l’Îles de Saint terzi. Tutto da rifare.
Siamo terzi. Bisogna recuperare!
Partiamo per la gamba 11, per un’altra bolina di 40 miglia alla volta di Desirade. Sappiamo che recuperare Axel e Ambrogio di bolina non sarà facile ma il morale è alto e mancano ancora tante miglia. Stiamo esterni, la corrente non è forte e i venti favorevoli, non conviene attaccare lasciando a dritta l’isola di Marie Galande. Stiamo più esterni di tutti e riusciamo a recuperare arriviamo all’isola di Desirade, sulla punta nord di Guadalupa secondi. Un’altra bella manovra e issiamo il gennaker in testa d’albero. In quest’andatura IBSA va bene e sappiamo di avere qualche cavallo in più rispetto al Francese, li usiamo tutti e planando sulle onde riusciamo a riprendere la testa della Corsa all’altezza di Antigua.
Ancora una volta è bello osservare Alberto e Luke al timone, tecniche diverse ma entrambe estremamente efficaci. Luke nasce surfista, gli piace caricare la barca e planare come se fosse su una plancetta, Albi scarica i ballast e tiene la barca più inclinata ma con una straordinaria efficacia di angolo e velocità.
I sargassi, un mare di alghe
Questo bordo e il successivo sono stati incredibilmente impegnativi per la presenza dei sargassi, un fenomeno che negli ultimi anni sta affliggendo il Mare dei Caraibi. L’uso intensivo di fertilizzanti sta creando la proliferazione di queste alghe galleggianti che si generano sulle coste del Brasile e Africane e vengono spinte ai Caraibi dalle correnti. Spesso sono vere e proprie isole difficili da evitare. I timoni si riempiono e necessitano di continue manovre con l’utilizzo di un’asta speciale per potere pulirli e continuare a navigare. Ancora una volta liberarci dai Sargassi diventa un’altra onerosa attività che l’equipaggio affronta con costante diligenza.
Ancora alghe…
Approcciamo la boa di Barbuda un po’ bassi perdendo parte del vantaggio cumulato ma ancora una volta facciamo la manovra impeccabile issando lo spi leggero. Nonostante il vento sia sui 25 nodi e sopra il target per questa vela, si conferma una scelta azzeccata essendo abbastanza poggiati e con poca onda. La barca vola, e con noi volano anche gli amici di Pirelli con la stessa scelta che i concorrenti più vicini non fanno optando per vele più piccole e perdendo terreno.
Ancora una tratta piena di sargassi. Per liberare il timone bisogna poggiare rallentare dai 18 ai 9 nodi e usare l’asta. Per liberare la chiglia, che vediamo con la telecamera collegata agli strumenti di bordo, straorzare e inclinare la barca. Queste operazioni vengo ripetute a intervalli costanti, la seconda non con poca apprensione per me che sono alla scotta dello spi leggero pronto ad evitare che la straorza si trasformi in una rottura.
Pirelli esplode lo spi
Ci mancano due strambate per girare l’alta isola di Redonda, abbiamo il secondo a un miglio e non dobbiamo sbagliare. Poco prima della seconda ci voltiamo e vediamo Pirelli senza spi, scoppiato durante la prima manovra. L’idea che possa succedere anche a noi alza la tensione e la concentrazione, si stramba e si approccia il sottovento dell’isola per partire per il bordo finale: un’altra lunga bolina di 40 miglia.
Ultime miglia: marcatura stretta
Siamo al tramonto e dietro di noi sorge la luna crescente, che curiosamente guarda verso l’alto, come un sorriso. Sorrido anch’io e penso ai tanti detti che a queste latitudini non sono applicabili. Si decide di attuare una stretta copertura sul secondo, il vento diventa instabile sotto Antigua e non vogliamo rischiare. Viriamo in modo da rimanere sempre tra l’arrivo e il nostro avversario e finalmente, poco dopo la mezzanotte, dopo più di due giorni e mezzo tagliamo il traguardo contenti di quello che abbiamo fatto e meritato.
Luca Bertacchi
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Ci ha scritto Gaetano Iannini, “assiduo lettore appassionato di vela e, forse, anche un po’ drogato, velista da sempre”. E’ sempre andato in barca, fin da ragazzo. Prima in windsurf, poi sul lago Maggiore con un progetto Besozzi One Design