
Da poco più di un anno la patente nautica è cambiata. In meglio o in peggio? Una voce autorevole, Pietro Calvelli, presidente dello Yacht Club Romagna (Centro di Istruzione Nautica e Scuola Nautica, Scuola Federale di Vela d’Altura, Centro di Formazione approvato da World Sailing) e velista di lungo corso, sostiene che oggi la patente nautica, ancor più di prima, non è in grado di certificare le effettive capacità nautiche e marinare. E lo spiega nel dettaglio, a partire dal fatto che avere nozioni teoriche non vuol dire saper andar per mare e svelando i retroscena burocratici. Leggete il suo articolo e fateci sapere cosa ne pensate con un commento.
Patente nautica: business, prevaricazione, inefficienza
In molti Paesi non c’è obbligo di patente nautica, per esempio Gran Bretagna ed in Francia solo per le unità a motore. Se infatti noleggi una barca in Francia o Martinica, ti chiedono una carta di credito, ma nessuna patente. In Olanda cominciarono a consegnarla d’ufficio ai propri cittadini, ai quali veniva richiesta se navigavano in Germania.
Anni fa in Italia questa veniva rilasciata dalle Società Sportive o bastava la tessera FIV. Nel 1978, con un notevole curriculum velico sportivo e dopo aver ottenuto la patente, ottenni anche il permesso di preparare persone per sostenere lo stesso esame in Capitaneria. Oggi un trentenne non potrebbe fare altrettanto, a meno che non abbia la patente da 10 anni e le disponibilità per una fideiussione da 60.000 euro. Guarda caso la medesima fideiussione che ogni autoscuola deve aver già fatto per esercitare il mestiere. Oltre alle solite barche immatricolate ed assicurate anche per i trasportati.
Patente nautica, questione di soldi?
Sostanzialmente la patente nautica non è più la dimostrazione di capacità nautiche e, con l’ultimo decreto di ottobre 2021, è definitivamente ridotta a business di quasi esclusiva pertinenza delle autoscuole. Infatti questo processo si è ora completato con l’espulsione da questa attività di Lega Navale e Federvela. L’unica speranza è che queste organizzazioni nazionali sappiano reagire in modo adeguato per rivendicare il proprio ruolo.
Il processo di involuzione si è compiuto con brevi ma significativi passi successivi, tutti contrastanti con il diritto di libera impresa e promossi da una nota lobby.
Una volta l’autorizzazione ad esercitare il servizio di scuola per patenti nautiche era attribuito dalle Capitanerie ad una persona. Trasferire questo compito alle Province, (peraltro ora operanti nello status di “abolite”), fu il primo passo per trasferire il business alle autoscuole.
Nel 1999 organizzai il primo corso on line gratuito e sperimentale. Le 9 persone che lo seguirono ottennero la loro patente ed i corsi successivi divennero subordinati ad una quota d’iscrizione. Guarda caso questo tipo di corso fu formalmente vietato in tempi brevi, obbligando gli studenti alle presenze in aula. Tutto sotto il controllo dell’organizzazione delle Province, salvo poi renderli praticamente obbligatori solo molti anni dopo, a causa del covid.
Poi, alla fine del secolo scorso, a causa della mancanza di un sufficiente numero di esaminatori competenti e disponibili, alcune Capitanerie decisero di organizzare gli esami teorici esclusivamente mediante compiti scritti, quiz e carteggi.
Finché dalla Capitaneria di Genova furono elaborati nuovi quiz, imposti alle altre Capitanerie del Paese.
Tra questi uno esilarante che sosteneva che se la prua accosta a dritta di 10°, la poppa accosta a sinistra di 20°. Poi corretto, come tante altre perle, in un diverso quiz, simile ma ugualmente errato. Aver fatto rilevare diversi errori simili non mi ha reso popolare presso gli operatori dipendenti dalle Capitanerie, nonostante questi rilievi fossero fatti con puro spirito collaborativo e costruttivo.
Naturalmente, in seguito all’obbedienza passiva e silenziosa dell’intero paese, a ottobre 2021, è stato deciso che per potersi presentare ad un esame di patente nautica, il candidato debba certificare che ha eseguito almeno 5 ore di esercizi pratici con una “scuola nautica”, anche se prima fosse stato il timoniere di Azzurra. Naturalmente pagando il corrispettivo.
Quindi, paradossalmente, lo Stato certifica di non essere in grado di valutare le capacità di un candidato senza ignorare il nulla osta rilasciato da una autoscuola divenuta anche scuola nautica. Inoltre un libero cittadino non può più presentarsi ad un esame da “privatista” ma ha l’obbligo di farsi presentare da una “Scuola” riconosciuta tale.
Patente nautica, la scomparsa del privatista
Come molti coetanei, patenti moto, auto e barca, le ho sempre ottenute con il mio studio e la mia presentazione da privato cittadino. Il fatto che il libero cittadino oggi non lo possa più fare lo ritengo un grave vulnus libertà di tutti e ritengo che di fatto sia la concessione alle Scuole del monopolio di un’attività ed al diritto di riscuotere una gabella resa obbligatoria per tutti, senza che questa incrementi le entrate dello Stato.
Qual è il valore di un documento che attesta la capacità di navigare in ogni oceano a chi ha risposto correttamente che cosa sia la “varea”, ma non ha mai navigato un’ora di notte? Oggi il neo patentato a volte è in condizioni peggiori di un non patentato quando si tratta di ormeggiare di poppa in banchina tra altre barche all’ancora. Oppure affrontare un temporale estivo.
Tasse, burocrazia, costi
Ho potuto constatare di persona quanto siano aumentati nel corso degli anni tasse, burocrazia e costi, senza giovare al cittadino, allo Stato ed alle effettive capacità di chi va in mare per diporto.
Le nuove norme, tanto per rendere più difficoltosa la prova di esame, obbligano le Capitanerie ad una nuova procedura, vale a dire a convocare il candidato una prima volta in una data per sottoporsi alla prova teorica, ignorando totalmente la data della prova pratica che forse sarà una o due settimane dopo. Sempre in giornate feriali, dal martedì al venerdì, con grande gioia di chi risiede lontano e svolge un lavoro.
Di pari passo con la diminuzione dell’autonomia di ogni cittadino e l’accresciuta incapacità dello Stato di fare fronte ad un settore rilevante dell’economia nazionale.
Per esempio parliamo del versamento della “tassa rilascio stampati” (€1,36), da versare in posta e mettere in archivio dalla Capitaneria. Non sarebbe più semplice per tutti versare un’unica volta 80 o 90 € invece di 3 versamenti da 20, 45 e 1,35 euro? Ancora oggi da archiviare singolarmente sul cartaceo… per la gioia dei dipendenti delle Capitanerie ed il costo che comporta la tripla operazione.
Va poi chiarito che la lunghezza di ogni operazione relativa alle patenti nautiche non può essere imputata ai singoli dipendenti delle Capitanerie, bensì all’inefficienza dello Stato che non vuole prendere atto che i suoi cittadini richiedono i suoi servizi soprattutto in certi periodi dell’anno, ma non è in grado di organizzarsi… La sua inefficienza ovviamente si riflette sull’intero comparto commerciale della nautica da diporto e desidero qui testimoniare l’evoluzione negativa alla quale ho potuto assistere dal 1978 ad oggi.
Non è una consolazione accorgersi che questa involuzione negativa di efficienza, diritti e servizi non riguarda solo questo campo ristretto, ma anche tutto il resto della burocrazia del Paese.
Pietro Calvelli
2 commenti su “Patente nautica. La devi fare ma non ti insegna a andare in barca”
Vorrei far notare che quando un candidato si rivolge ad una scuola nautica, o ad un CIN,per frequentare un corso per conseguire la patente nautica, la scuola presenta il programma delle lezioni dove sono descritte la durata delle lezioni teoriche e pratiche e le ore. Nei CIN le ore non soso inferiori alle 50 ore e le prove pratiche mai inferiori alle 16 ore. Da qui’ si puo evincere che il candidato ha effettuato le prove in mare didattiche e non semplici passeggiate, quindi a mio avviso non e’ necessaria la certificazione richiesta. Mentre potrebbe essere richiesta per I privatisti per I quali e’ ignota la qualita della preparazione. Qui capirei che le scuole titolate a rilasciare la ceetificazione fossero le scuole nautiche, visto che I cin non possono per statuto lucrare. Ma questo non deve giustificare che 5 ore di pratica costino 100 euro l’ora, cioe’ quasi quanto il costo di un corso completo compresa la certificazione, c’e’ qualcosa che stride. Per non parlare dell’uso dell’imbarcazione per sostenere gli esami. Per le manovre che il candidato deve effettuare per essere esaminato andrebbe bene anche una deriva collettiva tipo trident non un cabinato da 50 piedi. L’uso della barca a motore non dovrebbe essere utilizzata una imbarcazione con fuiribordo, in quanto no c’e’ l’interazione dell’elica colll timone per giudicare la condotta e le manovre. Perche’ e concludo il motore deve essere di potenza superiore ai 45 CV? Forse stiamo giudicando la conduzione ad alta velocita?
La lettera di Pietro Calvelli è sicuramente un grido di sconforto, di disappunto e di allarme nel mondo della nautica da diporto. Credo che chi ha esperienza in questo settore e ne sia attento e informato, non possa considerare le ultime disposizioni ministeriali come utili al miglioramento dello stesso comparto. Opero nella nautica da diporto e non solo, da oltre 35 anni, dedicando a questa il mio tempo e la mia passione/ missione. Ho quindi visto nel corso di questo lungo periodo, purtroppo pochi aspetti positivi del settore. Per rimanere nei termini, mi sono trovato il più delle volte contro corrente. Con le ultime disposizioni penso che siamo ora difronte ad una involuzione totale. Effettivamente, erano già tanti i problemi cui era immerso il diporto, che il signor Calvelli ha in parte esposto, ora, non solo molte lacune non sono colmate ma ne sono state paradossalmente create delle altre.
Potremmo dilungarci su vari temi ma basta citarne uno simbolicamente che riguarda i quiz d’esame. In prmis, non ammetto, per quanto riguarda la mia etica, che una materia cosi importante e complessa, debba essere sminuita con test a quiz, scritti. Cosa altrettanto importante è il contenuto delle stesse domande somministrate….. Credo che chi abbia in chiaro la materia ” Navigazione ” possa sinceramente esporre le sue più ovvie considerazioni a riguardo. Concludo sottolineando quanto già affermato dal Calvelli , circa l’interesse di un business piuttosto che l’apporto di sicurezza e cultura nel diporto nautico.