Così è rinata Moby Dick, barca mito della vela anni ’70

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A sinistra, Moby Dick, 42 piedi disegnato da Douglas Peterson e costruito da Gallinari in legno lamenllare, nel 1977 in regata nel canale del Solent durante l’Admiral’s Cup. Moby Dick arrivò secondo alla Channel Race, miglior risultato della squadra italiana. A destra la prima uscita di Moby Dick dopo il restauro concluso nel 2022. A bordo famigliari e amici. Lorenzo Bortolotti, l’armatore, è quello con gli occhiali sulla destra in seconda fila.

La nuova vita di una barca, riportata ai suoi antichi splendori, è sempre una buona notizia. Lo è ancor di più se è è un mito della vela italiana, il Moby Dick, 42 piedi progetto di Doug Peterson. Se poi è anche la storia di un armatore che l’ha posseduta a metà degli anni ’70, l’ha venduta e dopo 40 anni se l’è ricomprata per farla rivivere, allora questo racconto si tinge di passione e amore

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Il servizio sull’Admiral’s Cup del 1977 del Giornale della Vela. Se ti abboni al Giornale della Vela puoi sfogliare gratis l’archivio storico digitale del GdV

L’incredibile storia del Moby Dick

Era il 1977, Cowes, isola di Wight, Inghilterra. Il 42 piedi Moby Dick della famiglia Bortolotti, con a bordo un equipaggio di italiani che non superano i 30 anni, arriva secondo nella Channel Race.

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Moby Dick nel 1977 in regata. Lorenzo Bortolotti è al timone.

Un grande risultato. Moby Dick conclude al 17° posto tra le migliori 57 barche del mondo in rappresentanza di 19 nazioni. Siamo all’Admiral’s Cup, il campionato del mondo a squadre nazionali di tre scafi per nazione. Il top della vela mondiale. Moby Dick lungo le prestigiose banchine di Cowes, il tempio della vela europea, è una delle barche più ammirate. Non solo perché si è dimostrata velocissima, ma anche perché è un’opera d’arte che solo in Italia sanno realizzare. E il mondo lo sa.

Prima parte. La costruzione di Moby Dick

L’ha costruita il cantiere di Peppino Gallinari ad Anzio, famoso per aver realizzato anche le barche di Giulio Cesare Carcano, come il Vihuela. Gallinati le costruisce in legno lamellare. Per Moby Dick Peppino utilizza quattro strati incrociati e incollati a 45° di legno Okumè da 6 millimetri, il più leggero in circolazione. Null’altro. La costruzione è talmente perfetta che batte per rigidità e leggerezza quelle in alluminio, a torto ritenuto allora il materiale più idoneo per realizare una barca da regata.

Seconda parte. Il progetto di Moby Dick

Il progetto poi è di quello statunitense che ha fatto vedere i sorci verdi al nostro fuoriclasse Tino Straulino, quando si è presentato nel 1973 in Sardegna con una barca autocostruita dal nome Ganbare. La prima barca progettata da Doug Peterson non vince per un errore ad un giro di boa, ma rivoluziona il mondo della progettazione.

Le sue barche sono più leggere e con minore superficie immersa di tutte le altre. In due parole sono più veloci e completamente diverse dalle altre.

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Il varo di Moby Dick dopo il restauro. Da notare il timone a barra che ha sostituito quella a ruota singola

Moby Dick, classe two tonner IOR, è uno dei migliori disegni usciti dalla matita di Peterson. Ed è anche bellissimo, oltre che veloce. Grigio con una semplice linea bianca, la poppa e la coperta in teak a listelli fanno capire che era pur sempre una barca di legno, costruita da un mastro d’ascia moderno.

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le linee a coppa di champagne di Moby Dick, opera di Doug Peterson e la caratteristica poppa a a cuore, simbolo delle barche dell’epoca anni ‘70.

Terza parte. L’armatore

In questa storia di rinascita di un mito ci manca il protagonista, l’armatore appassionato e innamorato della sua barca che molla e riprende, come in una storia d’amore. Si chiama Lorenzo Bortolotti, chi ha frequentato i campi di regata d’Italia e del mondo sa benissimo chi è.

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L’interno di Moby Dick dopo la ristrutturazione. Un open space totale da prua a poppa che esalta la costruzione in legno.

Vi diciamo solo che in quegli anni ’70 è un mito per chi, come me, lo segue da allora. Fortissimo al timone, taciturno, nelle regate lunghe non dorme quasi mai e sa motivare il suo equipaggio. Dimenticavamo, fa regate con la sua famiglia da quando è un ragazzino. E le sue barche le conosce come le sue tasche.

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Il quadrato e la zona poppiera. Da notare le cuccette alte sopra quelle basse in quadrato.

E’ lui l’anima di Moby Dick, senza Lorenzo non saremmo qui a parlare di questa bella storia di vela.
Bortolotti, solo per citare qualcosa del suo enorme curriculum, ha vinto campionati del mondo, è stato il boss di una campagna di Coppa America, ha contribuito a far nascere la classe Maxi. Adesso ha residenza Montecarlo e vende (anche) gli Swan.

Quarta parte. Perché far rinascere Moby Dick

Cosa ha fatto Lorenzo, ed è qui il nocciolo di questa storia? Lorenzo ha recuperato la sua gloriosa barca di famiglia, quarant’anni dopo. Ha riconquistato e fatto rinascere proprio quel Moby Dick, il two tonner di Peterson costruita da Gallinari. Perché è, malgrado tanti altri Moby Dick che la sua famiglia ha posseduto, quella a cui è più affezionato. Che ha amato di più, di cui ha ricordi memorabili.

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Il Moby Dick ormeggiato a Montecarlo. Moby Dick è ritornata anche a regatare. Ha partecipato alla Rolex Giraglia 2022 dove si è classificata sesta assoluta nella categoria ORC. Ci ha messo 60 ore, destreggiandosi tra le deboli brezze che hanno caratterizzato questa edizione della classica d’altura di 240 miglia sul percorso Saint Tropez-Giraglia-Genova.

La sua però non è un’operazione nostalgia. E’ il recupero di un patrimonio di famiglia, che deve servire anche a trasmette alle nuove generazioni della sua famiglia la sua passione per la vela, per il mare e per le belle barche. Moby Dick è uno dei migliori esempi di come una bella barca è intramontabile.

Un oggetto senza tempo: d’arte? Probabilmente si.

L.O.

Guarda le foto del recupero di Moby Dick


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