Quando la Vespucci ha replicato l’impresa di Straulino
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Flashback, 22 agosto 2020. La Vespucci comandata da Gianfranco Bacchi attraversa a vela il canale navigabile che taglia Taranto, replicando la memorabile impresa che 55 anni prima, il 14 maggio 1965, lo stesso veliero effettuò al comando dell’Ammiraglio Agostino Straulino.
L’impresa della Vespucci (per la seconda volta)
Bastano questi numeri per capire di quale entità è quest’impresa marinara. La nave scuola Vespucci è lunga 101 metri e larga 15.56, ha navigato a vela nel canale lungo circa 600 metri e largo 60 che collega il Mar Piccolo al Mar Grande di Taranto, la città dei Due Mari.
Per comprendere come è riuscita la Vespucci in una navigazione in teoria impossibile, abbiamo estrapolato il brani salienti in “Il Punto più alto” (Edizioni Cinque Terre) scritto da chi ha replicato una delle imprese italiane che hanno fatto la storia della vela.
Ecco, tratta dal libro, la testimonianza in prima persona del Capitano di Vascello Gianfranco Bacchi, di quei momenti esaltanti, della sua complessa preparazione, dei dubbi, difficoltà e delle ansie che hanno portato a compiere con successo questa impresa marinara. Per la seconda volta dopo il mito Straulino.
Così Straulino guidò la Vespucci all’impresa
Il 22 agosto 2020 è il giorno…
Taranto è la città dei due mari, tradizionalmente definita in questo modo in quanto si affaccia sia su un bacino esterno (Mar Grande), a cui si accede passando fra Capo San Vito e le isole Cheradi, sia su una darsena interna (Mar Piccolo) collegata a Mar Grande attraverso un canale lungo circa 400 metri e largo 58…
Il transito a vela è vietato per qualunque tipo di imbarcazione, militare o civile che sia.
Dopo cinquantacinque anni dall’ultima e unica volta, il Vespucci dovrà entrare in Mar Piccolo, compiere una evoluzione interna di 180° per riuscire attraverso il canale e ormeggiare di fronte al Castello Aragonese.
La prima classe dell’Accademia Navale completerà il suo percorso formativo a bordo del Vespucci con quest’ultimo passaggio a vela che potrebbe rimanere nella storia come replica, in senso opposto, dell’impresa già compiuta nel ‘65 al comando di Agostino Straulino, il quale, per l’occasione, ottenne una sanzione disciplinare e un encomio. La prima in ragione della trasgressione, la seconda come riconoscimento dell’alta perizia marinaresca.
Nel 1965, il Comandante di Lussinpiccolo attese che entrasse il vento giusto e il 14 maggio si svegliò con un maestrale che raggiungeva punte di 25 nodi.
Chiese e ottenne l’apertura del ponte girevole e pianificò l’uscita con i suoi ufficiali.
Una volta disormeggiato, diresse a motore per l’allineamento in uscita, accostò per 193° e fece alzare fiocco, granfiocco, trinchettina, trevo di trinchetto, parrocchetto fisso, volante, velaccino e randa.
Con questo assetto affrontò l’avvicinamento al canale navigabile, fermando la macchina e procedendo a vela.
Le due sponde del canale sono collegate da un ponte girevole che unisce la città vecchia a quella moderna.
Ovviamente per il passaggio del Vespucci il ponte verrà aperto per la durata di un paio d’ore circa.
La nostra preparazione dell’ingresso è, sotto l’aspetto della pianificazione, completata. I team sono definiti e l’idea di manovra chiara.
Manca solo un elemento fondamentale: il vento. L’analisi meteorologica statistica fornisce risulta ti piuttosto chiari e poco confortanti. Il vento predominante nei mesi di agosto degli ultimi dieci anni è il maestrale, con un’intensità che raramente supera i 7/8 metri al secondo.
A noi serve lo scirocco ma, sempre in base all’analisi statistica delle osservazioni effettuate nel decennio 2009-2019, la probabilità che ci sia non supera il trenta per cento.
L’alta pressione, d’altrocanto, fornisce una sensazione parzialmente incoraggiante…
Così Bacchi prepara la Vespucci alla seconda volta
Il 20 agosto è la giornata delle prove.
Siamo già nella parte più settentrionale del golfo e le condizioni meteorologiche da calma equatoriale ci consentono, almeno, di ripetere le procedure di saluto alla voce dall’alberata, sincronizzando i movimenti dei marinai arrampicati sulle sartie e calcolando i tempi necessari per salita e di scesa, in modo da poterli mettere a sistema con le operazioni di manovra alle vele nel corso del transito per il canale navigabile.
La mia idea di manovra è quella di aprire le vele, far disporre il personale sulle sartie di sinistra per rendere gli onori alle autorità presenti al Castello Aragonese, transitare, richiamare a basso il personale in alberata, chiudere e procedere all’ormeggio…
La prova nel corso del tramonto tricolore avviene senza sorprese ma con un’ovvia sospensione dell’atterraggio, cioè della manovra d’ingresso, a una distanza di sicurezza dal ponte girevole.
Quello che non si riesce ad apprezzare è l’effetto della corrente, in quanto non è possibile avvicinarsi al canale al punto da poterne sentire l’influenza.
D’altra parte, la corrente è una perturbazione propria dei bacini portuali e dei passaggi particolarmente stretti in cui il flusso dell’acqua subisce delle accelerazioni in virtù di fattori spesso difficili da prevedere.
Negli ultimi giorni, l’adrenalina viaggia ben oltre i livelli di soglia. Escludo dai pensieri il fallimento e la sua catena di disastrose conseguenze. Mi concentro solo su ciò che devo fare per eseguire la manovra minimizzando i rischi.
Questo atteggiamento mentale ha, tra i suoi effetti, anche quello di regalarmi notti di grandissima pace.
Come la notte fra il 21 e il 22 agosto, che trascorre serena, per me e per l’equipaggio.
Tutto è stato preparato nei minimi dettagli, nulla è lasciato all’improvvisazione se non le naturali correzioni che si renderanno necessarie in virtù del fatto che la nave è pur sempre un mezzo instabile che si muove in un ambiente altrettanto instabile.
Il meteo rispetta le previsioni degli ultimi giorni, alta pressione e vento assente, fatta eccezione per la brezza termica proveniente dal mare e di un’intensità favorevole all’impresa.
Stiamo parlando di 9-10 nodi da scirocco, la forza minima necessaria per consentire la portanza delle vele e una velocità che renda la manovra sicura, a meno di imprevisti…
Arriva il giorno fatidico
In effetti il 22 agosto si presenta come una giornata caldissima, un sole che spacca la testa e una calma totale di vento. Secondo le nostre previsioni, la brezza dovrebbe entrare poco dopo le 12 per rinforzare e raggiungere l’intensità massima alle 14.
Fino alle 12 non facciamo altro che salutare tutte le barche che ci girano in torno, dispensando sorrisi e pollici alzati verso chiunque ci urli che siamo la nave più bella del mondo…
Poco prima delle 13, con a bordo l’Ammiraglio Treu esattamente come annunciato diciotto mesi prima, iniziamo l’avvicinamento al canale navigabile con l’intento di entrare in Mar Piccolo, ammainare le vele, invertire la rotta e ormeggiarci nella banchina del Castello Aragonese, proprio all’interno del canale…
L’ormeggio presso il molo del Castello Aragonese non è quanto di meglio ci si possa augurare, sia per la manovra di avvicinamento che per la configurazione della banchina, che ha più o meno le stesse dimensioni della nave.
Normalmente i posti d’ormeggio dovrebbero eccedere di almeno il 40 per cento della lunghezza dello scafo per consentire il corretto posizionamento dei cavi “alla lunga”, oltre a ciò, i fondali a ridosso della banchina sono più bassi del pescaggio. Ciò significa che sono necessari distanziatori per evitare che la nave possa appoggiarsi sul fondo.
In ultimo, le bitte sono cinque, tre delle quali sotto dimensionate per il carico a cui vengono sottoposte dall’ormeggio di una nave di circa quattromila tonnellate di stazza.
Se non si trattasse del Castello Aragonese, in pieno centro, al termine di una manovra che replicherà, seppure in direzione opposta, quanto fatto cinquantacinque anni prima dall’Ammiraglio Straulino, avrei senza dubbio contestato la scelta…
Come si simula il passaggio con l’elettronica
Per la fase di ingresso abbiamo effettuato numerose prove in mare che ci hanno fornito interessanti dati evolutivi della nave in diversi assetti e condizioni meteorologiche.
Ma come si fanno a eseguire, in mare aperto, test relativi a un passaggio all’interno di un canale largo 58 metri? La risposta è semplice. Si simula attraverso una rappresentazione sintetica.
Mi spiego. Si posiziona un lucido sullo schermo deIl’ECDIS (Electronic Chart Display & lnformation System), un sistema di navigazione integrato che fornisce dati sia cartografici che acquisiti da altri sensori di bordo, come anemometro, solcometro, radar, ecoscandaglio.
Sul lucido si replica il canale nella stessa scala impostata dalla rappresentazione video. Sullo schermo, il vettore nave si muove in una rappresentazione invertita rispetto alla classica schermata radar in cui l’unità è ferma e lo spazio circostante si sposta.
Funziona, sostanzialmente, come le schermate di un navigatore da auto in cui si può scegliere se vedere il mezzo in movimento sulla mappa oppure l’auto ferma e la mappa che si muove rispetto al guidatore. Noi scegliamo, per le prove, di visualizzare il movimento della nave sulla schermata.
Così prepariamo l’avvicinamento e l’attraversamento di un canale fittizio, testandolo più e più volte.
Naturalmente manca il feedback fornito dal team che prenderebbe, in caso reale, i riferimenti a terra per condurre una navigazione costiera su rilevamenti fisici. Manca anche il dato di corrente.
Tuttavia, riusciamo a fare apprezzamenti sul governo dell’unità in funzione della velocità di avanzamento.
È così che stabiliamo che 3 nodi e mezzo è la velocità minima per poter apportare correzioni che abbiano un effetto ragionevolmente rapido sul timone.
Un’altra valutazione importante deve essere fatta a proposito dell’effetto della vela sul timone.
Tutte le barche, in base al progetto costruttivo e al relativo piano velico, hanno uno sbilanciamento sull’andatura che può essere all’orza o alla poggia.
Significa che se apriamo tutte le venticinque vele disponibili, al netto di quelle aggiuntive che non sono già sui pennoni, la nave tenderà a ruotare verso la direzione del vento (all’orza) o ad allontanarsi dalla direzione del vento (alla poggia).
Il Vespucci è estremamente orziero. Nelle barche a vela maggiore è la superficie velica che genera portanza a poppavia del centro velico, più lo scafo tenderà a ruotare verso il vento. Pensandoci bene è una condizione logica: se io prendo un modellino e lo metto nel lavandino di casa, soffiando sulla vela di poppa lo scafo ruoterà la prua verso la provenienza del soffio.
Per contrastare la tendenza della nave si deve agire sul timone. Significa che dovrò muoverne la pala e costituire una resistenza idrodinamica che mi farà ridurre la velocità proprio quando la velocità dovrà avere un’importanza fondamentale per l’impresa. Quindi, devo ridurre la vela a poppa in modo da minimizzare l’effetto orziero della nave.
È per questo motivo che per il passaggio del canale navigabile decido di aprire le vele del trinchetto, a eccezione del trevo che mi toglierebbe la visuale. Nessuna vela a poppavia della maestra.
Straulino, nel 1965 , attuò una scelta simile ma influenzata da una diversa condizione meteorologica.
Il 14 maggio del 1965 il Vespucci uscì da Mar Piccolo spinto da 25 nodi di maestrale.
Straulino decise di aprire fiocco, granfiocco e trinchettina, treno di trinchetto, parrocchetto fisso, volante, velaccino e la randa, la vela poppiera che agevola l’effetto del timone. Nessuna vela sulla maestra, nessuno strallo, nessuna vela nella mezzana.
Una scelta molto simile alla nostra o comunque condizionata dalla medesima logica.
Il gran giorno è arrivato
Siamo in Mar Grande dal 21 mattina e abbiamo il tempo per immaginarci la manovra in tutte le sue fasi. Decido di azzardare anche una prova serale, quando il traffico di imbarcazioni comincia a farsi meno fitto. La prova consiste nel percorrere le tratte di avvicinamento, a secco di vele, e accostare a circa 400 yard dal canale per ritornare in direzione di uscita.
La manovra avviene senza grossi problemi, anche se i mercantili alla fonda e orientati con il vento limitano un po’ la visuale sull’apertura del canale navigabile…
Alle 12.50 circa ci posizioniamo nel punto di inizio manovra, presso le ostruzioni esterne del porto di Taranto. Dopodiché, con 50 giri elica e vele imbrogliate, affrontiamo la prima tratta con rotta 062 in direzione del fanale Secca della Tarantola.
Gli allievi e i nocchieri designati al saluto alla voce salgono sull’alberata e si dispongono sulle sartie nel lato sinistro.
La salita è assai diversa da quella che affrontavo da allievo oltre trent’anni fa .
I dispositivi anticaduta sono sofisticati e seguono tutti i passaggi più pericolosi con una garanzia di sicurezza secondo il principio della ridondanza.
Le sartie corrono ai lati degli alberi seguite da linee vita in acciaio a cui l’operatore assicura un fall arrester, il dispositivo che avvolge il cavo e si blocca in caso di trazione verso il basso.
In ogni imbracatura ci sono quattro sistemi di aggancio: il fall arrester, due moschettoni di sicurezza per la movimentazione in quota, un moschettone per la sosta e la sospensione.
Nei passaggi più complicati come la salita in negativo all’altezza della coffa (la prima piattaforma), l’operatore deve agganciare i due moschettoni di sicurezza, sganciare il fall arrester dalla linea vita, agganciarlo alla linea che sale in negativo, sganciare i moschettoni e riprendere la salita. Per il passaggio nelle barre (la seconda piattaforma), l’operatore, prima di raggiungere la piattaforma, richiama un gancio retrattile attraverso una cima guida, si aggancia e sgancia il fall arrester dalla linea vita. Dopo aver oltrepassato le barre, scende di qualche bastiere (i pioli della scala), si aggancia con il fall arrester alla linea vita nel lato opposto e si sgancia dal moschettone retrattile.
Nel passaggio ai pennoni la procedura è analoga. Ci si aggancia con i moschettoni di sicurezza allafighiera (il cavo d’acciaio che corre lungo il pennone) prima di sganciare il fall arrester e passare dalle sartie al marciapiede (il cavo d’acciaio che costituisce il camminamento del pennone stesso).
Questa è la sequenza di azioni che tutti sono tenuti ad applicare. Solo un errore nella sequenza può generare l’incidente, in quanto il sistema di sicurezza in sé, per il lavoro in quota, non ha vulnerabilità.
II personale è in alberata prima che la nave intraprenda l’ultima tratta di 2.000 yard per 063 che conduce al canale navigabile.
A poche lunghezze dalla Tarantola, ordino l’accostata per 048 in modo da posizionarmi in allineamento di ingresso a circa 2.000 yard di distanza dal canale.
In questa seconda “leg” dispongo l’apertura e bordatura delle vele di trinchetto a eccezione del trevo, ovvero parrocchetto fisso, volante, velaccino e controvelaccino. In contemporanea vengono aperti e alzati gabbia fissa e volante di maestra. Con questo assetto, un vento misurato da scirocco di intensità 9 nodi e 50 giri elica, iniziamo l’atterraggio verso il canale navigabile a una velocità di circa 3 nodi e mezzo.
Nel frattempo, un team che avevo mandato a terra per effettuare misurazioni all’ingresso del canale mi comunica un vento sul posto di 12 nodi da sud-ovest.
Quest’ultima informazione mi induce a considerare un possibile scarroccio a dritta nelle fasi di ingaggio del canale, scarroccio che potrebbe essere interessato da un’ulteriore perturbazione, ovvero una corrente di mezzo nodo per sud-est.
La condotta dell’unità in navigazione mista, con elica destrorsa che ruota in senso orario e determina uno spostamento della poppa verso dritta e circa millecinquecento metri quadri di vele aperte, mi impone continui piccoli aggiustamenti necessari a garantirmi un sufficiente sopravvento e guadagno sulla corrente, benché minima. Navighiamo cosi, a sinistra dell’allineamento fino a poche centinaia di yard dall’ingaggio.
A circa due lunghezze dall’ingresso al canale navigabile, misurando la velocità di 3 nodi, ordino di fermare la propulsione meccanica per procedere all’attraversamento con l’abbrivio conseguito dalla navigazione mista e la spinta propulsiva delle vele a riva e ben a segno.
Come prevedibile, a poche yard dall’ingaggio, la prora ha un brusco abbattimento verso dritta di circa 50, compensato dal guadagno acquisito nel corso dell’avvicinamento.
L’affiatamento di tutto il team e l’esperienza del timoniere fanno sì che si possa riprendere la rotta ordinata e mantenere la prora sulla giusta direzione di ingresso.
Ingaggiamo il canale con nave invelata e saluto alla voce in atto, durante il quale il personale sulle sartie alza il berretto con il braccio teso in posizione ortogonale al corpo.
Il momento del tributo all’impresa
L’ultima rotta ordinata al timoniere è 011, per riprendere la deriva imposta dalla corrente rilevata all’ingresso del canale. Il transito è in perfetto allineamento. Il Vespucci sfila fra gli applausi della popolazione.
La fanfara del Comando Marittimo Sud risponde agli onori.
Superato il puma più stretto del Canale, in prossimità del ponte di San Francesco di Paola, inaugurato oltre centotrentatré anni fa, smetto di respirare. Rimango in apnea per pochi secondi che mi sembrano un’eternità. Oltrepassato il centro del canale, penso già alla manovra di uscita . Dobbiamo ammainare tutto e abbiamo poco tempo prima di accostare per 045 e ripresentarci per l’uscita dopo un giro di 180°.
L’ordine è il solito, prima le vele di poppa poi quelle di prua a seguire. Faccio avvia re il motore elettrico per completare la manovra nel momento in cui non avremo più tela a riva…
Il grazie ai 260 marinai della Vespucci
Un’euforia isterica e contenuta: è la migliore definizione che riesco a dare del mio stato d’animo, alle 14 circa di quel caldissimo pomeriggio di un’estate tarantina.
Inizio a ricevere decine, centinaia di messaggi su tutte le piattaforme di comunicazione di cui dispongo. Qualcuno parla di impresa, qualcun altro di storia, io mi accontento di sogno.
Il mio sogno che ha coinciso, al termine di innumerevoli e imperscrutabili percorsi, con il desiderio di un equipaggio, le aspettative di una città, le ambizioni di un paese.
Completata l’evoluzione all’interno di Mar Piccolo, procedo per la banchina del Castello.
In pochi minuti siamo ormeggiati nella giusta posizione, sotto gli occhi, gli applausi e i saluti della popolazione. Chiamo un’assemblea generale sul cassero. Sento la necessità di dire poche parole per liberare l’emozione che ho accumulato in questi due mesi e mezzo circa.
Quando raggiungo l’assemblea mi accorgo di non essere in grado di parlare.
Ho un nodo in gola che mi permette solo di respirare. A questo punto decido di avvicinarmi alla prima sezione di marinai e abbracciarli a uno a uno.
In totale sono circa duecentosessanta. In ogni singolo abbraccio trasmetto e ricevo un’emozione spesso accompagnata da un “grazie”. Il mio equipaggio mi ringrazia.
Dovremmo ringraziarci a vicenda, abbiamo completato un programma per tutti noi, militari, marinai, cittadini, italiani.
Nave Amerigo Vespucci è di fronte al Castello Aragonese.
Nave Amerigo Vespucci e il Castello Aragonese, un binomio che racchiude storia, tradizioni, fatica, sacrifici ed eleganza.
Vespucci e Castello come in una favola.
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1 commento su “Quando la Vespucci ha replicato l’impresa di Straulino”
Dai velisti mi aspetto che scriviate: IL Vespucci…. 🙂