Ho navigato con l’ultimo pirata sul suo catamarano di legno autocostruito
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Nella spiaggia Wakiki di Corralejo a nord est di Fuerteventura, l’ora del tramonto tinge il cielo di rosa e illumina le rocce di un colore pastello.
Come ho conosciuto Hans
Se la marea è bassa si formano delle belle ondine dove il fondale si alza, onde adatte a tutti, anche ai principianti come me. E’ lì che ho conosciuto Hans, era sul suo “long” e surfava con stile i set che si presentavano. Hans indossava un cappellino con la visiera che girava tutta intorno alla testa, come quelli dei velisti o dei pescatori, al centro era ricamato un nome, Ontong-Java.
La scritta era simile a quelle che si trovano sulle classiche polo da regata, con il nome della barca sul cuore. Incominciai a parlarci, scoprendo che era in barca, ormeggiato al campo boe davanti al porto e dopo alcuni minuti, mi invitò a vederla, accettai volentieri.
L’indomani noleggiai un sup e mi avvicinai dove indicatomi, la distanza era considerevole e dalla spiaggia non capivo bene né le dimensioni né la foggia della barca, ma avvicinatomi faticai a realizzare cosa vedevo: un catamarano in legno grande venti/ventiquattro metri con a bordo tre ragazze che si allenavano ballando a ritmo di musica.
Approcciai da dritta e chiesi di Hans, le ragazze lo chiamarono gentilmente in coro, lui uscì da sottocoperta. Era un uomo alto, di un’età indefinita ma non giovane, capelli scuri, fisico asciutto, mascellone. La scena che mi si presentava era unica, così inusuale. Gli chiesi se poteva organizzare un’uscita uno di quei giorni (ero in vacanza con la mia famiglia e alcuni amici), scrisse il suo numero su un bigliettino e disse di chiamarlo. Dopo due giorni salimmo a bordo e salpammo. L’esperienza fu unica, ecco perché.
La barca di Hans
Il catamarano rientra nella categoria “piroghe polinesiane” rivisitate, è stata autocostruita sull’isola di Ontong da Hans e gli abitanti del villaggio che lo ospitava. Misura 24 metri e ha un baglio di 7.
E’ interamente costruita in legno utilizzando materiali per lo più di recupero (l’albero era un palo della luce, il boma un lungo ramo (spezzatosi più volte) trovato nella giungla, le vele e l’attrezzatura di coperta sono anch’esse reciclate: la randa è l’insieme di tre vele cucite e i fiocchi sono stati recuperati dopo le mareggiate, come anche i winch e i bozzelli; “ è incredibile cosa puoi trovare dopo gli uragani caraibici, c’è gente che abbandona le barche ancora con tutto a bordo, tanto paga l’assicurazione” diceva Hans.
Gli interni sono più che spartani, come è ovvio che sia, ma non per questo scomodi. Sono disposti lungo i due scafi, da un lato la cucina, il soggiorno e un paio di cuccette; d’altro, cuccette, zona lettura e “zona leisure” con tavole da surf e affini, mute. L’acqua è raccolta in grossi contenitori blu e non c’è frigorifero o ghiacciaia, in compenso è presente la bombola del gas. “La barca in legno è il massimo- dice Hans- se si rompe qualcosa basta cambiare l’asse o le assi in questione, molto meglio della vetroresina.” Il catamarano Ontong-Java ha percorso quattro giri del mondo.
L’equipaggio
Immaginate la “zattera” che vi ho descritto (con la fantasia e con le immagini dell’articolo) e aggiungeteci tre ragazze tra i 20 e i 26 anni provenienti da Spagna, Messico e Inghilterra che ci vivono sopra, girando il mondo. La prima cosa che salta in mente è “what the f..k” che situazione sui generis… Le mansioni delle ragazze sono di assistere Hans nella navigazione, di tenere in ordine la barca e cucinare.
Come si erano imbarcate? Tramite un sito di barca stop (crewseekers) e con il passaparola. La più estrosa delle tre è Blanca, spagnola di Barcellona, vive su una barca di 6 metri ormeggiata ai Caraibi e gira da un po’ a bordo di Ontong Java. Entrando un po’ più in confidenza, dopo qualche birretta, scopri che non solo era marinaia ma anche tatuatrice e intagliatrice di noccioli di avocado…
La ragazza inglese non parlava mai e ti guardava in maniera schiva, la messicana era la più giovane e oltre a un suo trascorso pugliese, non ho saputo molto. Alla domanda: “Che rapporto c’è tra te e le ragazze”, “meglio non domandare” ha chiosato Hans.
Il capitano: l’ultimo dei pirati
Hans è figlio di un mercenario svizzero, arruolato nella legione straniera, che dopo la battaglia di Algeri, decise di smettere con il suo “lavoro” e dedicarsi alla sua passione: navigare e cercare tesori.
Fu così che parti con mogli e figli. Dopo alcuni anni trovarono quello che cercavano. Il galeone portoghese Santiago, affondato al largo del Madagascar che nascondeva nelle sue stive un vero tesoro perduto. Ne camparono per un po’ ma va da sé che sperperarono quasi tutto nel godersi la vita.
Il padre tornò sulla terra ferma, mentre Hans cercò di entrare a Biologia Marina in Nuova Zelanda, non ci riuscì perché non aveva avuto un percorso formativo “classico” (anche se sapeva qualsiasi cosa riguardasse pesci e biodiversità marina): “se sei capace di navigare, non ti serve imparare nient’altro”, sosteneva suo padre. Riprese così a solcare i mari di mezzo mondo, è conosciuto e stimato dall’oceano indiano al mar dei Caraibi, “puoi venire in barca con me in tutte le stagioni”, mi diceva, “io conosco sempre un riparo disponibile, anche se in caso di tempesta”.
Ha preso a fucilate i pirati nelle Filippine, ha contrabbandato alcolici in Sud Africa, ha figli che non vede da anni, è stato in galera alcuni anni.
E qui mi fermo perché la storia è già bellissima così, per noi che per lo più andiamo in barca in costosi gusci di vetroresina la domenica, abbiamo un lavoro d’ufficio e ci gasiamo per la vittoria di una regata. Mi conforta pensare che esiste gente così e che forse, nel nostro intimo, c’è una piccola parte che è come lui, un’anima da pirata, un antieroe che sogna di vivere fuori dalle leggi comuni, girando nomade i mari del mondo, libero.
Tommaso Oriani
Le foto da bordo di Ontong Java
VIDEO La costruzione della barca
VIDEO Navigando su Ontong Java
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1 commento su “Ho navigato con l’ultimo pirata sul suo catamarano di legno autocostruito”
Persona fantastica, molto “orientale” nel suo approccio all’hic et nunc, all’assenza di una progettualità per un eventuale domani, nel pieno spirito degli Abitanti del Mondo come ogni tanto capita di incontrane a chi viaggia.
Sono la dimostrazione di come si possa vivere anche in un altro modo, sgaiattolando da costrutti sociali che a noi occidentali ci sembrano ineluttabili
Certo, non è che tutto questo sia aggratis, nemmeno per Hans il pirata
La rinuncia a vedere i figli/e, o a dargli un’educazione riconosciuta che gli permetta di scegliersi un futuro e non di subirlo, come è successo anche ad Hans, sarebbe un costo già troppo alto per me, più alto dell’ansia di una eventuale vecchiaia abbandonato e senza denti tra le mangrovie di una spiaggia di Nacula
Per non parlare dell’assenza del frigorifero a bordo dove tenere le birre: impossibile.