INTERVISTA I migliori tatuaggi da marinaio del “papà” del tattoo italiano
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Da oltre 50 anni è celebre per i suoi tatuaggi marinareschi, perfezionati navigando nei porti di tutto il mondo. Gian Maurizio Fercioni, l’uomo che ha portato il tatuaggio in Italia (e che ama la vela) ci svela quali sono quelli da veri marinai
LA NOSTRA INTERVISTA AL RE DEI TATUAGGI
GIAN MAURIZIO FERCIONI
Lo avreste mai detto che il più vecchio e famoso tatuatore di mare in Italia è milanese? Gian Maurizio Fercioni, 75 anni, è un’istituzione in città. Scenografo e costumista nei teatri dell’Opera di mezza Europa, già dai tempi del Liceo Artistico e dell’Accademia di Brera inizia a tatuare e nel 1974 apre uno dei primi tattoo studio in Italia, a Milano.
Oggi il suo Queequeg Tattoo Studio è un punto di riferimento per chiunque si avvicini al tatuaggio, uno studio che è anche un museo dove Gian Maurizio con la moglie Luisa e la figlia Olivia espongono macchinette, aghi, stampe, libri e cimeli da tutto il mondo, raccolti durante molteplici viaggi in giro per il Mondo tra Europa, America, Giappone e Polinesia. La sua professione di tatuatore è nata in barca, o meglio in porto, dove è stato tatuato per la prima volta e dove ha iniziato la sua carriera, lavorando come skipper nel Nord Europa.
Gian Maurizio, tu sei stato tra i primi ad aprire un tattoo studio in Italia, ma so che sei anche un grande appassionato di mare, e in particolare di vela, giusto?
“Io sono sempre andato a vela, non ho mai pensato al motore. Mio padre, che è stato presidente del Club Nautico di Viareggio ed era della Lega Navale, non avrebbe mai acceso il motore, manco morto. Mi ricordo una volta che siamo usciti da Viareggio e siamo arrivati fino a Livorno, e al ritorno con l’onda lunga contro non ci muovevamo, vedevo le due torrette dell’Hotel Royal di Viareggio emergere e sparire… Mio padre vedeva che io fremevo perché dovevo andare ad una festa, mi fa ‘sputa in acqua e vedrai che ci stiamo muovendo’. Effettivamente era vero e quindi non gli ho rotto più le balle (ride, ndr)”.
I TATUAGGI DA VERI MARINAI DI GIAN MAURIZIO FERCIONI – SIRENE
Com’è iniziato il tuo rapporto col mare?
“Ho iniziato a fare lo skipper che non avevo neanche diciott’anni, grazie a un mio amico broker che aveva un’agenzia a Viareggio.
Mi trovò degli imbarchi anche all’estero: ad Amburgo, Copenaghen… quando seppi di andare a Copenaghen per un imbarco nei fiordi ero contentissimo ma era inverno e non ho visto praticamente nulla, era sempre buio, buio, buio. Nel Nord Europa il tatuaggio era già sdoganato e io frequentavo gli studi di alcuni tatuatori molto importanti, come Bimbo a Copenaghen, che ha tatuato il re di Danimarca, Hoffmann ad Amburgo, Hanky Panky ad Amsterdam, ma anche a Marsiglia, dove ho passato parecchio tempo. Con gli anni ho imparato a vivere nei porti, perché gli studi dei tatuatori erano quasi sempre vicino ai porti, e la gente che girava nei vicoli non sempre era raccomandabile… Io poi mi sono sempre vestito bene, e questo mio modo di vestire spesso ha attirato malintenzionati e criminali, ma so come farmi rispettare, anche perché o impari a farti rispettare o sei finito”.
E com’è nata invece la passione per il tatuaggio?
“La mia passione per i tatuaggi è legata a doppio filo con il mare, perché è nata al porto di Viareggio, dove mi hanno tatuato per la prima volta, un’ancora sull’avambraccio sinistro. Poi mio padre mi regalò questo libro straordinario che è Moby Dick e lo divorai, anche se in alcuni punti mi annoiava un po’. Mi rimase impresso il personaggio di Queequeg, il ramponiere polinesiano completamente tatuato che ha dato il nome al mio studio. Io tatuavo già i miei compagni di classe al liceo, ma ho iniziato a tatuare seriamente nei porti: arrivavo in un porto, tiravo su le maniche della camicia e facevo vedere i tatuaggi per attirare l’attenzione, la tecnica era questa.
I TATUAGGI DA VERI MARINAI DI GIAN MAURIZIO FERCIONI – ANCORE
Poi entravo nei bar e i clienti o i barman mi dicevano “belli, dove li hai fatti?” quando gli dicevo che li facevo io mi chiedevano se potessi mettermi lì a tatuare, e così allestivo il mio banchetto nel retrobottega e tatuavo chi voleva. Oppure tatuavo direttamente in barca, nel pozzetto della barca dove lavoravo, arrivati nel porto mettevo fuori il cartello e lavoravo. Era divertente, così facendo diventavo subito amico di tutti”.
Immagino che a tatuarsi una volta non fossero gli impiegati, come succede oggi.
“Quando ho iniziato io chi si tatuava erano solo prostitute, marinai, zanza… banditos. Quando ho aperto lo studio qui a Milano venivano spessissimo quelli appena usciti da San Vittore o in permesso premio, ma sono sempre state tutte persone correttissime che ti trattano con rispetto, molto meglio di tanti figli di papà che vengono qua e vogliono fare i fenomeni con me, li metterei là dentro per vedere quanto durano”.
La tua passione per il mare è evidente anche nella tua firma, testa e lisca.
“La lisca è un difetto di pronuncia che avevo da piccolo, e ricordo che veniva a casa una donna inglese che mi metteva uno stecchino di vetro in fondo alla bocca e mi faceva dire alcune cose, avvertendomi che se non le avessi pronunciate bene mi si sarebbe rotto in gola. È un metodo che oggi non si usa più, però con me ha funzionato! Oltretutto a Viareggio ‘testa e lisca’ è un modo di dire molto usato che mi è sempre piaciuto, il significato è ‘non ce n’è per nessuno’. La testa della mia lisca poi ha una linguaccia come se facesse una pernacchia, perché quando tiri su il pesce dal fondo la vescica natatoria gli entra in bocca e fa un verso.
I TATUAGGI DA VERI MARINAI DI GIAN MAURIZIO FERCIONI – PESCI
Una notte ero al largo dell’Isola del Giglio, c’era una nebbia incredibile e stavo pescando le ombrine boccadoro a bolentino, non capivo se ci fosse qualcuno che mi aveva seguito e stava ruttando per prendermi in giro, invece erano i pesci che facevano quel verso! Arrivai in porto con due secchi di questo pesce pregiatissimo, ma io non sapevo che fosse così pregiato…vedevo tutti i pescatori che mi guardavano come un eroe e non capivo”.
Indubbiamente mare e tatuaggi sono legati da sempre, insomma l’immagine del marinaio tatuato è un classico sia del mare che del tatuaggio, no?
“Il tatuaggio marinaresco è nato come rito scaramantico, come portafortuna. I più frequenti sono la sirena, che è la donna mitica e irraggiungibile, quella che non puoi avere, il sogno di ogni marinaio, poi c’è l’ancora che è simbolo di speranza e salvezza, i cuori dedicati a qualche amore, la nuvola col fulmine, cioè il fulmine a ciel sereno, i velieri col vento in poppa come buon augurio. Di tatuaggi strani ne ho fatti e ne ho visti tanti, una volta c’era molta più ironia nel tatuaggio, un mio amico marinaio che fa anche il bagnino si è tatuato ‘sono stanco’ su un piede e ‘anche io’ sull’altro. Oggi invece sono molto più seriosi i tatuaggi, vedo alcuni ragazzi che vanno in giro con certe patacche pazzesche”.
Con che barca hai iniziato a navigare?
“Mio padre mi regalò questo gozzo, una lancia a poppa quadra che si chiamava Maria e la tenevamo nella casa di campagna dietro Viareggio, sulla via di Pietrasanta, mi disse di prenderla e metterla a posto per bene e poi era mia. Io andai a Viareggio e la portai da un artigiano, la tirai su e passai tutta l’estate a lavorare lì con lui, imparai a calafatare, a usare la fiamma e il raschietto, recuperai degli avanzi da un velaio e in qualche modo tirai fuori il fiocco e la randa: ci tenevo tantissimo!
La barca era praticamente pronta nella casa di campagna, la vedevo tutti i giorni passando col treno e un giorno non la vedo più, praticamente mio zio l’aveva regalata ad un importatore di whiskey dall’Inghilterra, non ho mai saputo il perché, ma mio padre mi disse che se lo zio, più grande, aveva voluto così, era giusto così, avrei dovuto accettarlo e basta.
I TATUAGGI DA VERI MARINAI DI GIAN MAURIZIO FERCIONI – BARCHE
Ci rimasi malissimo, mi incazzai ma lì decisi di costruirmi la mia barca. Mi sono fatto un gozzo di poco più di 7 metri, a vela latina, un po’ con vele nuove e un po’ con vele di recupero e oggi ce l’ho ancora, va ancora come una meraviglia e sta un po’ al Giglio un po’ a Santo Stefano.
Ho fatto fare anche una lancetta dal cantiere dei fratelli Mileo, fantastica, son dei maestri d’ascia bravissimi che fanno questi gozzi con verniciatura blu. Sarò antico ma le barche per me devono essere di legno e basta, quell’odore che vien fuori dai gavoni delle barche di oggi mi fa vomitare, anche se il legno è marcio per me la barca dev’essere di legno, capisco tutti i vantaggi di questi nuovi materiali, ma non fa per me. Poi oggi la gente si lamenta che c’è troppa manutenzione da fare, ma lo capite che è divertente? Tiri su la barca in secca e fai quello che devi fare, è parte del divertimento secondo me”.
fa una piccola pernacchia. ‘Testa e lisca’ è un modo
di dire che significa ‘non
ce n’è per nessuno’.
Vai ancora per mare?
“Ho navigato tantissimo e ancora oggi appena posso salgo in barca, navigare è bellissimo, anche in solitaria, è piacevolissimo, per quello che vedi e per le emozioni che provi. E poi la cosa più divertente del mare è che da un momento all’altro può cambiare tutto, non puoi mai essere sicuro e non c’è come rispettare il mare per venirne fuori e cavarsela anche quando te la vedi brutta. Una volta io non volevo la radio, non volevo niente, facevo l’antico…oggi però è indispensabile, anche per colpa di certi personaggi che si trovano in giro: gente che non sa portare una barca e rischia davvero di diventare pericolosa per sé stessa e per gli altri, rischi che ti accosta e ti sfonda la barca. Mi ricordo ancora uno di Brescia al porto di Viareggio, aveva appena preso la barca nuova, una barca enorme che pescava nove metri, bellissima, ma quel giorno tutti al porto sconsigliavano l’uscita perché c’era Buriana.
Questo non ne ha voluto sapere e ha disalberato appena fuori dal porto, oltretutto si è spaventato e ha acceso il motore perché voleva tornare a riva, ovviamente si è sfasciato e ha buttato via tutto. Quando ho imparato io ad andar per mare queste cose qua non succedevano, chi saliva su una barca sapeva fare di tutto, per andare in barca devi avere la testa e le braccia che funzionano, altrimenti meglio fare altro”.
Federico Rossi
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