Il Mediterraneo mostra livelli sempre più elevati di inquinamento da plastica: il 95 per cento dei rifiuti presenti nelle sue acque, nei fondali o lungo gli arenili è rappresentato da materiali plastici. E almeno il 10 per ecnto di questi rifiuti marini è prodotto dalla pesca. Li chiamano “ghost gear” e sono le reti fantasma, ma anche lenze, tronconi di palamiti, tramagli artigianali ed esche artificiali di plastica a forma di pesciolini colorati.
Quando vengono persi dai pescatori, sia quelli professionali sia quelli amatoriali, questi materiali plastici finiscono sul fondo e in genere non vengono recuperati. Sia per la difficoltà tecnica dell’operazione, che in alcuni casi costringerebbe a immergersi fino a 50 metri di profondità, cosa impossibile per chi non pratica abitualmente la subacquea. E sia perché per legge quel materiale è parificato ai rifiuti speciali e una volta riportato a terra va smaltito attraverso canali specifici e con un costo a carico di chi lo riporta a terra. Il risultato è che quasi sempre restano in acqua, affondano e vanno a impigliarsi tra le rocce.
Secondo gli ultimi studi in materia ogni minuto che passa circa una tonnellata di attrezzi da pesca fantasma è persa o abbandonata in mare con risultati letali per l’ambiente marino. Le reti infatti soffocano i coralli e le gorgonie che smettono di riprodursi. E in questo modo viene meno l’ambiente in cui trovano riparo e sostentamento piccoli pesci e microorganismi marini. Le reti che invece restano in sospensione continuano a pescare pesci e altri animali, come per esempio le tartarughe, che vi restano impigliati. Non riuscendo a liberarsi, finiscono per morire di stenti, di inedia o attaccati da altri pesci che approfittano della loro prigionia. E che rischiano di finire a loro volta intrappolati.
Le reti peraltro non catturano solo pesci ma anche rifiuti di vario genere, a partire proprio dai materiali da pesca. Con il tempo questo groviglio di fili di nylon si fa sempre più fitto e la massa cresce sempre di più. Estirpare questi rifiuti in costante sviluppo è fondamentale. Anche perché la plastica di cui sono composti con il tempo si decompone in frammenti sempre più piccoli. I pesci e i grandi mammiferi marini li ingurgitano inconsapevolmente, in alcuni casi scambiandoli per cibo e muoiono soffocati o intossicati. Quella stessa plastica arriva poi all’uomo, quando i pesci finiscono sulla nostra tavola.
Si stima che negli oceani del pianeta ci sono tra le 500 mila e il milione di tonnellate di “ghost gear”. Ecco perché è urgente fare qualcosa. Per arginare il problema molti pescatori anche in Italia hanno iniziato a utilizzare reti ecologiche in fibra di cocco che, in caso di dispersione accidentale, non creano problemi perché tendono a decomporsi in modo naturale. Ma è urgente fare qualcosa anche a livello governativo e soprattutto sensibilizzare chiunque pratichi la pesca a comportamenti più sostenibili. C’è in ballo la salute del mare, m anche la nostra.
Ma anche noi tutti amanti del mare possiamo fare qualcosa. Il Giornale della Vela insieme alla rivista Barche a Motore e a Medplastic, l’associazione creata nel 2018 per la salvaguardia del Mediterraneo, per questa estate 2021 ha lanciato la campagna “Trash Hunters” e vi invita tutti a trasformarvi in cacciatori di plastica, ma anche di mascherine sanitarie disperse in mare.
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