Le mascherine sanitarie disperse in mare rappresentano un duro colpo per gli oceani di tutto il mondo, già abbondantemente inquinati dalla plastica. Dal problema non è esente l’Italia dove uno studio dell’Università Milano-Bicocca ha quantificato le microfibre che possono essere liberate in acqua se una mascherina finisce in mare.
Le mascherine sanitarie che da mesi stanno giocano un ruolo decisivo nella lotta al Covid-19 ci obbligano a pagare un prezzo molto alto in termini di salute dell’ambiente. Se non smaltite correttamente infatti le mascherine, ma anche i guanti monouso, finiscono in mare, lungo gli arenili e perfino nei porti. Ma quante sono le mascherine prodotte e gettate ogni giorno? Solo in Italia fra la leggerissima mascherina chirurgica da 3 grammi, la più spessa da 5 grammi e la maschera complessa da 30 grammi, l’Ispra ha stimato che per tutto il 2020 sono state prodotte 440.000 tonnellate di spazzatura da smaltire. Se solo l’1% delle mascherine utilizzate in un mese venisse smaltito in maniera selvaggia, si avrebbero 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente.
Il risultato è che le mascherine sanitarie sono diventate presenze costanti lungo le coste di tutto il mondo, Italia compresa. Dalla Francia per esempio l’associazione Opération Mer Propre (Operazione Mare Pulito) stima che attualmente il mare è popolato più da mascherine che da meduse. Ora peraltro grazie a uno studio specifico sappiamo anche quanto possono fare male all’ambiente: una sola mascherina chirurgica che finisce in mare rilascia infatti migliaia di fibre microscopiche, fino a 173.000 al giorno.
PERCHÉ LE MASCHERINE FANNO MALE AGLI OCEANI
Questo è il risultato della ricerca condotta da un team dell’Università di Milano-Bicocca del dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra. La ricerca, pubblicata sulla rivista Environmental Advances, ha come titolo “The release process of microfibers: from surgical face masks into the marine environment” ed è firmata dagli autori Francesco Saliu, Maurizio Veronelli, Clarissa Raguso, Davide Barana, Paolo Galli, Marina Lasagni. L’indagine scientifica è stata condotta con tecniche di microscopia elettronica e microspettroscopia infrarossa e ha evidenziato come una mascherina chirurgica esposta alla luce UV-A per 180 ore si inizi gradualmente a sfaldare in centinaia di migliaia di particelle del diametro di poche decine di micron.
Secondo i ricercatori questo processo viene notevolmente amplificato in mare, dove il materiale viene sottoposto anche allo stress meccanico dovuto al moto ondoso e alle correnti, oltre che al processo di degrado dovuto alla salinità, fino ad arrivare addirittura a rilasciare frammenti sub-micrometrici. In pratica le mascherine se finiscono in acqua sono il perfetto diffusore di microplastiche, uno dei pericoli maggiori per gli abitanti del mare, fonte di ostruzione o di intossicamento quando ne ingeriscono in grande quantità.
RACCOGLI LA PLASTICA, FATTI UN SELFIE E PUBBLICALO…
Il Giornale della Vela insieme alla rivista Barche a Motore e a Medplastic, l’associazione creata nel 2018 per la salvaguardia del Mediterraneo, per questa estate 2021 lancia la campagna “Trash Hunters” e vi invita tutti a trasformarvi in cacciatori di plastica, ma anche di mascherine sanitarie disperse in mare.
Come? Facilissimo, quando siete in mare navigando lungo costa e tra gli arcipelaghi oppure mentre state ancorati alla fonda in una baia oppure ormeggiati in un porto o ancora quando semplicemente vi state godendo una giornata in spiaggia, ogni volta che vedete uno o più rifiuti di plastica galleggianti raccoglieteli, fatevi un selfie con la “cattura” e postatelo su Instagram in Direct Message a @giornaledellavela e @barcheamotore oppure postate il tutto sul vostro profilo taggando @giornaledellavela e @barcheamotore oppure usando l’hashtag #medplastic2021.
Oltre alla descrizione generica della vostra “preda”, nelle vostre segnalazioni è molto importante aggiungere anche l’esatta indicazione geografica del ritrovamento e il vostro nome e cognome.