Tipi di chiglia a confronto: moderna o vecchia scuola, quali sono le migliori?

IL REGALO PERFETTO!

Regala o regalati un abbonamento al Giornale della Vela cartaceo + digitale e a soli 69 euro l’anno hai la rivista a casa e in più la leggi su PC, smartphone e tablet. Con un mare di vantaggi.

Fluidodinamica. Con questa parolina magica possiamo riassumere buona parte degli studi scientifici sul mondo delle barche a vela e delle chiglie in particolare (anche se il campo di maggiore impiego di questa disciplina è l’aeronautica). La forma delle chiglie, delle lame di deriva e delle zavorre, ha determinato in maniera cruciale lo sviluppo delle barche a vela e la loro progettazione anche con casi eclatanti. Pensiamo per esempio al 1983 a Newport, quando le famose “alette” sulla chiglia di Australia II interruppero 132 anni di vittorie a stelle e strisce nell’America’s Cup grazie all’intuizione di Ben Lexcen, progettista della barca australiana. Ma è errato pensare che questi studi siano importanti solo per il mondo delle regate, anche quello della crociera è migliorato in maniera drastica grazie all’evoluzione delle chiglie. Barche più sicure, più stabili, con maggiore momento raddrizzante e capaci di navigare in maniera più efficace in tutte le andature, nonché essere più “ferme” anche all’ancora: il mondo della vela da crociera ha ricevuto un contributo indispensabile dalle evoluzioni progettuali sperimentate prima in regata.

In origine vi era la chiglia lunga. Sicura, un tutt’uno con lo scafo, solidissima, ma scarsamente efficiente in un ampio ventaglio di situazioni. Baricentro piuttosto alto, scarsa portanza nel vento leggero, poco raddrizzamento in quello forte, poca stabilità in poppa con vento e onda: per una serie infinita di motivi la chiglia lunga è stata superata dalla storia. Oggi se facciamo un giro in un cantiere tra le barche in secca vedremo sostanzialmente tre tipologie di chiglia: la pinna trapezoidale, tipica delle barche degli anni ’70-’80 e parte dei ’90, la chiglia con scarpone o a L e quella a T rovesciata. Se la trapezoidale oggi viene usata un po’ meno le altre due tipologie e le loro varianti sono realtà. Senza dimenticare ulteriori varianti come la canting keel o la lifting, o vero la chiglia basculante e quella retrattile.

PESCAGGIO CORTO O PROFONDO, QUALE SCEGLIERE?

Partiamo da un concetto: che differenze ci sono tra i sistemi appena elencati (T, L o trapezoidale)? Il posizionamento del baricentro è la differenza eclatante. In ordine crescente, a parità di pescaggio, quella ad avere il baricentro più basso è la chiglia a T, segue quella a L e infine quella trapezoidale. Se osserviamo una chiglia moderna da regata noteremo una lama di deriva affilata e sottile, al termine della quale è posizionato un siluro dalla forma molto rastremata. Più la chiglia è profonda, indipendentemente dalla sua forma, – o più il peso è concentrato in basso – più aumenta il momento raddrizzante e in maniera direttamente proporzionale maggiore sarà il pescaggio minore potrà essere il peso del bulbo per ottenere un obbiettivo di raddrizzamento. Ne consegue quindi che un requisito fondamentale di una buona chiglia è quello di avere il baricentro basso, sul versante delle barche da crociera, che hanno generalmente chiglia a L o trapezoidale, diventa quindi cruciale anche profondità del pescaggio. Se quindi vi state domandando quale chiglia scegliere per la vostra barca nuova nelle opzioni offerte dal cantiere, chiglia corta o lunga, se il vostro obbiettivo è navigare bene, comodi e in maniera efficiente, non abbiate dubbi: meglio la chiglia profonda, abbasserà tutto il baricentro della barca.
A cosa serve avere il baricentro basso? Indubbiamente a sbandare di meno, e non è poco. Ma anche a ridurre lo scarroccio e permettere di disegnare un piano velico più generoso e in ultimo, ma non certo per importanza, la barca sarà più stabile anche all’ancora. Chiglia più profonda è uguale a minor peso necessario in zavorra, quindi indirettamente tutta la barca peserà in maniera minore.

COME SI COMPORTANO I DIVERSI TIPI DI CHIGLIA?

Prendendo in esame la trapezoidale, quella a L e quella a T, ognuna ha punti deboli e punti forti, anche se in termini di performance pura non c’è dubbio che quella a T sia la più efficace. Ma la performance è solo un aspetto, nel variegato mondo della vela ce ne sono molti altri che contano molto e forse di più. La pinna trapezoidale per esempio è molto più semplice da costruire data la sua geometria semplice e risulta particolarmente resistente in caso di urti data la grande superficie d’attacco sullo scafo. Piuttosto tenace anche quella a L, mentre la T è certamente la più fragile in caso di urti, dato che spesso la corda della lama di deriva, ovvero quanto è larga (non spessa) la lama, è molto contenuta per migliorare la velocità.
La pinna trapezoidale, avendo un momento raddrizzante più contenuto, sottopone a sforzi minori la struttura della barca mentre con una chiglia a T o a L i carichi sono decisamente più importanti. Per questo motivo le imbarcazioni dotate di lama e siluro avranno caratteristiche costruttive particolari per assorbire i carichi imposti allo scafo dall’appendice e nella maggior parte dei casi costeranno molto di più.
C’è poi da esaminare un altro fattore importante, il materiale di costruzione. Quelli più diffusi sono piombo e ghisa, che hanno comportamenti e rese decisamente differenti.
Il peso specifico tra i due materiali è differente: quello della ghisa è minore, intorno ai 7 kg per decimetro cubo contro gli 11.34 del piombo. Che significa? Vuol dire che per raggiungere le stesse caratteristiche di peso serve più ghisa che piombo: di conseguenza la chiglia realizzata in ghisa, a parità di peso e di pescaggio con quella in piombo, avrà un volume maggiore e questo determinerà maggiore resistenza idrodinamica quindi generalmente una barca più lenta. Ma c’è un altro elemento a favore del piombo, la reazione agli urti. La ghisa non si deforma e un eventuale impatto verrà scaricato sull’intera struttura della barca, il piombo invece modifica la sua forma con un impatto violento e quindi, almeno in parte, ammortizza il colpo. In pratica se vi trovate a poter scegliere tra ghisa e piombo va preferito decisamente quest’ultimo.

Mauro Giuffrè

Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

7 commenti su “Tipi di chiglia a confronto: moderna o vecchia scuola, quali sono le migliori?”

  1. Forse, dal punto di vista della terminologia, nell’articolo si è fatto un po’ di confusione perché con il termine chiglia (che non riguarda le sole imbarcazioni a vela) s’intende l’elemento continuo fondamentale dello scafo, ovvero quella grossa trave che corre longitudinalmente da poppa a prua e sostiene i madieri delle coste trasversali mentre, nel predetto articolo, sarebbe stato più corretto e opportuno parlare di pinna di deriva e/o della zavorra in essa incorporata in maniera tale da mettere in condizione la predetta pinna di esercitare, al contempo, un’azione idrodinamica atta a contrastar lo scarroccio e di sviluppare, grazie al suo peso, un momento raddrizzante atto a contrastare il momento sbandante prodotto dall’azione del vento sulle vele.

    1. Anche io la sapevo come lei, ovvero che la chiglia fosse l’asse su cui si aggangiano le ordinate laterali, e che ciò di cui si parla in questo articolo fosse la deriva. Però, cercando “differenza tra chiglia e deriva” si trovano solo articoli secondo i quali la deriva si chiama tale solo se è mobile, altrimenti si tratta di chiglia. La spiegazione che mi sono dato è che la chiglia sia nata come la definizione di cui sopra, per poi espandersi e prendere anche il ruolo di elemento raddrizzante e per evitare lo scarroccio.
      Un paio di articoli, se la policy del sito lo permette, su questo argomento:
      https://www.inautia.it/blog/consigli/barche-a-vela-scafo-chiglia-timone-attrezzatura/
      https://www.hinelson.com/blog/chiglia-lunga-o-chiglia/

  2. La scelta del peso e dell’immersione di una barca a vela dipenderà, poi, dall’uso che di essa vorremo fare e dei mari (e dei porti) che con essa vorremmo frequentare.
    Per quanto riguarda la scelta fra una pinna in piombo (ovviamente con una percentuale di antimonio ≈ 4% aggiunto per aumentarne la durevolezza), faccio sommessamente notare che se è indubbio che una pinna realizzata in piombo (a parità di superficie laterale e di momento raddrizzante sviluppato) presenterà senz’altro una minore resistenza all’avanzamento ma costerà circa 2000 euro/tonn a fronte dei 100 euro/tonn di una zavorra in ghisa (cioè 20 volte in più)…Una differenza non trascurabile nel caso di una barca a vela da crociera pura che, con vento forte e la necessità di raggiungere un porto sicuro, difficilmente si metterà a fare dei bordi di bolina stretta ma, piaccia o meno…Sia da marinari duri e puri o meno…Accenderà il motore e raggiungerà il porto in sicurezza e con il più ampio confort!

  3. Dal basso della mia ignoranza mi permetto di aggiungere 2 note sul “mitico” bulbo a T
    La lama a cui è appeso il siluro, se progettata o realizzata male, sotto carico può flettere generando necessità di contrasto,.
    E personalmente ci ho messo un sacco a capire dove fosse il problema la prima volta.
    Il bulbo a T è tanto bello e soddisfacenete in regata ma può diventare un potente amuleto per tirare maledizioni negli ormeggi affollati, dove se acchiappa qualcosa sott’acqua, catena o cima che sia, se lo porta appresso con tutte le conseguenze che vi possono venire in mente, anche le peggiori se non ci si accorge subito

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scopri l’ultimo numero

Sei già abbonato?

I nostri social

Iscriviti alla nostra Newsletter

Ti facciamo un regalo

La vela, le sue storie, tutte le barche, gli accessori. Iscriviti ora alla nostra newsletter gratuita e ricevi ogni settimana le migliori news selezionate dalla redazione del Giornale della Vela. E in più ti regaliamo un mese di GdV in digitale su PC, Tablet, Smartphone. Inserisci la tua mail qui sotto, accetta la Privacy Policy e clicca sul bottone “iscrivimi”. Riceverai un codice per attivare gratuitamente il tuo mese di GdV!

Una volta cliccato sul tasto qui sotto controlla la tua casella mail

Privacy*


In evidenza

Può interessarti anche

Equipaggio American Magic - America's Cup 2024

INTERVISTA – Cosa indossano i velisti di Coppa America?

Come si vestono i velisti che volano sulle barche di Coppa America? Lo abbiamo chiesto a Øyvind Vedvik, VP Ski, Sailing & R&D di Helly Hansen, marchio norvegese che ha curato per la seconda campagna consecutiva l’abbigliamento del team statunitense

A bordo dell'X-55 si trova MarineCork, una delle soluzioni più innovative, ecologiche e affidabili per il decking della vostra barca. Il sughero ha una storia millenaria e caratteristiche da materiale hi-tech.

La sostenibile leggerezza del sughero

  La ricerca di materiali che possano rendere performanti e competitive le barche, sia esse a vela o a motore, è inarrestabile. Questa edizione dell’America’s Cup ci mostra come la ricerca di performance e sostenibilità possa portare alla riscoperta di