
Dinghy 12 piedi, Vaurien, Snipe o Beccaccino, Flying Dutchman e Flying Junior, Contender, Dragone… classi di barche nate in legno tre o quattro generazioni fa, che da più di trent’anni continuano ad evolversi in prestazioni e vincere in regata, grazie alla parziale o totale sostituzione del legno con la vetroresina.
Un materiale che se da un lato ha portato a un indubbio incremento nelle performance, dall’altro ha abbattuto i costi di manutenzione, contribuendo alla diffusione in Italia di classi che, altrimenti, sarebbero state appannaggio di pochi. E che, negli anni, hanno saputo esprimere campioni eccezionali.
Per capire come la vetroresina abbia dato nuova linfa a queste storiche barche (che hanno fitti calendari di regate e raduni affollati), abbiamo intervistato due atleti fortissimi, testimonial della evoluzione dal compensato al vetro, Marco Faccenda (sette volte campione mondiale Vaurien e titolare del Cantiere Faccenda) e Andrea Bonezzi (anche lui sette volte iridato, tra i Contender).
Alle loro testimonianze abbiamo unito quella carica di passione, di Fabio Mangione (campione italiano Dinghy Classici) e le conoscenze di Roberto Franchini, presidente dell’Associazione Italiana Vaurien.
SI PRODUCONO ANCORA DERIVE IN LEGNO?
Si producono ancora derive in legno? Ci risponde Marco Faccenda: “Le barche in legno oggi purtroppo non si costruiscono quasi più, perché occorre molto più tempo e lavoro, per cui i costi lievitano. Ad esempio, occorrono per un Vaurien in legno 23 giorni di lavoro, mentre per una barca in vetroresina ne bastano la metà”.

del Contender è reso ancor più vivo dal confronto in regata tra scafi in legno e in vetroresina.
Da alcuni anni anche Andrea Bonezzi (titolare con il fratello Luca del cantiere BonezziSailing) non si occupa più di costruzione di Contender esclusivamente in legno (anche se, come vi raccontiamo in un box dedicato, i due fratelli hanno messo a punto una tecnologia rivoluzionaria “ibrida”). Per lo Snipe, Daniela Semec, presidente della classe italiana, conferma che non ci siano oggi cantieri italiani che costruiscono Beccaccini (nome italiano dello Snipe) in legno e l’unica opzione sia l’autocostruzione, ben documentata in tutorial online.
L’intramontabile Dinghy invece fa eccezione: per Fabio Mangione “il Dinghy è la ‘Vespa’ del mare, è una barca relativamente lenta ma capace di regalare sensazioni irripetibili”. E averla in legno è una manifestazione di passione pura. Il progetto di George Cockshott del 1913, ha comunque tratto beneficio dall’introduzione della vetroresina, avvenuta in epoca recente: non solo ha salvato la classe, ma ha reso le regate ancora più interessanti anche per il confronto legno/vetroresina che negli anni si è sempre più affinato.
LE BARCHE IN VTR VANNO PIU’ VELOCI? NON SEMPRE
Opinione comune è che le barche in vetroresina siano più performanti rispetto alle loro ‘nonne’ in legno. Secondo Faccenda “in navigazione la differenza è data dal fatto che le barche in VTR oggi siano molto più evolute e lo scafo sia più rigido”. Franchini spiega che “In mare è fondamentale la risposta dello scafo all’onda. Nel passaggio dalla cresta d’onda al cavo, la barca riceve delle sollecitazioni strutturali che tendono a farla chiudere ed aprire.

del legno. Secondo il campione italiano Dinghy Classici Fabio Mangione, “rispetto alla barca in
VTR il Dinghy in legno ha una migliore stabilità di rotta ed una maggiore morbidezza nella conduzione”.
Lo scafo più rigido ha meno deformazione, sartie e strallo mantengono costante la loro tensione, l’albero oscilla di meno e per questo si ha meno deformazione della vela. In acqua salata una barca in vetroresina oggi non è battibile. Su specchi d’acqua chiusi come Garda, Bracciano o lago Lemano, con meno onda, la barca in legno è ancora competitiva”.
Diversa la situazione del Dinghy, Fabio Mangione sostiene infatti che “oggi le due tipologie di barche corrono quasi ad armi pari nelle oltre 100 regate che vengono disputate ogni anno in tutta Italia. Io sono un appassionato di barche classiche e pertanto non ho potuto far altro che scegliere un Dinghy di legno. Rispetto alla barca in VTR il Dinghy in legno ha una migliore stabilità di rotta ed una maggiore morbidezza nella conduzione.
Il rig interamente in legno, essendo meno rigido dell’alluminio, consente una gestione dell’aria più tollerante pur garantendo delle ottime prestazioni”. Nella classe Dinghy, anche in tutte le regate open (vale a dire aperte anche alle barche in VTR) c’è sempre una classifica riservata si classici che competono ovviamente anche per l’overall. Quest’anno a Imperia al Campionato Italiano open con il mio legno blu Nashira, mi sono classificato terzo assoluto ed ho conquistato il titolo di Campione italiano classici.
Paolino Viacava nel 2012 a Scarlino ha vinto un Campionato Italiano open con una barca di legno, ma lui è un fuoriclasse. Le prestazioni tra legno e VTR del Dinghy 12’ si stanno avvicinando sempre di più. Personalmente resisto alla tentazione di Stefano Lillia (costruttore Dinghy in VTR, ndr) di farmi una barca nuova color mogano. Il legno è sempre il legno…”.

LE RESINE 2.0
Costruire uno scafo da regata ad alte prestazioni richiede oggi un’esperienza enorme, molte volte superiore a quella necessaria per costruire in legno. Marco Faccenda ci spiega infatti che “ogni barca ha la sua tipologia di resina e una sua diversa tipologia di fibra di vetro, con tessuto direzionale-assiale. Le resine dal 1997 ad oggi si sono evolute moltissimo.
Anche resine normali poliuretaniche, senza nemmeno andare sulle epossidiche, hanno prestazioni incomparabili rispetto a quelle degli anni ’90. Esistono tantissimi prodotti, ciascuno con un uso specifico.

Alcune barche hanno bisogno di essere molto rigide, altre meno. C’è poi la forma degli scafi, da valutare classe per classe. Per esempio, ci sono scafi in cui si possono mettere tanta vela e altri che limitano la superficie velica. In una classe come il Vaurien, essendo lo scafo abbastanza piatto, il piano velico è stato modificato e aumentato di parecchio.
Su altre barche come il 470 questa estensione non è possibile perché la barca con più vela tenderebbe a ingavonarsi. Noi siamo un cantiere storico e stiamo lavorando con i ragazzi del 420, del 470, con il Vaurien, Flying Junior…. siamo in fase di continua ed evoluzione”. E la gestione del peso, in relazione alla stazza: “Quando si costruisce una barca, prima della fase finale, la barca pesa meno strutturalmente rispetto al peso minimo imposto.
Bisogna quindi aumentare la vetroresina per raggiungere il valore di stazza: è lì che ci sono i margini di discrezionalità dei cantieri, che rinforzano lo scafo dove lo ritengono più opportuno secondo l’esperienza”.
L’EVOLUZIONE “LENTA” DEL VAURIEN
Per quanto vantaggioso, il passaggio alla vetroresina non è stato tuttavia immediato, ci spiega Roberto Franchini: “per il Vaurien che ha scafo a spigolo, la vetroresina è stata introdotta nei primi anni ’90. In quel periodo l’unico costruttore autorizzato era Gavazzi che costruiva da disegni originali in concessione.
Ci sono stati per una serie di esperimenti falliti nei primi anni perché le giunzioni degli spigoli in sola VTR non erano stabili. La problematica è stata superata con l’introduzione del wafer, detto Termanto, che è un sandwich di due pelli di vetroresina con della schiuma rigida all’interno. Il peso è praticamente pari a quello della fibra di vetro ma la rigidità strutturale è assai superiore.
Questa tecnologia ha cambiato le regole e la lastra in Termanto era equivalente al compensato marino di 4-5mm in termini di peso, ma con rigidità di molto maggiore. Si sono iniziate a creare delle barche indeformabili molto più performanti rispetto al legno (e anche non marcescibili). Su barche non a spigolo, ma a carena tonda, come il Flying Dutchmann, questa difficoltà iniziale della vetroresina è stata minore”.
CONTENDER, LA “COESISTENZA PACIFICA” DI LEGNO E VTR
Per quanto riguarda il Contender, Andrea Bonezzi racconta come “legno e vetroresina siano sempre vissute insieme nella classe Contender. Quello che è cambiato una decina di anni fa è aver approvato l’introduzione della resina epossidica nella costruzione degli scafi: questo ha portato le barche di ‘plastica’ a essere molto più competitive.
Direi che il vantaggio della plastica è di avere una possibilità maggiore di personalizzare la barca in base alle condizioni e in base al proprietario, infatti è facile modificare le stratifiche di vetro e i pesi nei vari punti dello scafo: con la plastica si riescono a fare barche molto più leggere. D’altro canto, il legno ha il vantaggio di una maggiore rigidezza quando viene unito il sandwich e consente di risparmiare peso su vernice o gelcoat”.

LEGNO, CI VUOLE PASSIONE
Delle performance abbiamo parlato. Ma è vero che i legno suscita un fascino indiscutibile e su questo i nostri interlocutori sono tutti d’accordo, a cominciare da Marco Faccenda: “La differenza è simile a quella che intercorre tra un mobile dell’Ikea e un mobile in legno pregiato. Quando porti la tua barca di legno al mare tutti si avvicinano e la guardano, quando porti la tua barca in vetroresina non si emozionano allo stesso modo. Io ho ancora delle mie barche di legno che tengo al mare e su cui navigo!”.
Gli fa eco Roberto Franchini: “Quando si naviga su uno scafo in legno, si prende la consapevolezza di essere a bordo di un pezzo di storia. Davanti a una barca ben tenuta, la curiosità si impenna. Nel 2010, feci riverniciare il mio Vaurien (da me costruito dal 1986 al 1987) proprio dal cantiere Faccenda, che fece un lavoro egregio. Quando la mostrai al Circolo, tutti vennero a vederla e a chiedere informazioni, giovani compresi.
Fabio Mangione aggiunge che “ciò che fa la grande differenza tra i Dinghy in legno e in VTR è il suono dello scafo a clinker di legno sull’acqua, oltre che la bellezza della costruzione tradizionale del fasciame inchiodato e di tutti i particolari realizzati interamente in legno. Anche Andrea Bonezzi ne fa una questione di pura passione: “Le emozioni, fra plastica e legno, non riguardano di specifico la regata: le ultime barche in vetroresina fatte con epossidica regalano le stesse emozioni. La differenza c’è in navigazione in generale, oppure quando la barca sta sul carrello in garage: per molti è un fattore estetico e di cuore. C’è un legame maggiore tra barca e armatore perché il legno richiede più manutenzione”.
MANUTENZIONE E COSTI
E visto che abbiamo parlato di manutenzione…. facciamo il punto su questa nota dolente. Mangione sostiene che “Va da sé che una barca in legno richieda più attenzioni. Tali attenzioni però non sono nulla di proibitivo, va semplicemente trattata come una bella signora”.
Anche Marco Faccenda è su questa linea, “è tutta questione di dedizione e corretta manutenzione, la barca non va abbandonata: se uno lascia la barca in legno al mare tutto l’anno, dopo cinque anni dovrà sicuramente farla riverniciare e rimettere a posto, con costi importanti (3500- 4000 mila euro). Se invece la barca viene mantenuta al coperto con corretto rimessaggio, sotto una tettoia ad esempio, bastano piccole manutenzioni per farla durare molto di più.
Dipende anche molto dalle vernici usate, oggi ci sono vernici poliuretaniche molto consistenti che durano molto più a lungo rispetto a quelle tradizionali.
Ovviamente bisogna stare più attenti alla barca in legno, perché un graffio rimane, dice Andrea Bonezzi: “Capita spesso, col gancio del trapezio, di danneggiare la coperta in una scuffia o che qualche sassolino graffi lo scafo nel momento di lanciare la barca in acqua”. Per preservare il legno, Roberto Franchini tende a non usarlo più in regata: “Ti preoccupi di non rovinare la barca, sei delicato nelle manovre e le prestazioni ne risentono!”.
Luigi Gallerani
AIUTACI A TENERTI SEMPRE AGGIORNATO
I giornalisti del Giornale della Vela, si impegnano ogni giorno a garantire informazione di qualità, aggiornata e corretta sul mondo della nautica in modo gratuito attraverso i siti web. Se apprezzi il nostro lavoro, sostienici abbonandoti alla rivista. L’abbonamento annuale costa solo 49 euro e ti facciamo anche un regalo!
SCOPRI IL CANALE YOUTUBE DEL GIORNALE DELLA VELA
Ogni giorno interviste, prove di barche, webinar. Tutta la vela, minuto per minuto. Ma in video! CLICCA QUI per iscriverti, è gratis!
ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER
Per rimanere aggiornato su tutte le news dal mondo della vela, selezionate dalla nostra redazione, iscriviti alla newsletter del Giornale della Vela! E’ semplicissimo, basta inserire la tua mail qui sotto, accettare la Privacy Policy e cliccare sul bottone “Iscrivimi”. Riceverai così sulla tua mail, due volte alla settimana, le migliori notizie di vela! E’ un servizio gratuito e ti puoi disiscrivere in qualsiasi momento, senza impegno!
2 commenti su “INCHIESTA Come la vetroresina ha fatto rinascere derive “ultracinquantenni””
Bello scritto sulle derive “ultracinquantenni”.
Lo ha apprzzato un velista ultraottantenne.
Marco Pellanda – Venezia
Sono un “maturo” velista.
In proposito dell’epoca della produzione del Vaurien in vetroresina, indicata come 1991 nell’articolo sulle derive ultracinquantenni, da ragazzino – seconda metà degli anni ’60 – ricordo bene che c’erano già. Mi sembra fosse prodotto dalla “Cima”, cantiere allora corrente nel Lazio, ma sul cantiere non sono certo. Ero già appassionatissimo e non mi sfuggiva niente. Purtroppo non credo di riuscire a ritrovare delle foto.
Comunque complimenti per il revival, che è piacevole per chi naviga da un po…
Alessandro Mercuri