Dibattito al Vendée Globe: è tutta colpa dei foil?
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Foil si, foil no, foil su e foil giù. Tra Vendée Globe e Coppa America sembra che l’attualità della vela moderna, ed il suo dibattito, ruoti tutto intorno a questa parola magica, a queste appendici che hanno catapultato a grande velocità la vela verso il futuro. Il racconto di Kevin Escoffier, che a 800 miglia a sud di Cape Town ha visto la sua barca spaccarsi a metà, con la prua a 90 gradi verso il cielo, ha lasciato una traccia emotiva importante nel pubblico che sta seguendo la regata intorno al mondo più iconica che ci sia. Sul banco degli imputati sono finiti, come per altro è logico che sia, loro, i “maledetti” foils, accusati di avere portato la vela in una direzione sbagliata, troppo lontana dalla realtà del velista medio, che fatica a identificarsi con queste macchine volanti definite persino pericolose per la stessa incolumità degli skipper. Un lettore ci ha scritto una mail, di cui riportiamo di seguito alcuni passaggi significativi, per esprimere il suo punto di vista:
“I foils incrementano notevolmente le prestazioni dell’imbarcazione, ma in regate lunghe come un Vendée Globe potrebbero causare sollecitazioni nettamente maggiori sulla parte strutturale della barca, come abbiamo potuto constatare, dopo appena 22 giorni di regata ci sono stati già tre ritiri per cedimenti strutturali. Urtare un oggetto galleggiante a 10 kts sicuramente provocherà meno danni che ad una velocità due volte maggiore, basti pensare ai normali crash-test effettuati sulle automobili. Sono quindi una soluzione sicura o no? Thomson, a bordo del suo Imoca 60 Hugo Boss, puntava tutto sulla velocità portando costantemente la barca al limite, ne è derivato prima un danno strutturale e poi la rottura di un timone dovuto dall’impatto con un oggetto non identificato. Se avesse navigato a 10 kts il sistema di fusibili avrebbe permesso al timone di non compromettersi e ridurre al minimo la rottura, forse. Dato per certo che Thomson regatasse a bordo di una barca impeccabile dal punto di vista ingegneristico, seguita e progettata da un team di super esperti, mi sorge il dubbio che questa costante ricerca di velocità sfrenate ci faccia un po’ dimenticare le priorità della regata, considerata l’Everest delle regate, a discapito della robustezza e durata delle imbarcazioni. Non voglio sicuramente dire che i Foils non siano una soluzione rivoluzionaria e affascinante, ma a parer mio bisogna trovare un compromesso tra le due cose, come ci sta insegnando il nostro connazionale Giancarlo Pedote – Ocean Sailor che nonostante l’utilizzo di un’imbarcazione moderna e dotata di Foils mette al primo posto la sicurezza della barca, cercando di preservarla e non stressarla troppo facendo tesoro dell’esperienza marinara e di vita, puntando ad arrivare piuttosto che a vincere, dopo aver percorso 24’000 nm e completato un giro del mondo in solitario, indipendentemente dalla classifica. A mio modesto parere credo che ad oggi nel Vendée Globe si spingano le imbarcazioni costantemente al limite, dimenticandosi che già riuscire a completare la regata senza rotture è la vera vincita, personale e di vita”. Pietro Valente
Il tema sollevato da Pietro è serio e merita una risposta altrettanto seria e strutturata, con le dovute precisazioni. Partiamo da un dato: ormai anche i Mini 650 navigano spesso ben oltre i 10 nodi di velocità. Le performance alte del resto non sono state certo una priorità dei foiler, i vecchi Imoca già dall’edizione 2000 del Vendée Globe in poi sono capaci di navigare ben sopra i 20 nodi, o toccare e superare i 30, senza bisogno dei foil. I timoni sono da sempre stati un tallone d’Achille degli open oceanici, così come le chiglie e gli alberi. Se si navigasse a medie di 10 nodi o poco superiori i danni nell’urto con un oggetto sarebbero certamente minori, ma significherebbe tornare indietro praticamente di 30 anni, quando il Vendèe Globe veniva completato in oltre 100 giorni e si rompevano comunque timoni, alberi e chiglie.
I foil hanno certamente aumentato in maniera importante le medie di velocità, ritoccando un po’ verso l’alto le punte massime, ma a 30 nodi gli Imoca ci erano già arrivati da un bel po’ di tempo. Giova anche qui citare qualche dato. Il 1 dicembre 2009, quando di foil non si sentiva parlare, Michel Desjoyeaux con Foncia sfondò il muro dei 30 nodi e non fu certo il primo uomo a farlo con una barca a vela. Qualcuno ricorderà l’impresa del Professore in quell’edizione. Foncia dovette ritornare a terra poche ore dopo la partenza per un problema tecnico, ripartire 48 ore dopo gli altri, per poi vincere, con record, la regata. In pochi ebbero il coraggio di accusare il Professore Desjoyeaux di essere stato troppo veloce, o di avere spinto troppo la sua barca. Certo con un’appendice in acqua che aumenta la larghezza della barca la possibilità di una collisione con un oggetto è aumentata, e certamente i foil impongono delle criticità strutturali importanti che i progettisti provano a prevenire. A volte ci riescono, a volte no, ma questa non è una n0vità per il Vendée Globe. Non è vero per altro che ci siano più appendici immerse che in passato. Il foil sopravvento è sempre fuori dall’acqua, quello sottovento è immerso come si faceva già con i daggerbord dei vecchi Imoca, il numero complessivo di appendici immerse è il medesimo.
C’è una cosa che è necessario tenere a mente. Il Vendèe Globe sarà anche una fantastica avventura umana. Ma resta pur sempre una regata e viene classificata come tale. Se è una regata, e c’è una classifica, ci sarà sempre qualche skipper che cercherà di ingegnarsi nel trovare il modo di compiere quelle 25 mila miglia di Oceani nel modo più veloce possibile. Fa parte della storia dell’uomo, e ovviamente di quella della navigazione, il costante tentativo di andare oltre i limiti e il Vendée Globe non è certo un’eccezione. I foil sono un nuovo strumento per andare oltre questi limiti (in questo caso il limite è la resistenza idrodinamica dell’acqua), ma nessuno ha obbligato gli skipper ad usarli. Nessuno ha obbligato i progettisti a disegnarli di queste dimensioni (non c’è un limite di misura nella box rules degli Imoca). Nessuno obbliga gli skipper a spingere al 100% la barca. Ma c’è chi lo fa, semplicemente perché vuole vincere la regata. E fino a quando il Vendée Globe sarà una corsa tutto ciò si riproporrà.
Si dice che da quando ci sono i foil le avarie, gli incidenti, i problemi strutturali siano aumentati. Siamo andati a ricostruire allora le statistiche del Vendée Globe, a proposito dei ritiri, dall’edizione del 2000 in poi. Abbiamo scelto questo spartiacque perché è all’incirca dal 2000 che la classe Imoca ha fatto decisamente un balzo in avanti.
VENDEE GLOBE 2000-2001
Vincitore Michel Desjoyeaux in 93 giorni 3 ore 57 minuti
Partiti: 24
Ritirati: 9
VENDEE GLOBE 2004-2005
Vincitore Vincent Riou in 87 giorni, 10 ore, 47 minuti
Partiti: 20
Ritirati: 7
VENDEE GLOBE 2008-2009
Vincitore Michel Desjoyeaux in 84 giorni, 3 ore, 9 minuti
Partiti: 30
Ritirati: 18
VENDEE GLOBE 2012-2013
Vincitore François Gabart in 78 giorni, 2 ore, 16 minuti
Partiti: 20
Ritirati: 9
VENDEE GLOBE 2016-2017 (ERA FOILER)
Vincitore Armel Le Cleac’h in 74 giorni, 3 ore e 35 minuti
Partiti: 29 (di cui 6 foiler)
Ritirati: 11 (di cui 2 foiler)
VENDEE GLOBE 2020-2021
Partiti: 33 (di cui 18 foiler)
Ritirati ad oggi: 3 foiler
Il primo dato che salta agli occhi è come di edizione in edizione il tempo si abbassi sempre di più. Questo a conferma del fatto che, pur nello spirito di avventura umana, c’è chi fa questa regata con l’obiettivo di vincere ed andare forte. Alla luce delle statistiche sui ritiri, osserviamo come la percentuale totale dei ritiri, rispetto ai partenti, nelle tre edizioni pre foiler sia superiore al 50%. Le avarie in quel caso riguardano in misura maggioritaria timoni, albero e chiglia.
Nel 2016 furono 6 i foiler in partenza, due non arrivarono (percentuale quindi inferiore al 50%) Banque Populaire e Hugo Boss finirono sui primi gradini del podio, con record della regata (Banque Populaire) e di miglia nelle 24 ore (Hugo Boss, 535, che navigò per oltre mezzo giro del mondo senza un foil per l’urto con un Ufo). Non possiamo non sottolineare poi come le ultime due Transat Jacques Vabre siano state vinte da foiler (l’ex barca di Pedote nel 2017 e Apivia nel 2019, e il risultato sarebbe lo stesso anche alla Route du Rhum se Alex Thomson non si fosse addormentato a 10 miglia dal traguardo andando a scogli.
Nell’edizione in corso i ritiri al momento sono solo 3, e riguardano solo i foiler. In attesa di avere una statistica più chiara alla fine della regata, va sottolineato però che Charal ha avuto un problema tecnico, Linkedout è senza un foil, di Hugo Boss e PRB abbiamo parlato ampiamente, l’Occitaine invece ha avuto problemi agli stralli non direttamente ricongiungibili al lavoro delle appendici. Sicuramente i nuovi foiler hanno fatto un deciso balzo in avanti in termine di stress dei materiali e di difficoltà per gli ingegneri di prevedere i carichi. Ma gli incidenti gravi al Vendée Globe (barche che si spaccano, che scuffiano, alberi in pezzi, timoni sbriciolati e chi più ne ha più ne metta) sono stati da sempre una realtà.
Jean Le Cam, che ha salvato Escoffier, nel 2008 scuffiò poco prima di Capo Horn perché la sua barca, senza foil ovviamente, perse la chiglia. Simile sorte toccò ad Javier Sanso nel 2013, mentre Thomas Ruyant nel 2017 vide la sua barca aprirsi a metà e solo tanta fortuna gli consentì di portarla a buon porto senza affondare. Citiamo solo questi altrimenti l’elenco sarebbe lunghissimo.
Quando si parla del Vendée Globe dobbiamo pensare a questa corsa come se fosse una Parigi-Dakar. Ci stupiremmo se a una Dakar ci fossero problemi tecnici ai mezzi in gara? Credo di no. Chiederemmo macchine o motori più lenti? Può darsi.
In definitiva il punto cruciale della questione potrebbe essere individuato nelle regole. Se la classe Imoca lascia nella box rules un “buco”, ovvero la dimensione dei foil che è libera (regola E.4 della classe Imoca), che consente ai progettisti di osare, loro lo faranno. Del resto se si decide di non mettere mai a rischio la propria incolumità, il Vendée Globe non è certo la manifestazione più adatta. Pur nella paura, e nella prudenza, anche gli skipper più cauti sanno che stanno prendendo parte a un evento dove il pericolo, il rischio, fa parte del gioco. Lo sa bene infatti Giancarlo Pedote, che proprio perché conscio di quanto questa regata possa mettere a rischio la sua incolumità si sta mostrando molto prudente, e fa bene a farlo se questo è il suo stato d’animo e il suo obiettivo dentro quest’edizione. Nessuno può giudicarlo per questo.
Come è stato fatto con gli alberi e con le chiglie (adesso one design), è presumibile che la classe Imoca in futuro metterà mano al regolamento per limitare in qualche modo la dimensione dei foil. Ci troviamo in una fase di transizione. I primi foiler del 2016, pur avendo avuto inizialmente qualche problema di tenuta, furono definiti complessivamente affidabili.
Hugo Boss fu la prima a mostrare quanto foil di grandi dimensioni potevano essere vantaggiosi per le medie di velocità e siamo arrivati quindi agli estremi di quest’edizione con foil enormi. Probabilmente vedremo in futuro una via di mezzo tra queste due generazioni. Foil o non foil, fino a quando il Vendée Globe sarà una regata ci sarà qualcuno che vorrà vincerla. Lunga vita allora al Vendée Globe, e ai suoi skipper, fonte di ispirazione e di dibattito per tutti noi.
Mauro Giuffrè
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8 commenti su “Dibattito al Vendée Globe: è tutta colpa dei foil?”
Non è un problema di foils si o foils no: occorre progettare in robustezza per quelle che sono le condizioni di regata. Quindi se si veleggia sul Lago di Ginevra non è come veleggiare a Capo Horn e le barche devono essere pensate diversamente. Se per andare in atlantico o pacifico serve una robustezza tale che i foils non sarebbero funzionali perchè la barca sarebbe troppo pesante (allo stato attuale delle tecnologie), non si metteranno i foils.
Secondo me occorrerebbe anche rendere obbligatorio l’uso di casse stagne sufficienti a rendere la barca inaffondabile. Mi pare strano non sia un obbligo di regolamento specie visto i costi e le dimensioni delle barche . Ma le assicurazioni cosa dicono?
o anche air-bags a gonfiaggio automatico come per i giubbetti si salvataggio! oppure la metodologia ETAP che rendeva inaffondabili quegli scafi. Ciò anche per liberare gli altri concorrenti dall’obbligo morale del salvataggio che va a falsare i tempi di regata a sfavore del più vicino soccorritore rispetto ai concorrenti più lontani..
Le barche abbandonate diventano UFO a loro volta?
una volta dannegiate seriamente e l’equipaggio in salvo, autoaffondamento…
Credo che una barca a vela debba prima di tutto galleggiare nel suo elemento, l’acqua, e dall’aria limitarsi a prendere la spinta propulsiva.
Se poi per vincere una regata dobbiamo creare un ibrido che un po’ galleggia e un po’ vola, allora non concentriamoci solo sul decollo ma soprattutto sull’atterraggio, cosa che evidentemente non ci riesce ancora bene.
Un pilota di idrovolante che si cimentasse in ammaraggi come quelli degli IMOCA (oppure degli AC75), perderebbe immediatamente il brevetto di volo.
Credo nella tecnologia che avanza e nel miglioramento delle performance, nonostante il raggiungimento delle mie 65 campane e le 8000 miglia nautiche percorse in 40 anni, motivo per cui non mi ritengo un bigotto, ma per me ogni cosa ha delle sue tradizioni, dei suoi canoni, dei dettami che per mille motivi andrebbero mantenuti…. e lo ha ben dimostrato l’Amerca’s Cup dove dopo la grande innovazione dei multiscafi, alla fine si è ritornati ai monoscafi ed era inevitabile. Nel caso del Vendee non si tratta solo di questo ma soprattutto di rendersi conto che correre in oceano a trenta nodi appoggiati su delle lamette a banana non paga a lungo termine poiché con tutta la spazzatura galleggiante più o meno grande che sicuramente si incontra su 24.000 miglia nautiche, prima o poi ci lasci le penne, vedi Hugo Boss e altri. Almeno se non ci fossero i foil e le velocità fossero più basse ci sarebbero sicuramente molte meno rotture e al limite con danni inferiori dunque meglio riparabili sul posto.
scusate, e aggiungo, “e poi chi l’ha detto che senza foil stai navigando su una scarpa vecchia, tanto è vero che in questo momento in cui scrivo, tra 24 barche rimaste in gara, tra le prime 10 figurano ben tre scafi assolutamente senza foil, con punte raggiunte di 18 nodi…… meditate gente meditate…”.
Aggiungerei una considerazione animalista : queste barche da 10 tonnellate che viaggiano a 25 nodi arrivano con poco rumore anche addosso ad animali marini facendo le loro vittime.
Altra considerazione : quando ben avremo fatto il giro del mondo a vela in soli 30 giorni ammazzando un po’ di animali e con qualcuno che ci avrà lasciato la pelle, cosa avremo ottenuto ?
– un mondo più piccolo ?
– una soddisfazione come quelli che fanno il record dei capelli piu lunghi o che tengono il respiro più a lungo o che si buttano da più in alto senza paracadute?
– la spinta per spostare ancora il record più in alto ?
Mah….