Tutti i segreti per realizzare l’ancoraggio perfetto (seconda puntata)

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Ancoraggio: per dirla alla Enzo Tortora, dove eravamo rimasti? Nella puntata precedente abbiamo fatto una rapida panoramica delle caratteristiche principali dei vari elementi della linea d’ancoraggio e di come la loro combinazione consenta di variarne le caratteristiche. Proviamo ora a fare un ipotetico giro in barca per vedere quali possano essere i risvolti pratici, evidentemente i più interessanti.

ancoraggioVENTO FORTE, MARE GROSSO
Probabilmente il caso più frequente: ancoraggio alla ruota in condizioni di forte vento e/o moto ondoso significativi per la barca. La barca è libera di muoversi sotto l’azione combinata di vento e mare, muovendosi accumula energia cinetica, nel momento in cui la linea di ancoraggio arriva “a fine corsa” si verificheranno quei carichi dinamici di punta, che bisognerà cercare di arginare il più possibile.

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Barca con vele antibrandeggio

Da un lato quindi cercate di ridurre il movimento laterale della barca tramite, per esempio con la piccola vela antibrandeggio, la piccola ancora galleggiante o qualsiasi altro metodo analogo. Dall’altro lato, ricercate una linea di ancoraggio con molta capacità di assorbimento di energia, quindi di elasticità: utilizzate una linea lunga con catena, ma con una componente tessile relativamente rilevante (in condizioni dure, la catena molto distesa ha poco allungamento residuo disponibile per ammortizzare, uno stroppo in tessile viceversa ha un’elasticità molto maggiore).

ancoraggioA seconda delle condizioni, potete cominciare con una parte elastica lunga un po’ meno della profondità (così nei momenti di “stanca” non vi è contatto del tessile con il fondo), allungandola ulteriormente se le condizioni dovessero peggiorare.

Quanto alla lunghezza totale del calumo, (si è visto nella puntata scorsa) come con un rapporto 8-9:1 (calumo:distanza prua-fondo), in profondità moderate si raggiunga già un livello ottimale dal punto di vista delle forze verticali applicate sull’ancora: in pratica in un fondo totale di 5m, un calumo di una quarantina di metri ottimizza il comportamento della linea. Se vi sembrano molti, ricordatevi che ci stiamo occupando di un ancoraggio in condizioni limite, per un ancoraggio sosta-pranzo evidentemente ne bastano molti meno. Una volta filati 45 m in 5 m d’acqua, bisogna naturalmente fare i conti con i vicini d’ancoraggio.

CIME A TERRA
Eventualità altrettanto frequente in vari posti del Mediterraneo, ma con problematiche opposte rispetto alla precedente: l’ancoraggio con la poppa in banchina, per esempio in un porto. La priorità in tal caso è evitare che lo scafo vada a sfracellarsi contro il molo, quindi non si cerca più l’elasticità nella linea di ancoraggio, ma al contrario l’inestensibilità. Per avere una linea molto poco elastica, la soluzione è un calumo tutto in catena, ben teso, più lungo possibile.

Il vantaggio addizionale di tale configurazione in un porto è che la catena è molto meno sensibile di una cima rispetto alle eventuali eliche o chiglie di barche che passano a prua. Con la poppa assicurata in banchina, da un lato siete aiutati dal fatto che i carichi sono prevalentemente statici (quindi relativamente inferiori rispetto alla ruota “libera” con la barca in ampio brandeggio); dall’altro, siccome la barca è vincolata a poppa, vi è il rischio che il vento non sia allineato con l’asse della barca ma la investa più o meno lateralmente. In tal caso il carico viene aumentato per due cause: da un lato il vento investe una superficie maggiore (la barca posizionata di traverso invece che di prua) quindi causa una forza maggiore; dall’altro la linea di ancoraggio deve contrastare tale forza trasversale con una componente orientata quanto più possibile lungo l’asse della barca.

Un esempio numerico: supponiamo che il vento venga direttamente da prua e spinga la barca con una forza pari a 10; la linea di ancoraggio reagisce con una forza uguale e contraria, la barca sta immobile, a distanza sicura dalla banchina. Il vento cambia di direzione e viene dal traverso: la superficie esposta è poniamo 3 volte maggiore, la forza applicata diventa all’incirca 30. La linea di ancoraggio però “scadrà” un po’ sottovento, formando un piccolo angolo con l’asse della barca. Se quest’angolo per esempio è di una ventina di gradi, la tensione sulla linea passa a valori di 80-90+: con il vento in prua ne avevamo 10, con il vento alla stessa velocità ma di traverso 8-9-10 volte di più; il tutto con la supposizione talvolta ottimistica che nessun vicino sopravvento si stia appoggiando sulla nostra barca.

Situazione delicata e potenzialmente pericolosa, sia per i carichi in gioco, sia perché si sviluppa in modo sornione: collegare un aumento della velocità del vento ad un aumento degli sforzi in gioco è in genere innato, l’effetto di un vento della stessa velocità che cambia di direzione venendo più dal traverso lo è molto meno, ed è più facile farsi sorprendere. In porto spesso c’è un po’ di clamore, quindi qualche avvisaglia ci può essere, ma all’ancora con le cime a terra il rischio di non accorgersi di niente è più elevato.

Come si può reagire? Se foste stati costretti dalla geometria del luogo ad usare un calumo di lunghezza ridotta, per aumentarne la tenuta si potete utilizzare il “salmone”, un peso addizionale filato lungo la catena (vedi riquadro qua sotto). L’effetto è analogo a quello di allungare il calumo, ma siccome in questo caso non lo potete fare, ecco che il peso può contribuire a migliorare la tenuta. Come secondo asse di azione, se le circostanze lo permettono, potete cercare di agire sull’angolo della linea di ancoraggio con l’asse della barca, posizionando l’ancora più sopravvento. Per un ancoraggio cime a terra in rada, una soluzione preventiva può consistere nell’afforcare due ancore, in modo che gli angoli fra le possibili direzioni del vento e linee di ancoraggio siano i più piccoli possibili.

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Nei due casi esposti si nota come siano indicate due configurazioni della linea di ancoraggio apparentemente incompatibili: da un lato tutta catena, dall’altro linea mista. Una soluzione pratica per poter scegliere fra i due metodi, e soprattutto per potersi adattare alle varie profondità possibili degli ancoraggi, consiste nel dotarsi di una linea di catena sufficientemente lunga per potersi ancorare nella modalità “senza elasticità”, e aggiungere una bozza in cima tessile lunga un 10-15-20m. Quando si ha bisogno di tutta catena la si ha a disposizione (naturalmente, nonostante si ricerchi una linea non elastica, è comunque indicato imbozzare un corto spezzone di tessile da 1-2m perché la catena non lavori sul salpancora); quando viceversa si desidera una linea propriamente mista basterà collegare la bozza tessile alla catena, filare fuoribordo la lunghezza desiderata (5-10-15m), lascando ulteriormente la catena, perché tutto il carico venga sopportato dalla cima.

ancoraggioTENERE LA BARCA IMMOBILE
A parte gli ancoraggi in condizioni limite, può capitare di dover ancorare in zone dove le condizioni richiedono che la barca resti assolutamente immobile. Si pensi a baiette di dimensioni lillipuziane, oppure fiumi stretti con vegetazione che rischia di urtare contro l’alberatura, canali di traffico molto vicini, ecc. In tali casi bisogna ricorrere ad accorgimenti diversi.

In particolare, diventa necessario utilizzare un secondo vincolo con il suolo che permetta di bloccare il movimento della barca: talvolta si può ricorrere al metodo delle “cime a terra” visto sopra, altre volte sarà invece necessario ricorrere all’utilizzo di una seconda ancora. Il modo più semplice consiste nel filare normalmente un’ancora di prua, ed aggiungere successivamente una seconda ancora filata a 180° e data volta a poppa: vincolata nelle due direzioni la barca mantiene la sua posizione. Va da sé che un ancoraggio del genere in caso di peggioramento delle condizioni presenta lo stesso tipo di rischi di quello con cime a terra, per cui è necessario limitarsi a situazioni meteo tranquille ed esercitare comunque una vigilanza rinforzata.

INCAGLIO – “NAVIGAZIONE CON LA CORRENTE”
Il vincolo rispetto al fondo di cui si è parlato può anche essere utilizzato non per per bloccare la barca ma, viceversa, per poterla muovere e spostare. L’esempio classico è l’incaglio, accidentale o volontario: in tal caso l’ancora deve servire innanzitutto per bloccare rapidamente la barca, permettendo poi di potersi tonneggiare per ritrovare acque profonde.

La linea di ancoraggio necessaria ha quindi caratteristiche ancora diverse: il calumo deve sì essere molto poco elastico, ma non si può utilizzare il tutto-catena, perché sarebbe molto difficile da maneggiare, quindi conviene utilizzare una cima il meno elastica possibile (può andare bene anche una vecchia scotta o drizza, che ovviamente è da proscrivere qualora si richieda elasticità), magari aggiungendo uno spezzoncino di catena per sopportare meglio lo sfregamento con il fondale.

Dal lato dell’ancora, più che ricercare una tenuta gigantesca – non strettamente necessaria – è meglio concentrarsi su un’ancora che faccia testa rapidamente e soprattutto sia maneggevole, per poterle dare fondo trasportandola con il dinghy o a nuoto appendendola a un parabordo. Nelle imbarcazioni di maggiori dimensioni, una soluzione risolutiva può essere data dalle ancore in lega leggera: facili da trasportare, spesso smontabili, offrono delle caratteristiche interessanti per questo tipo di utilizzo.

Un caso specifico, volendo pittoresco in quanto richiama la marineria di altri tempi, può essere utilizzato in zone con una corrente sensibile rispetto al vento. Quando c’è corrente, creare un vincolo con il fondale consente una certa latitudine nel dirigere la barca: in tal caso serve una linea di ancoraggio che non abbia “tenuta” in senso tradizionale, ma che offra solo un attrito sufficiente con il fondale. Si ottiene un risultato accettabile con una lunghezza adeguata di catena trainata sul fondo, senza ancora; la barca verrà orientata con il timone nella direzione richiesta, mentre l’azione della corrente combinata con l’attrito della catena sul fondo consentiranno di “dirigerla” facendola scadere in diagonale nella direzione voluta. è una tecnica che può anche essere usata dai regatanti in caso di bonaccia in presenza di corrente, per cercare di passare una boa dal lato corretto.

ancoraggioGLI ALTRI CASI
Esistono poi tanti altri casi dove è preferibile strutturare l’ancoraggio ancora in altri modi; facciamo qualche esempio:

1. Presenza di blocchi di corallo: il rischio di usura rapida della parte tessile diventa predominante in questo caso. Il consiglio è quello di utilizzare il calumo in catena, e, nel caso fosse necessaria elasticità, potrete ricorrere ad una parte tessile tenuta a galla da alcuni parabordi.

2. In zone fluviali senza inversione di corrente, il modo più semplice per fermare la barca è dare volta a una lunga cima a un albero sulla riva e orientare il timone in modo che la barca si tenga lontana dalla riva; all’inizio sarete diffidenti nel provare questa soluzion, ma con il passare delle ore vi renderete conto di come la natura stia continuando a fare il suo lavoro.

3. In zone con inversione di corrente a causa della marea diventa predominante la capacità dell’ancora di sostenere un tiro alternato di 180° ogni sei ore circa: meglio evitare le ancore piatte e aggiungere una bella lunghezza di catena per lo sfregamento periodico contro il fondale marino.
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4. Per le zone di fango molle vi sono generalmente due orientamenti: il primo consiste nell’utilizzare un’ancora piatta in lega leggera con la maggior superficie possibile e un piccolo spezzone di catena. In tal caso mantenete nel periodo iniziale un calumo relativamente corto, in modo che il fuso non affondi al di sotto delle due marre che tendono a “galleggiare” e allungatelo solo in un secondo tempo. Il secondo prevede, alternativamente, l’utilizzo di un’ancora “a punta” il più pesante possibile per cercare di farla entrare in contatto con uno strato di fondale più compatto, al di sotto di quello molle.

PER RIASSUMERE
Per riassumere, il ventaglio di situazioni di ancoraggio differenti può essere estremamente ampio, affidarsi alla “ricetta magica” (qualsiasi essa sia) valida in ogni situazione mostra molto in fretta i suoi limiti: speriamo che questa rapida carrellata abbia aiutato a fornire alcuni elementi interpretativi che consentano di trovare soluzioni diverse, adeguate a situazioni diverse. Infine uno sguardo alle regole: non dimenticare di issare il pallone nero e preparare la luce di fonda per la notte prima di concedervi un aperitivo ben meritato dopo tutta questa faticata.

QUI IL LINK ALLA PRIMA PUNTATA

ancoraggioCHI E’ ROBERTO RITOSSA
Roberto Ritossa è il responsabile di BretagnaVela. Dopo tanto Mediterraneo, da oltre venti anni naviga in Bretagna, Normandia e Atlantico in generale; da nove si occupa di vela a tempo pieno. Fra le esperienze di navigazione, due traversate atlantiche di cui una Ovest-Est in solitario, un totale di circa 5.000 miglia di vela oceanica in solitario, circa 500 miglia di navigazione di esplorazione in zone non cartografate.

Laureato in discipline scientifiche, formazione in meteorologia marittima e oceanografia operativa del NOAA/NWS, Servizio Meteo USA. Diploma di Architetto Navale presso la Westlawn School of Yacht Design, USA Skipper professionista UK, STCW YachtMaster RYA/MCA. Autore della guida inglese Imray “Mediterranean Weather Handbook for Sailors”, tradotta in italiano per Il Frangente “Meteorologia del Mediterraneo per i Naviganti”. www.bretagnavela.com

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