TECNICA Tutti i segreti per un ancoraggio a prova di tifone

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ancoraggio
Ancoraggio, siete sicuri di sapere tutto? Qual è lo scopo ricercato quando si ancora la barca? La domanda è meno banale di quanto sembri
, la risposta spontanea “vincolare la barca rispetto al fondo” abbraccia situazioni ben diverse fra di loro, la traduzione pratica di tale “vincolo” puo’ essere effettuata in modi diversi. Abbiamo quindi chiesto a Roberto Ritossa, responsabile di BretagnaVela, di aiutarci a sviscerare uno degli argomenti tabù per ogni velista: l’ancoraggio. In questa prima puntata verranno indicate le caratteristiche generali di un sistema di ancoraggio, gli elementi sui quali si può agire per adattarlo alle noste esigenze, mentre nella seconda puntata (sul prossimo numero) verranno descritte situazioni pratiche nelle quali i vari componenti dell’ancoraggio intervengono in modo anche radicalmente differente. Andiamo con ordine, quali sono le forze in gioco in un ancoraggio?

ancoraggioDa un lato la barca, sottoposta alla forza del vento, delle onde e eventualmente della corrente. Dall’altro l’ancora, che deve poter esercitare sul fondo una forza uguale e contraria a quelle applicate sulla barca, vincolandone il movimento. Il collegamento intermedio fra questi due estremi è il calumo: una determinata lunghezza di catena e/o cima tessile che assicura la trasmissione fra i due sistemi di forze opposti. Per ottenere un ancoraggio corrispondente alle proprie necessità, si può quindi agire su tre fronti: agire sulle forze applicate sulla barca; agire sulla relazione fra ancora e fondale; intervenire sulle caratteristiche del calumo. Analizziamo meglio questi tre aspetti.

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Cosa succede quando la barca brandeggia

LE FORZE APPLICATE SULLA BARCA
Le forze che agiscono su una barca possono essere sia statiche, per esempio la resistenza offerta al vento o a uno specifico sistema di onde, sia dinamiche, come per esempio i bruschi richiami effettuati dal calumo su una barca che sta brandeggiando. Il modo più immediato per ridurre le forze statiche è ridurre la superficie esposta al vento, in pratica rimuovere gli elementi mobili che offrono resistenza. Nei casi estremi (uragani) si arriva anche a suggerire di rimuovere ogni tipo di sovrastruttura in coperta. Per ridurre l’influenza del moto ondoso c’è poco da fare, salvo scegliere un posto con meno onde possibile (in teoria si potrebbe agire sul periodo di beccheggio della barca, ma vedremo come non sia poi necessario).

Le forze statiche possono essere determinate con ragionevole approssimazione a seconda del tipo di barca e della forza del vento. Le forze dinamiche possono essere affrontate su più versanti. Sono forze che derivano dal movimento della barca, principalmente il brandeggio: la barca “bolina” all’ancora prima dirigendosi verso un lato, poi viene bruscamente richiamata dal calumo, per ricominciare a muoversi verso il lato opposto, e così via, una forma di instabilità condivisa da un buon numero di barche moderne. A differenza delle statiche, l’entità delle componenti dinamiche è molto difficile da determinare con esattezza: i risultati di una serie di misure in situazione reale consentono di approssimarle con un multiplo di 2-3 e anche più volte rispetto alle forze statiche. La conoscenza del valore esatto è di importanza relativa, l’importante è tenere ben presente che in un ancoraggio alla ruota movimentato sono le forze dinamiche a testare i limiti del nostro ancoraggio. Primo passo per la riduzione delle componenti dinamiche è ridurre il movimento della barca, per il quale vi sono varie opzioni.

ancoraggioa) Spostare il centro di applicazione della forza del vento verso poppa, aggiungendo per esempio una piccola vela anti-brandeggio a poppa (come un tempo facevano gli yawl con le mezzane) che renda il sistema stabile; se ne possono fare di vari tipi a seconda di come sia organizzata la barca: paterazzo semplice, doppio, eccetera. Un tipo particolarmente efficiente è fatto a V, con due semivelette simmetriche, una delle quali è sempre in azione.

b) L’opzione più drastica è ancorare di poppa: con la poppa orientata al vento la barca tende a trovarsi in situazione stabile e il brandeggio è fortemente ridotto; naturalmente si presentano altre problematiche dovute alla configurazione degli scafi, le barche moderne con la poppa larga sono poco adatte a essere schiaffeggiate dalle onde che inoltre fanno rumore all’interno della barca.

ancoraggioc) Limitare il movimento laterale della prua tramite una piccola ancora galleggiante – anche un secchio nelle piccole unità- tenuta vicino al diritto di prua, che lavorerà alternativamente in un verso e nell’altro; è un sistema particolarmente efficace con barche leggere e a pinna profonda, che tendono in genere a brandeggiare maggiormente.

ancoraggiod) Limitare il movimento laterale della prua tramite due ancorotti dati fondo perpendicolarmente alla direzione di tiro della linea d’ancoraggio principale: è un metodo certo laborioso ma particolarmente efficace con vento molto forte proveniente da una direzione costante. Non è necessario che i due ancorotti siano giganteschi perché le forze laterali in gioco sono ridotte, si puo’ spesso avere buoni risultati anche usando ancorotti come quelli dei tender.

e) Vedremo più avanti come un modo molto efficace per ridurre le forze dinamiche in gioco sia intervenire sul calumo.

RELAZIONE FRA ANCORA E FONDALE
Il primo fattore a cui si pensa è naturalmente la tenuta massima di un’ancora. Quali sono i fattori che la influenzano? Il peso dell’ancora, ma anche (e soprattutto) la superficie delle marre, che determina la dimensione del “cuneo” di materia del fondale interessata dall’azione dell’ancora. Perché l’ancora riesca ad agire su un “cuneo” di materia è necessario che possa penetrare, e qui entra chiaramente in gioco la geometria dell’ancora. Sulla tenuta complessiva influiranno il peso di tale “cuneo”, nonché il suo attrito con la parte di fondale circostante, non interessata dall’azione dell’ancora: quanto più la materia del fondo è coesa, tanto maggiore sarà l’attrito. Per dare un ordine di grandezza, le caratteristiche fisco-meccaniche di un fondale di fango duro consentono tenute un 10-15 volte superiori rispetto a quelle di un fango molle: considerazione che dà tutta la sua importanza alla ricerca di un ancoraggio con un fondo “buon tenitore”.

ancoraggioNella realtà spesso accade che non sia possibile “andare altrove” e quindi bisogna comunque poter fare i conti anche con fondali cattivi tenitori. Oltre alla tenuta massima, vi sono altre caratteristiche importanti delle ancore da non sottovalutare. Per esempio, se lo spazio a disposizione è limitato (dentro a un porto), si cercherà di privilegiare un’ancora che faccia testa più rapidamente rispetto a un’altra che magari ha bisogno di dieci metri per penetrare a sufficienza e bloccarsi, anche se la seconda avesse una tenuta maggiore. Altro esempio, se ci si trova in zone dove le condizioni esterne possono cambiare (bruschi salti di vento, oppure inversioni di corrente), entra in conto la capacità dell’ancora di poter reagire a variazioni nell’angolo di tiro fino a 180°, mantenendo una tenuta accettabile. Infine, come sempre il tutto deve essere riletto attraverso il filtro della praticità: un’ancora da 30 chili sarà eccellente per una barchina di 6 metri, ma sarà pratica ? O come fare con un’ancora ottima ma impossibile da stivare a bordo, o una che non si adatta al musone? Talvolta gli inconvenienti sono tali da fare pendere il piatto della bilancia verso ancore magari con tenute inferiori ma dall’utilizzo più agevole.

CALUMO: DALLA BARCA AL FONDALE
L’ancora viene collegata alla barca tramite una linea meccanica costituita da catena, da cima tessile, oppure da una combinazione delle due (in casi specifici può anche essere opportuno ricorrere al cavo metallico, ma sono evenienze relativamente rare). Il calumo consente di trasferire gli sforzi statici e dinamici della barca sull’ancora e finalmente sul fondo. Un calumo totalmente tessile avendo un peso lineare immerso in acqua molto basso, tenderà a disporsi in modo praticamente rettilineo fra ancora e musone; un calumo in catena invece a causa del peso lineare più elevato prenderà sempre più la forma della catenaria, man mano che le forze agenti sulla barca la allontanano dalla verticale del punto dove è calata l’ancora.

La catenaria è una curva dalle caratteristiche conosciute, che ben si presta ad essere trattata analiticamente: i primi studi degli effetti della catenaria applicati alle linee di ancoraggio sono stati effettuati alla fine degli anni ‘90 da A.Fraysse e recentemente perfezionati da altri contributori. Fra le grandezze determinabili, una di particolare importanza è il punto di tangenza della catenaria sul fondo, quando cioè l’ultimo anello di catena si solleva dal fondo: aumentando ancora la forza applicata, sull’ancora comincerà ad agire una componente verticale – la catena non tira più solo in orizzontale ma anche un po’ verso l’alto – e l’efficienza della stessa comincerà a diminuire (in realtà il discorso è più complesso e vi sono ancore studiate per lavorare con calumi quasi verticali).

ancoraggioL’ANALISI DELLA CATENARIA
Fra i vari risultati che si possono derivare dall’analisi della catenaria, si può ricordare:
a) Come si intuisce, tanto maggiore è la lunghezza di calumo in catena rispetto alla distanza musone/fondo, tanto maggiore la forza necessaria a “sollevare l’ultimo anello di catena”. Il vantaggio però decresce molto in fretta oltre un rapporto di 8-9:1, sarà quindi relativamente inutile oltrepassare tali limiti. Inoltre, con il crescere della profondità si potrà utilizzare un rapporto calumo/profondità inferiore per ottenere la stessa forza limite.

b) In situazioni “normali”, barche moderne con calumo circa 5 volte la profondità, i carichi statici di un vento di circa un 18-25 nodi sono spesso sufficienti a sollevare tutta la catena. Ulteriori carichi dinamici e/o un ulteriore aumento del vento (esempio una raffica) tenderanno ad applicare una componente verticale all’ancora.

c) A parità di peso imbarcato, è preferibile una catena più lunga ma di diametro inferiore, rispetto ad una catena più corta ma di diametro maggiore. Naturalmente è necessario che la catena più piccola mantenga un carico di lavoro sufficiente: un espediente interessante può essere l’utilizzo di catena cosiddetta “high grade”, catena costruita in acciai con carichi di lavoro superiori a quelli tipici. è il caso del cosiddetto “Grade 70”, acciaio con comportamenti meccanici molto superiori a quelli delle catene normalmente usate in barca (in genere Grade 40 o Grade 30).

d) Il contributo probabilmente più importante dell’analisi della catenaria riguarda le linee di ancoraggio miste, catena più tessile, utilizzate in condizioni di carichi dinamici elevati, come il caso classico di brandeggio pronunciato.

ESEMPI PRATICI DALLA TEORIA ALLE SITUAZIONI REALI IN MARE

Con alcuni esempi pratici spieghiamo come l’analisi della catenaria sia una chiave importante per capire come comportarsi nelle diverse condizioni.

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Barca con vele antibrandeggio

Rapporto peso/diametro. Immaginiamo di dover ancorare con una barca sui 12 m con 50 m di catena da 10 mm G40, 10 m di profondità totale. Peso totale della catena circa 115-120 kg. La forza sulla barca necessaria a sollevare l’ultimo anello di catena è circa pari a 250 kg. Sostituendo i 50 m di catena da 10 mm con 50 m di catena da 8 mm G70 (che ha carico di lavoro superiore), il peso scende a circa 75kg. Filata nelle stesse condizioni, la forza che solleva l’ultimo anello di catena G70 è di circa 160 kg, evidentemente inferiore alla precedente (la catena ha un peso lineare minore).
Per ottenere gli stessi 250 kg ottenuti con la catena da 10 mm G40 avrò bisogno di circa 62 m di catena 8 mm G70, per un peso totale di 95 kg: per ottenere lo stesso risultato si ha un risparmio di peso del 20% circa.

ancoraggioLinee di ancoraggio miste. In condizioni di carichi dinamici elevati la catena è già molto distesa e può offrire un allungamento addizionale molto ridotto per assorbire l’energia della barca in movimento, il che significa che la barca verrà arrestata in modo più brutale, in uno spazio più ridotto, con un carico di picco relativamente elevato. L’inserimento di una parte tessile – quindi ad allungamento molto maggiore rispetto alla catena – nella linea d’ancoraggio ha la proprietà di conferire un’elasticità addizionale che consente di ridurre notevolmente i carichi di picco.

Esempio. Riprendendo i dati sopra (50 m di catena da 10 mm, profondità totale 10 m), supponiamo la catena sia tutta sollevata: la forza esercitata dalla barca è quindi di circa 250 kg. La barca comincia a brandeggiare: simulandone il comportamento si nota che applicherà una forza di picco di circa 540 kg (più che raddoppiata), e porterà l’angolo di tiro della catenaria sull’ancora a circa 6°. Sostituiamo 10 m di catena con 10 m di tessile (quindi 40 m di catena e 10 m di tessile) e rifacciamo i conti: si ottiene un carico di picco di 470 kg, e un angolo di tiro sull’ancora di 5°. A parità di lunghezza complessiva, una linea mista ammortizza meglio i movimenti della barca rispetto a una di solo catena, causando carichi di picco inferiori e migliorando l’angolo di attacco. L’effetto è tanto più pronunciato quanto maggiori sono i carichi in gioco, quindi al peggiorare delle condizioni alla ruota l’utilizzo della componente tessile è sempre più appropriato.

Si può anche pensare di aumentare ancora la proporzione di tessile (approccio molto comune negli USA): uno spezzone di catena relativamente corto con tutto il resto in tessile. Continuando sull’esempio precedente: con 10 m di catena e 40 m di tessile, la forza per alzare l’ultimo anello di catena è enormemente ridotta, circa 95 kg, la forza di picco diminuisce ancora a circa 450 kg, però l’angolo aumenta a 8°. L’approccio ha i suoi meriti (carico di punta più basso), ma per non eccedere con l’angolo di tiro della linea sull’ancora sarà necessario aumentare la lunghezza filata.

Nella prossima puntata vedremo come tutte queste considerazioni si traducano in scelte diverse per i vari tipi di ancoraggio che si possono incontrare.

ancoraggioIL GURU DELL’ANCORAGGIO
Roberto Ritossa è il responsabile di BretagnaVela. Dopo tanto Mediterraneo, da oltre venti anni naviga in Bretagna, Normandia e Atlantico in generale; da sette si occupa di vela a tempo pieno. Fra le esperienze di navigazione, due traversate atlantiche di cui una Ovest-Est in solitario, un totale di circa 5.000 miglia di vela oceanica in solitario (altura e costiera), circa 500 miglia di navigazione di esplorazione in zone non cartografate. Laureato in discipline scientifiche, formazione in meteorologia marittima e oceanografia operativa del NOAA/NWS, Servizio Meteo USA. Numerosi corsi di meteorologia. Diploma di Architetto Navale presso la Westlawn School of Yacht Design, USASkipper professionista UK, STCW YachtMaster RYA/MCA con abilitazione commerciale. Autore della guida inglese Imray “Mediterranean Weather Handbook for Sailors”, tradotta in italiano per Il Frangente “Meteorologia del Mediterraneo per i Naviganti”. Autore del manuale “Trasmissioni radio e telefonia satellitare”, sempre per Il Frangente.

QUI IL LINK ALLA SECONDA PUNTATA

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7 commenti su “TECNICA Tutti i segreti per un ancoraggio a prova di tifone”

  1. Capitan Fabio

    L’unica cosa veramente utile è l’ultima parte del articolo e cioè quella di aggiungere una parte di tessile alla catenaria, meglio della seconda ancora in regime di meteo avverso.

  2. Buon articolo di introduzione alle metodiche. Buono per prendere coscienza di alcune variabili in gioco. E’ importante che ne seguano altri più approfonditi. Guai a dare la sensazione che cinque o sei paginette e qualche schema possano dare qualche sicurezza in merito. La letteratura e le prove tecniche, con tanto di tabelle e filmati ormai disponibili richiedono tempo e pazienza. Il titolo che promette “tutti i segreti” è trionfalistico e redatto da un inesperto.

    1. La Redazione

      The Real Person!

      Author La Redazione acts as a real person and verified as not a bot.
      Passed all tests against spam bots. Anti-Spam by CleanTalk.

      Buongiorno Franco,
      oggi alle 13 esce la seconda puntata!
      Cordiali saluti, e buon vento!

  3. Giovanni Iannucci

    Quando all’ancora, per evitare, o quanto meno ridurre, le alambardate ho sempre usato un piccolo fiocco con tre o quattro garrocci, molto piatto, da alzare sul patarazzo, con la scotta ben tesata e data volta ad una galloccia sulla tuga. Per ridurre il pericolo di spedare l’ancora per vento o mare, ho usato un “kellet” fatto con i mezzi di bordo, che si è dimostrato un eccellente sistema di facile impiego e regolabile a seconda delle condizioni.

  4. Personalmente con forte vento, anche per non forzare troppo sul salpa ancora, applico un doppio tessile ancorato alle due botte di prua.
    E questo mi limita anche lo”scodinzolamento”

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