Quella volta in cui il mal di mare mi ha (quasi) sconfitto. Parola di regatante

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Foto di repertorio puramente esemplificativa del caso citato nell’articolo.

Ho deciso di raccontare quest’esperienza personale perché so quanto, per molti velisti, il mal di mare possa essere un grande freno, psicologico e fisico. Un problema che per alcuni può diventare un blocco così insuperabile da metterne a rischio il proseguo del cammino in questo bellissimo sport chiamato vela.

Vado in barca da quasi 30 anni e regato da 20, eppure sotto sotto ho sempre saputo che il mio corpo in certe condizioni mi lancia degli “strani” segnali. Segnali che per lungo tempo ho sempre ignorato, fin quando è arrivato un momento in cui non ho più potuto fare finta di niente. Il racconto sarà un po’ dettagliato perché ritengo che in tema mal di mare sia molto importante descrivere le situazioni in cui si svolge il malessere, per poterle capire e superare.

MI SENTIVO VERAMENTE IN FORMA, MA…

Per chi non conosce la regata Palermo-Montecarlo, si tratta di una prova offshore di circa 500 miglia che si svolge nella seconda metà d’agosto, solitamente la partenza è poco dopo ferragosto. Nel 2012 ero imbarcato, come prodiere, su un First 40.7. Arrivai alla regata in forma fisica ottimale, dopo una stagione di regate intensa con tante ore di mare, quindi pronto ad affrontare la prova d’altura dopo avere fatto nei mesi precedenti la 151 Miglia e la Giraglia, quindi ben rodato. La Palermo-Montecarlo è però una regata diversa. Non è certo paragonabile per coefficiente di difficoltà a una “vetta” da 600 miglia come la Middle Sea Race, ma ha una componente climatica, il caldo, assolutamente non trascurabile. A ciò si aggiunge che le condizioni meteo medie di questa regata sono o di pochissimo vento e bonaccia, o di vento molto forte e spesso da Maestrale.

UNA SEQUENZA DI ERRORI

Nell’edizione 2012 la prima fase, fino alla Sardegna, è stata molto lenta e in regimi di brezze da est. Durante le prime due notti l’equipaggio è stato impegnato in continui cambi di vele e come prodiere in quella fase ho fatto il primo errore che dopo avrei pagato. Anche se di turno magari c’era un altro prodiere, mi svegliavo comunque per dare una mano nelle manovre, per un eccesso di confidenza nelle mie possibilità fisiche. Dopo avere aiutato nella manovra spesso non tornavo subito a riposo ma restavo in coperta, magari in standby in falchetta, per essere sicuro che a breve non ci fossero ulteriori cambi di vele. Questo mi ha provocato una notevole perdita di ore di sonno, che durante una regata offshore sono fondamentali, un deficit che alla lunga ti punisce.

Al mattino del terzo giorno di regata bordeggiamo lungo le coste della Sardegna in approccio a Porto Cervo, la scelta tattica è chiara: faremo il Passo delle Bisce. Per chi non lo conosce è un canale largo poco meno di 0.3 miglia il cui ingresso è tra Capo Ferro e l’Isola delle Bisce. Percorrendolo si lasciano alla destra tutte le isole dell’Arcipelago della Maddalena ed è la rotta più breve per raggiungere le Bocche di Bonifacio. Alla Palermo-Montecarlo non fare le Bisce significa quasi certamente tagliarsi fuori dalla regata tanto è il vantaggio che ottiene chi lo fa. Percorrerlo però significa essere pronti a passaggi con bassi fondali e frequenti salti di vento, dato che in questo canale le turbolenze date dalla isole sono molte.

Entriamo alle Bisce all’incirca verso mezzogiorno, sotto un caldo cocente tra i 35 e 40 gradi e qui commetto un secondo errore. A poche lunghezze ci segue una barca gemella, navighiamo entrambe sotto spinnaker, sarebbe il mio momento di mangiare ma decido di buttare giù solo una fetta di mela e un bicchiere di succo di frutta per restare pronto a manovrare, mangerò meglio più tardi mi dico. Infatti ben presto inizia la roulette dei salti di vento. L’aria gira da tutte le parti, passiamo dallo spi al genoa leggero, poi al windseeker, poi ancora il leggero, tre cambi di vela nel giro di 15 minuti ed è solo l’inizio. Avanziamo lentamente tallonati dai nostri avversari. All’uscita delle Bisce però è come se all’improvviso qualcuno avesse aperto una finestra da Maestrale. 5,10, 15, 20 nodi. Nel giro di non più di venti minuti facciamo altri tre peeling con le vele di prua, dal leggero fino al medio pesante. Terzo errore, mi bagno. La situazione meteo ventosa non era prevista ed eseguo l’ultimo cambio di vela senza vestirmi con ripetuti tuffi dentro le onde.

Le Bocche di Bonifacio ci danno il loro proverbiale benvenuto con il Maestrale. Mare con onde ripide in corta sequenza e vento in costante aumento. Quando l’anemometro inizia a sorpassare costantemente i 30 nodi stabilizzandosi a 35 è obbligatorio un altro cambio di vela: teniamo la randa piena ma si passa al fiocco 4, l’ultimo fiocco a disposizione prima della tormentina o di ridurre la randa. Prima di andare a fare il cambio con i miei compagni di prua scendo sottocoperta: ho due obiettivi, vestirmi e indossare l’ombelicale per il giubotto salvagente. Il primo obiettivo lo fallisco subito: l’interno della barca è un delirio, con due genoa non piegati ammassati tra la prua e la dinette. Per la velocità con cui è cambiato il vento, e per imperizia nostra, non è stato possibile piegarli. Per raggiungere la mia borsa situata in un armadietto oltre le vele dovrei fare uno sforzo non da poco con la barca che batte violentemente sulle onde e sento un malessere alla testa che me lo sconsiglia. Afferro il mio ombelicale appeso in dinette e commetto il mio quarto e decisivo errore, confido che il mio corpo resista a un altro cambio di vele bagnato senza cerata. Esco in coperta, mi aggancio alla jack line e corro verso prua.

Il cambio è tutt’altro che semplice, somiglia più a una prova di immersione subacquea. Per chi non conosce la sequenza di un cambio di vela normalmente si esegue così: ci si mette sul bordo che ci permette di avere la canaletta del tuff luff interna libera, si issa la nuova vela su questa, dopo di ciò si vira con entrambe le vele a prua e si ammaina quella vecchia quando è interna. Nelle condizioni in cui ci trovavamo però decidiamo di non eseguire la manovra con questa sequenza, la barca è fuori controllo per la troppa tela a riva e va ammainato di corsa il genoa. Dopo averlo ammainato va per forza impacchettato in un sacco dato che sottocoperta non c’è già più spazio, e nel frattempo navighiamo di sola randa. Una manovra che in teoria è semplice  e veloce ma causa della stanchezza e delle condizioni meteo si trasforma in qualcosa di lungo e faticosissimo. Al primo tentativo il fiocco 4 scappa dalla canaletta e svolazza per qualche secondo schiaffeggiando i prodieri. Alla fine lo domiamo e lo issiamo tornando a navigare adesso con un buon assetto. Ma per me calano le tenebre, nel vero senso della parola.

LA NAUSEA NON PERDONA

Ricordo di avere finito il cambio di vela e di avere sentito un mio compagno dirmi: “Non ti vedo molto bene”. Nausea. La maledetta nausea, che ti prende lo stomaco e sale alla testa mandandoti in corto circuito. A questo si aggiunge un evidente calo di pressione che rende i miei movimenti lentissimi. Ho dormito poco, ho mangiato male, mi sono bagnato ripetutamente, ho fatto tutto quello che prevede il manuale su come procurarsi il mal di mare. Il mio corpo sta per presentarmi il conto, e sarà salato.

Decido che il mio tempo in coperta è finito, in teoria sarei ancora per un’ora in turno off e mi fiondo sotto stringendo i denti. Nella mia testa l’unico pensiero è quello di riposare per riprendere energie ma farlo in pozzetto, con continue cascate d’acqua, è impensabile. Mi incastro a terra, meglio scegliere il punto più basso possibile, tra una vela e la panca della dinette, cercando di trovare una posizione che non mi faccia rotolare a ogni onda. Trovo un mio equilibrio, ma mi sento onestamente malissimo. Sono alle prese con sensazioni abbastanza nuove per il mio corpo, considerato che in passato questo per me è stato solo, saltuariamente, un fastidio passeggero senza conseguenze. Mi impongo da subito un principio, che negli anni successivi non ho mai abbandonato, vincendo questa sfida: io non vomito. Su come ci riesca non ho una risposta valida, ma non vomito, mai, anche se ciò non mi impedisce di stare male. Non ho mai chiesto a un dottore, ma penso che con il mal di mare sia meglio, se si riesce, non vomitare per non disidratarsi e indebolirsi ulteriormente

Inizio a girarmi e rigirarmi per cercare di trovare una posizione che mi consenta di tenere la testa bloccata (metodo che consiglio), la trovo, soffro un po’ meno ma mi sento completamente senza forze. Nel frattempo sta quasi per fare buio, il Maestrale non molla, finisce il mio turno di riposo e dovrei risalire in coperta, ma per me al momento non se ne parla. Non sono in grado. I miei compagni lo capiscono e si adeguano. A questo punto devo essermi addormentato. Non prima di essermi sentito in colpa con i miei compagni ed essermi vergognato della mia condizione.

Passa un tempo indefinito. Vengo svegliato da un braccio, la barca batte ancora forte, è tutto buio. È un mio compagno che mi sveglia e mi chiede come sto. Non sto molto meglio. Mi porge una bottiglietta d’acqua e mi invita a bere. Non ne ho voglia. Me lo impone. Bevo. A giudicare del sapore si tratta di sali minerali, disgustosi per il mio stomaco. Mi rimetto giù, ma a poco a poco sento il mio corpo che inizia a rispondere. Le gambe e le braccia diventano meno pesanti, la testa è più leggera. Aspetto ancora qualche minuto. Mi tiro su col busto e mi metto seduto, l’interno della barca è puzzolente con un misto di umidità, sentina e sudore che manderebbe KO chiunque non sia abituato a situazioni simili. La mia testa invece adesso tiene, sono nuovamente in controllo del corpo e, all’improvviso…fame. Molta fame. So che è un buon segnale, apro il pozzetto del frigo, e la prima cosa che trovo è una busta con delle mono porzioni di grana padano. Apro la prima, la seconda, la terza, mangio. Lo accompagno con alcune fette di pane, bevo dell’acqua. Addesso ho la forza per arrivare alla borsa con il mio abbigliamento. Indosso una termica, metto la salopette e il pezzo di sopra della cerata. Esco fuori, respiro forte. Rinasco. Le successive 30 ore prima dell’arrivo mi sembrano una passeggiata. Chiudiamo quinti. L’anno successivo con la stessa barca e buona parte dello stesso equipaggio finiamo secondi. E ad oggi non ho mai smesso di fare regate offshore.

ASCOLTARE IL PROPRIO CORPO E IMPARARE LA LEZIONE

Il racconto di questo episodio è stato volutamente lungo per potere descrivere minuziosamente alcune delle condizioni durante le quali il mal di mare si può innescare anche in un corpo ben allenato. Se provate a fare un’indagine anche tra velisti “medagliati” o con grande esperienza probabilmente tutti o quasi vi diranno che almeno una volta nella vita hanno sofferto il mal di mare. Non c’è nulla di cui vergognarsi. Non bisogna nascondersi, anzi bisogna parlarne per esorcizzarne la paura e riuscire anche a ironizzare sul tema. Ma soprattutto bisogna imparare a conoscere meglio il nostro corpo e rispettarlo. Ascoltare i suoi segnali, dargli il tempo di recuperare dai cicli di lavoro faticosi (quindi MAI saltare i turni), mangiare adeguatamente e restare sempre ben idratati. Un’altra cosa da evitare assolutamente sono gli sbalzi di temperatura, i colpi di caldo alternati alle “secchiate” d’acqua. Fondamentale quindi proteggersi tanto dal sole quanto dall’acqua, vestirsi sempre in anticipo e avere, in un posto facilmente raggiungibile in caso di forte mare, il proprio abbigliamento tecnico. E soprattutto non vergognatevi mai di una vostra debolezza. Se i vostri compagni di barca valgono vi aiuteranno, se non lo fanno ricordatevene quando scenderete dalla barca e meditate se navigare ancora con loro sia una buona scelta. Il mal di mare è qualcosa che si può controllare, non deve obbligarvi ad abbandonare la vela o ad avere paura di andare in barca. Sarà la preparazione, la conoscenza del corpo e la capacità di intuirne in anticipo i segnali a fare capire ad ognuno di noi cosa possiamo fare e cosa invece dobbiamo evitare o, semplicemente, capire quando ci serve un po’ di preparazione in più per raggiungere un obiettivo. Sia esso una regata d’altura o una crociera al Giglio.

Mauro Giuffrè

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