Forza Alex Carozzo! Il grande navigatore sta lottando contro il coronavirus

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Carozzo_AlexTra i pazienti dell’Ospedale di Desenzano, impegnato nella lotta contro il coronavirus, c’è anche il navigatore Alex Carozzo, 88 anni. Un monumento vivente della vela italiana. Pare che le condizioni di salute si Alex stiano migliorando: noi gli auguriamo pronta guarigione e ne approfittiamo per raccontarvi la sua bellissima storia.

Alex Carozzo, classe 1932. Alex è un tipo schivo, difficile da contattare e ancora di più intervistare. Eppure, ne ha di cose da raccontare, l’unico italiano che è stato capace di sfidare in oceano Tabarly e Moitessier. Lo abbiamo incrociato e intervistato al volo e ne è nato questo articolo pubblicato sul Giornale della Vela nel 2014. Ecco la storia di Alex Carozzo, il pioniere degli oceani!

ALEX CAROZZO, IL PIONIERE DEGLI OCEANI

Arrivo trafelato a Lerici, temendo di essere in ritardo. L’ho inseguito per mesi, e ora non me lo voglio far scappare. Alex Carozzo, che ho provato a contattare telefonicamente, via mail, tramite un suo assistente ma senza successo, è nella cittadina ligure per parlare della sua nuova avventura: a 81 anni suonati è intenzionato a partire, con una barca a vela di 9,60 metri in compensato marino che si è interamente autocostruito in due anni e mezzo a San Felice del Benaco (Brescia), alla volta delle Galapagos. Salpando da Venezia e passando per lo stretto di Panama, 6000 miglia in totale.

Leggendo un vecchio portolano inglese, una trentina di anni fa, Carozzo era stato colpito da alcuni toponimi sulla cartografia di San Cristobal, l’isola principale dell’arcipelago delle Galapagos: Punta Lido, Frangente degli Schiavoni, Punta Malamocco. Nomi tipicamente veneziani. E lui, tipicamente veneziano (anche se nato a Genova) e curioso, ha compiuto alcune ricerche scoprendo che i “battesimi” di tali luoghi sono il risultato di una spedizione scientifica compiuta nel lontano 1884 dalla corvetta a vapore di 80 metri Pier Vettor Pisani, ultima nave oceanografica in legno realizzata a Venezia. Da qui il sogno di ripercorrere la rotta per portare una testimonianza e lasciare nuovamente il segno.

Ma perché ha aspettare 30 anni? “Lo faccio ora – mi racconta al tavolino di un bar in piazzetta a Lerici, gli occhiali a specchio, la barba bianca e il fisico di un ragazzino – perché prima ho fatto altre cose”. E sono proprio le “altre cose” portate a termine da Alex che mi fanno capire la persona che ho davanti. Appena troverà i fondi, partirà subito per le Galapagos, e ci arriverà anche. Non si tratta di vaneggiamenti di un vecchio rimbambito, ma dell’ultima traversata di un grandissimo uomo di mare.

Golden-LionALEX E IL PACIFICO
Alex Carozzo nasce a Genova nel 1932, ma si trasferisce a tre anni nella Serenissima, dove frequenta l’istituto nautico e l’Accademia navale per poi entrare nella Marina Mercantile come ufficiale di rotta. Negli anni ’40, intanto si era avvicinato alla vela per la prima volta frequentando la Compagnia della Vela di Venezia, salendo su Snipe, Star e 5.50. “Non sono andato a scuola di navigazione – racconta – quello che so, l’ho imparato da autodidatta. Le cose, per impararle davvero, bisogna farle; altrimenti finisci per commettere gravi errori”. È così Alex. Concreto nell’animo. Nel 1965 diventa il primo navigatore solitario italiano: attraversa il Pacifico, da Tokyo a San Francisco, a bordo del Golden Lion, una barca che si era costruito durante i turni di riposo e con attrezzi di fortuna nella stiva di una nave americana su cui era imbarcato, il Liberty. L’anno successivo è l’unico italiano a partecipare, sul trimarano Tristar, alla prima Traspacifica per multiscafi (da Los Angeles a Honolulu).

 

Alex Carozzo alla partenza del Golden Globe
Alex Carozzo alla partenza del Golden Globe

I RITIRI ALLA OSTAR E AL GOLDEN GLOBE
Nel giugno del ’68 prende parte alla terza edizione della Singlehanded Transatlantic Race (la OSTAR) sul catamarano di 16 metri San Giorgio, da lui progettato e costruito, partendo con due ore di ritardo rispetto ai 34 avversari. La barca, a causa di difficoltà economiche risolte all’ultimo momento grazie all’intervento de “L’Espresso”, era arrivata a Plymouth non ancora perfettamente messa a punto. Nonostante sia indicato come uno dei favoriti, Alex è costretto al ritiro (a causa dell’urto con una balenottera al largo della Cornovaglia), sorte che condivide con un grande suo “contemporaneo”, Éric Tabarly. Non si perde d’animo, poiché nell’ottobre dello stesso anno è a Cowes, schierato sulla linea di partenza del Sunday Times Golden Globe Race, lo storico giro del mondo in solitario non-stop vinto da Robin Knox-Johnston dopo che Bernard Moitessier aveva abbandonato la gara facendo rotta sulla Polinesia per ritrovare, a detta sua, se stesso: “Nel ’68 ho ceduto il San Giorgio, assieme a un po’ di denaro, al cantiere di Uffa Fox a Cowes e in cambio mi è stato consegnato il Gancia Americano (il 20 metri progettato da Alex con cui ha preso parte al Golden Globe, ndr). Tutta l’attrezzatura di coperta, albero incluso, appartenevano al San Giorgio: ho armato un monoscafo di 20 metri con ciò che avevo recuperato da un catamarano di 16 metri. Alla prima uscita, miracolosamente, tutto era in bolla, la barca era un razzo”. Se la barca è a posto, lo stesso non può dirsi di Alex: “In Inghilterra ero da solo, freneticamente al lavoro sulla barca: ero sfondato di fatica, e come se non bastasse in precedenza ero stato operato di ulcera duodenale. Il limite massimo per la partenza della regata era intorno al 20 ottobre, per cui ho dovuto varcare la linea di partenza e rimanere 10 giorni fuori all’ancora a sistemare le ultime cose a bordo, nel gelo più totale”. Quando finalmente parte il 31 ottobre, assieme allo sfortunato Donal Crowhurst, che poi si suiciderà durante la regata, Carozzo sta male: “Non mi consideravo pazzo. Semplicemente, stavo facendo quello che volevo fare. I miei amici non condividevano la mia scelta ma sapevano che avrei portato la pellaccia a casa in ogni caso, anche a cavallo di un pagliolo”. L’avventura di Alex si conclude il 14 novembre, quando decide di ritirarsi facendo rotta verso Porto. Il navigatore veneziano forse non potrà vantare un palmares carico di vittorie e record internazionali: ma è stato il primo italiano a prendere parte alle più grandi regate del secolo (che allora sembravano essere all’esclusiva portata di inglesi e francesi), con imbarcazioni da lui progettate e, spesso, costruite.

UN ITALIANO ALLA CORTE DEI “GRANDI”
In quegli anni, Carozzo era circondato da vere e proprie leggende della vela quali i succitati Chichester, Moitessier, Tabarly, Knox-Johnston e Crowhurst. “Ho tradotto il libro di Chichester, mentre di persona l’ho conosciuto a Sanremo in una serata in cui nessuno parlava inglese (tranne me, che da bambino leggevo le riviste inglesi e con il vocabolario me lo sono imparato da solo) e volevano trascinarlo al Casinò: lui mi venne incontro chiedendomi di salvarlo”. Simpatico anche il siparietto che mi racconta su Donald Crowhurst: “Le uniche volte che l’ho incontrato, è cascato in acqua: a Cowes sono andato a trovarlo che era ormeggiato all’ancora, e nel scendere dalla barca al mezzo di supporto è caduto in mare. Un’altra volta la scena si è ripetuta. O all’epoca era già fuori controllo, oppure ero io a portargli sfiga. Ricordo che mi regalò uno dei primissimi radiogoniometri che produceva la sua ditta”. Ecco invece ciò che Alex pensa della presunta rivalità tra Bernard Moitessier e Robin Knox-Johnston (Moitessier sostenne che si era ritirato in Polinesia per ritrovare se stesso, mentre Knox-Johnston, dicono alcuni, dichiarò che in realtà lo aveva fatto perché aveva capito che sarebbe arrivato dietro dietro di lui): “Sono stronzate da giornalisti di poco conto. Bisogna levarsi il cappello dinnanzi a entrambi, così diversi tra loro: Moitessier era l’essenza del romanticismo e possedeva il dono della scrittura, Knox-Johnston proveniva, come me, dalla Marina Mercantile: era quindi l’incarnazione di un certo pragmatismo di stile britannico”. Meno entusiasta è del suo contemporaneo Ambrogio Fogar, che preferisce non commentare: “Mi son fatto del sangue marcio allora, non voglio rifarmelo adesso”.

Zent_BNIL LUPO (DI MARE) PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO
Nel 1989 Alex si toglie anche la soddisfazione di entrare nel mondo del cinema: non come attore, ma come “armatore”. Una sua barca viene infatti utilizzata nelle scene di mare del film “Nostos – Il Ritorno” di Franco Piavoli, una rivisitazione del mito di Ulisse che sorprese positivamente la critica. Le scene sono state in realtà girate sul lago di Garda, dove Carozzo, residente a Padenghe, vive da oltre 40 anni. Alex non si stanca mai: nel 1990 ripercorre la rotta di Cristoforo Colombo da Gran Canaria a San Salvador: 3.800 miglia in quaranta giorni, sette più del navigatore genovese, a bordo di Zentime, una scialuppa in vetroresina lunga 6 metri da lui recuperata in un cantiere di demolizione a Las Palmas e messa a regime in tre mesi di lavoro. L’armo è più che essenziale: il sartiame è cavo abbandonato da gru, il bompresso un tavolone di recupero, la tuga una cassa di legno di un metro cubo. Randa e fiocchi sono in cotone, cuciti a mano con l’aiuto di un materassaio. Non c’è motore, non c’è radio a bordo; anche le vivande sono razionate. Una forma di navigazione primitiva, un ritorno alle origini per Alex, che nel frattempo (lo indica anche il nome della barca, Zentime, letteralmente “il tempo della semplicità”) è diventato buddista. A bordo porta sempre con sé una statua, che lui chiama “Il Maestro”, con cui ha diverse conversazioni durante la navigazione. Questa avventura è narrata nel suo libro, Zentime Atlantico, edito da Nutrimenti.

L’ONDA GIGANTE E IL SOGNO DELLA MADRE
Non posso non chiedere ad Alex, che in mare ne ha passate di cotte e di crude, se si sia mai trovato in una situazione in cui ha rischiato di lasciarci la pelle: “Era l’ottobre del ’65 ed ero nel bel mezzo del Pacifico, quando venni investito da una depressione anomala, con il barometro che era andato improvvisamente giù. Si stava annunciando una burrasca senza precedenti. Preparai la barca al peggio, ammainando le vele, piazzando l’ancora di poppa e via dicendo. ‘Ci siamo’, mormorai tra me e me. Ero spaventato, ma poi mi sono tranquillizzato: ho pensato che alla fine, tutto quello che potevo fare per salvarmi l’avevo fatto. Non è che se al posto mio ci fosse stato un Tabarly o un Moitessier avrebbe potuto fare di più. Ciò che mi faceva rabbia, però, era pensare a come avrebbero reagito i miei amici alla notizia della mia morte: ‘Guarda un po’ l’Alex, ha fatto il cretino ed è andato giù come una pera’. È l’orgoglio del cavolo del marinaio: sentirsi vittima di un giudizio iniquo. Fortunatamente la tempesta passò, la barca resistette ai frangenti e io la passai liscia. Quando tornai a casa, mia madre e mia sorella mi raccontarono che il 16 ottobre entrambi avevano fatto un brutto sogno. Mia madre mi aveva sognato vestito con una palandrana nera e bisognoso di aiuto, mia sorella mi vide alla base di una grande montagna di sabbia che cercavo di raggiungerla in cima. Il 16 ottobre era esattamente la sera in cui venni investito dalla burrasca”. E adesso Alex, non ci resta che attendere la tua prossima “carozzata”. Eugenio Ruocco

 

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14 commenti su “Forza Alex Carozzo! Il grande navigatore sta lottando contro il coronavirus”

  1. due precisazioni :
    a) non stretto ma canale di panama
    b)la nave nella cui stiva carozzo costruì il “golden lion” non era un a nave americana di nome “liberty” bensì un liberty americano di nome “african duke”e battente bandiera liberiana.

  2. Un uomo autentico, un esempio da imitare, essenziale come la verità delle sue straordinarie avventure di mare. La più grande impresa umana è essere sè stessi, la tecnologia non serve a nulla, come il grande navigatore ha dimostrato.

  3. Mario Bianchedi

    Un piccolo GRANDE Uomo…Leggendolo negli anni scorsi mi ha insegnato molto più dell’andar per mare.
    Auguri e grazie,Alex.

  4. Come giustamente precisato dalla Signora Manfredini per ‘liberty’ si intende una tipologia di nave statunitense. Caratteristica principale di queste navi-cargo era la costruzione in serie e rapidissimi tempi di costruzione grazie all’utilizzo di pezzi standard assemblati. Nel dopoguerra molte di queste navi furono comprate da altri paesi tra cui l’Italia, e la maggior parte della flotta mercantile italiana era costituita proprio da ‘liberty’acquistati negli States.
    Errore grossolano se si considera il sito!!!

  5. Claudio Galeazzi

    Venne a trovarci presso il cantierino nella bassa bresciana che allora avevamo io e il mio socio. Due fredde sere di inverno, con idee che apparivano inusuali per la realizzazione di imbarcazoni in lega leggera. Non ci rendemmo conto di avere di fronte un mito dalla esperienza sconfinata. Siamo campioni, noi esterofili, nel non valorizzare le nostre eccellenze. Alex, sei sempre nei miei ricordi, con il rimpianto e il rimorso di non aver approfondito il tuo pensiero, la tua conoscenza. Ciao. Claudio.

  6. Sono il fortunato possessore di una barca del comandante Carozzo, un eccellente 10 metri in alluminio, costruito nell’81.
    Carozzo disegnava nell’81 le barche che oggi vediamo fare le regate oceaniche. Le stesse linee d’acqua….
    Barca equilibratissima e solida.
    Grande uomo, grande marinaio ed anche grande progettista!
    alberto

    1. io sono roberto proprietario del Gancia Americano che ora si chiama Nadja.
      Oggi e’ ormeggiato in una marina della Colombia.
      Mi piacerebbe incontrare o parlare con il Papa´ del Nadja.
      il m,io cell. 0057 3003608349
      saludos

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