Quando in regata l’equipaggio vince con il “gioco del silenzio”
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Nella prima puntata di questa nuova rubrica del Giornale della Vela dedicata alla tecnica di regata vi abbiamo raccontato di come, utilizzando la bussola, l’osservazione e un po’ di matematica, si possano fare delle buone partenze scegliendo la parte vantaggiosa della linea e il lato giusto del campo di regata LEGGILA QUI. In questa seconda puntata quindi la logica ci consiglierebbe di parlare di buoni e scarsi, virate per cercare il miglior avvicinamento possibile alla prima boa e consigli su come prendere una layline. Bene, questi saranno i contenuti della prossima puntata, perché prima, in questa, dobbiamo fare una doverosa premessa. Una premessa che servirà per ogni regata, sia essa tra le boe o in altura. Una premessa che si chiama “gioco del silenzio”. È un gioco che gli equipaggi forti conoscono bene e quelli scarsi invece ignorano del tutto. Un gioco che si basa su una regola principale: la democrazia e il dibattito durante una regata non esistono.
L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE
Se ci soffermiamo al giro di boa di una qualsiasi regata di barche d’altura o di monotipi noteremo una cosa: dopo il passaggio dei primi, man mano che scorre alla boa il resto della flotta, il “rumore” di bordo aumenta di pari passo con la posizione in classifica attardata degli equipaggi. I primi girano la boa in silenzio, si sente al massimo una voce e il rumore delle drizze che salgono e scendono o quello delle scotte sui winches. Gli ultimi girano la boa sotto una “nuvola” di grida, ordini a casaccio e, ainoi, a volte anche insulti all’interno dell’equipaggio o verso il malcapitato avversario che gira la boa nello stesso momento. Ricordiamo per altro che gli insulti o i comportamenti ingiuriosi e antisportivi verso gli avversari possono essere puniti dalla regola 69 del regolamento di regata con relative penalizzazioni anche gravi del concorrente o della barca.
La domanda a questo punto sorgerebbe spontanea: chi ha a bordo il diritto di parlare durante la regata, e cosa deve dire? La prima persona a bordo deputata ad aprire la bocca è il tattico. Questo è un ruolo fondamentale, e il suo compito non è quello di fare la “telecronaca” della regata come fanno certi maldestri tattici della domenica autoproclamatisi tali. Il tattico fornisce poche ed essenziali informazioni al timoniere e all’equipaggio oltre a “chiamare” le manovre. Il tattico è eventualmente la persona deputata a chiedere acqua a un avversario durante un incrocio o un giro di boa. Le informazioni che fornisce sono certe ed essenziali, non deve dare supposizioni o informazioni non sicure il cui unico effetto sarà quello di distrarre il timoniere e il resto dell’equipaggio. Nel caso, per esempio, di un salto di vento a sinistra il tattico comunicherà i gradi della prua che variano a ogni oscillazione, fino a dichiarare il “massimo sinistro” (ovvero la massima oscillazione del vento a sinistra registrata dall’inizio della regata) e chiamare un eventuale virata (sull’eventualità di virare o meno su uno scarso, e su quando farlo, ne parleremo nella prossima puntata). Nessun commento, solo numeri e informazioni chiare. Su questo tipo di comunicazioni gli equipaggi più numerosi o quelli dei professionisti, affiancano al tattico il cosiddetto navigatore che fornirà al primo i numeri e le indicazioni “geometriche” del campo di regata per svolgere al meglio il suo compito.
La seconda persona autorizzata a parlare, ma solo durante la bolina, è il randista. Questo conferisce con il timoniere, sottovoce perché il “driver” è al suo fianco, e con lui mette a punto la conduzione della barca. Indica al timoniere se sta navigando troppo orzato o troppo poggiato, e il timoniere gli restituisce le sensazioni del timone, ovvero se questo ha troppo carico o è troppo neutro. Qualora ci fossero condizioni di onda e vento importanti, il prodiere, se incaricato dal tattico, può chiamare al bisogno e con i tempi giusti l’entrata delle raffiche o delle onde.
IN FALCHETTA NIENTE DIBATTITI
E il resto dell’equipaggio? Facile, fa il gioco del silenzio e muove attivamente il peso, all’unisono, a ogni aumento o diminuizione di pressione. A che serve il silenzio? È importante tanto quanto condurre bene la barca. Serve a mantenere alta la propria concentrazione e quella degli altri, serve a ripassare mentalmente la sequenza della prossima manovra che andremo a fare, a iniziare a prevederla verificando (sempre mentalmente) se ogni cima è pronta al suo posto o meno. Se iniziamo in falchetta a discutere le scelte del tattico distraiamo noi stessi, iniziamo a non curare più con attenzione la gestione attiva dei pesi che è fondamentale su qualsiasi barca, arriveremo impreparati alla prossima manovra e contemporaneamente distrarremmo randista, tattico e timoniere con delle chiacchiere di fondo non necessarie. Il risultato sarà che tutto l’equipaggio verrà destabilizzato, con conseguente ricaduta negativa sulla performance della barca. E l’unica boa che vedremo in compagnia di altre barche sarà quella dell’ormeggio, perché sul campo di regata passeremo certamente molto dietro ai nostri avversari a meno di non possedere un mezzo talmente più grande e veloce degli altri da consentirci di fare la voce grossa. Cosa che non ci salverebbe comunque dall’essere “scarsi”.
Al giro di boa il prodiere e il suo eventuale secondo si muovono a prua. Se tutto è in ordine il drizzista in silenzio segue i loro movimenti aprendo di volta in volta la drizza spinnaker o gennaker, eventuale tack dell’asimmetrico o carica basso del tangone. Se tutto funziona nessuno parla, se qualcosa non va, a parlare deve essere il prodiere che chiede al drizzista qualcosa di specifico o avvisa il pozzetto che l’issata non è pronta. Dopo di che si sentirà solo il countdown del tattico che scandisce il tempo che manca all’issata. Da quel momento in poi silenzio assoluto, il randista si tace e sale in cattedrà il trimmer, ovvero colui che ha in mano la scotta dello spinnaker o del gennaker. Molti equipaggi tendono a portare il trimmer sul bordo sopravvento, fuori dal pozzetto. Non esiste alcuna ragione valida per farlo, considerato che allontanandolo dal pozzetto per comunicare deve alzare il suo tono di voce, quindi perdere ossigeno inutile mentre ha la scotta in mano, ed essere di conseguenza meno lucido e anche lontano dal pozzetto nel caso in cui dovessimo strambare velocemente. Una posizione sbagliata significa quindi una maggiore difficoltà di comunicazione e una lentezza maggiore in manovra.
L’unica ragione per averlo sul bordo sopravvento sarebbe solo se navighiamo molto strallati sotto spinnaker e il trimmer restando in pozzeto non osserverebbe bene il bordo d’ingresso della vela, in quel caso può spostarsi sopravvento. Contrariamente deve restare in pozzetto, perché è più vicino a tattico e timoniere e non gli sarà necessario alzare la voce per comunicare con loro. Il trimmer dirà se sulla scotta ha pressione a sufficienza da potere “scendere” alla poggia o avviserà quando è il momento di riorzare qualche grado per “ricaricare”. Anche in questo caso le informazioni dovranno essere chiare ed essenziali, minime. Nessun discorso, solo pochi imput specifici.
E SE NON CONDIVIDO?
A questo punto sorge spontanea un’altra domanda. Se io fossi un umile contro tailer, un umile drizzista, un umile secondo prodiere. Ovvero coloro che, secondo quello che vi abbiamo raccontato, non avrebbero diritto a parlare durante tutta la regata. Se io fossi stato in silenzio per tutta la regata, ma non condivido le scelte e la gestione dell’equipaggio, di chi parla, il tattico in primis, cosa faccio? Innanzitutto vi tranquillizziamo su una cosa: anche se il vostro ruolo non prevede la “parola” non significa che questo sia meno importante. Per ché se siete a bordo avrete un compito, e ogni compito a bordo è fondamentale per fare suonare come si deve l’orchestra. Se qualcuno non fa la sua parte la sinfonia non riesce, quindi tutti sono fondamentali a bordo.
Se però, facendoci un esame obiettivo di coscienza circa le nostre capacità e valutando a mente fredda la regata, ci rendiamo conto di essere sulla barca sbagliata e non ne condividiamo la gestione tecnica, possiamo salutarla e cercare un altro imbarco. Ma fin quando saliremo a bordo di questa barca, e su qualsiasi altra, in falchetta, faremo il gioco del silenzio, per dare la possibilità a noi e ai nostri compagni di barca, di esprimere il 100% in termini di concentrazione mentale ed applicazione tecnica. Ci sono velisti che facendo il gioco del silenzio sono arrivati a fare la Coppa America o le Olimpiadi. Non parlare non è un segno di debolezza, ma al contrario è un segno di forza mentale, personalità, professionalità e concentrazione. Per parlare ci sono i bar, le birrette del dopo regata, i social e le assemblee di condominio. In barca si sta zitti e ognuno suona la parte indicata sul proprio spartito, per contribuire alla sinfonia generale.
Mauro Giuffrè
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