Quando l’opera morta diventa viva: il caso AC 75 e Imoca 60. FOTO

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Emirates Team New Zealand christen their first AC75 at their team base in Auckland
36th America’s Cup

Adesso forse possiamo dirlo veramente, la vela, una parte di essa, si sta avvicinando molto al mondo della Formula 1. Fino a qualche anno fa quando si diceva di qualche classe di barche da regata “sono le Formula 1 del mare”, il paragone era più che altro simbolico ma tecnicamente i due mondi restavano decisamente distanti sotto innumerevoli punti. Adesso le cose stanno cambiando e in maniera netta.

L’avvento dei foil, nelle loro varie forme e nei loro differenti impieghi, ha innescato un aumento esponenziale della velocità sulle barche che li impiegano. Se le appendici giocano un ruolo cruciale nel loro lavoro sott’acqua, con il foiling una sempre maggiore porzione di barca è fuori dall’acqua e la forma di ciò che non è immerso va studiata con nuova attenzione. Più aumenta le velocità, più vanno curati i dettagli aerodinamici. Ed ecco che ciò che veniva considerato un tempo come “opera morta” assume un nuovo ruolo, diventa cruciale per la performance della barca, diventa in pratica opera viva.

Proprio come in Formula 1 quindi, dove l’aerodinamica è importante tanto quanto la potenza e l’affidabilità del motore, sull’opera morta si sviluppano intuizioni e soluzioni di design che possono cambiare anche in maniera radicale le velocità della barca. Team New Zealand su questo ha fatto scuola alla Coppa America di Bermuda e sembra continuare su questa strada, ma come vedremo i casi sono molteplici.

Elise Beavis, Emirates Team New Zealand Performance Engineer. A 22 anni, per la Coppa di Bermuda, il giovane ingegnere è stata una delle chiavi della vittoria di Team New Zealand e delle performance dell’AC 50. Suo il progetto delle postazioni dei ciclisti, suo lo sviluppo delle forme aerodinamiche della piattaforma. Confermata nel suo ruolo anche nella progettazione del nuovo AC 75.

 

 

Il nuovo AC 75 di Team New Zealand, il primo delle nuove barche della Coppa a essere andato in acqua, ci ha subito offerto numerosi spunti interessanti.

Emirates Team New Zealand christen their first AC75 at their team base in Auckland
36th America’s Cup

 

 

Ingrandendo le immagini e zoomando sulla parte posteriore notiamo subito qualcosa di molto interessante: due pozzetti profondi che lasceranno probabilmente emergere solo una piccola parte del corpo dei velisti, per ridurre al massimo la resistenza aerodinamica. Al momento del varo si notava una solo ruota timone, ma si scorge bilateralmente (più visibile davanti alla ruota) quella che sembrerebbe una consolle. Indipendentemente dall’esistenza o meno di una seconda ruota sull’altro lato, la forma della parte anteriore della barca lascerebbe pensare che l’equipaggio non si sposti da un lato all’altro, come del resto avveniva già in parte sugli AC 50 (dove si muovevamo solo il timoniere, il tattico e il wing trimmer). Troppo alto lo scalino da salire in velocità, la forma dei pozzetti sembra suggerire una posizione statica del peso. Perché? Minor spostamento di uomini significa minore resistenza aerodinamica in virata o in strambata, dove ogni decimo o millesimo di velocità guadagnato saranno un potenziale vantaggio per una manovra riuscita al meglio.

Emirates Team New Zealand christen their first AC75 at their team base in Auckland
36th America’s Cup

 

Vista da prua la barca mostra superfici rotonde e sagomate all’altezza del ponte che appare addirittura leggermente bombato. Nessun angolo o spigolo a rompere lo scorrere dell’aria sulla superficie alta della barca.

Emirates Team New Zealand christen their first AC75 at their team base in Auckland
36th America’s Cup

Spigolo che invece è presente, appena accennato nella parte inferiore dello scafo, e qui entriamo nella componente idrodinamica del progetto. In questo caso lo spigolo è probabilmente concepito per contrastare l’ingresso in acqua quando la barca scenderà dai foil, per diminuire il più possibile il noose diving, ovvero l’effetto “sommergibile” che provocherebbe un brusco calo della velocità. Si nota un ulteriore spigolo che parte dall’estremità bassa della tuga e prosegue verso poppa diminuendo gradualmente. Si delinea in pratica una carena a più facce, un particolare che potrebbe riguardare l’assetto della barca quando non sarà sui foil, ovvero in alcune fasi del pre partenza.

La foto rubata ad American Magic

 

Ancora più eclatanti le forme aerodinamiche della prua di American Magic, lo sfidante americano del New York Yacht Club alla Coppa. La somiglianza con il muso di un aereo, o di un sommergibile, è decisamente evidente. Ricordiamo che American Magic ha siglato una partnership tecnica con Airbus.  Ulteriormente differenti invece sembrano le scelte sul pozzetto, quello degli americani sembra essere più tradizionale. 

 

GLI ALTRI MONDI: IL CASO HUGO BOSS

La Coppa America non è certo la sola manifestazione velica ad avere intrapreso questa strada. Il Vendée Globe e gli Imoca 60 sono un laboratorio in grande fermento.

Il nuovo Hugo Boss, progetto VPLP/Verdier è andato in acqua e le aspettative non sono state deluse, è un’Imoca 60 decisamente innovativo. Dalle poche foto diffuse infatti sono già molti gli elementi interessanti che si intravvedono. Riuscirà nell’obiettivo? E’ la barca giusta per abbattere il muro dei 70 giorni (il record attuale è di 74 giorni, detenuto da Armel Le Cleac’h)?

LA SVASATURA DEL PONTE

Già presente sul vecchio Hugo Boss e ancora più accentuata sulla nuova barca. Le ragioni di questa scelta? Sono diverse. Prima di tutto un profilo più aerodinamico, poi la svasatura consente una riduzione dei volumi nella parte alta che significa anche una riduzione di peso generale e un baricentro della barca più basso, e inoltre le svasature contribuiscono a eliminare le turbolenze sulle vele di prua quando la barca naviga ad alte velocità. Se ciò non bastasse, il ponte in discesa rende la via più impervia all’acqua che sale in coperta, che viene così scaricata più velocemente senza appesantire la barca durante le lunghe planate. Nella parte bassa della prua i volumi però ritornano potenti e rotondi, saranno funzionali a impedire alla prua di ingavonarsi quando la barca scende dai foil.

COPERTA E TUGA

Scelta radicale anche per quanto riguarda il resto della coperta e della tuga. Sempre per mantenere il baricentro basso la tuga è quasi a filo di coperta ma prosegue fino all’estrema poppa. Tutte le manovre sono al coperto, Thomson passerà al riparo della tuga buona parte del suo giro del mondo. Il principio è chiaro: uno skipper più asciutto, che patisce meno il freddo, più riposato, mantiene una buona forma fisica più a lungo ed è più efficiente quindi nelle regolazioni e nelle scelte tattiche, di conseguenza è più veloce. La tuga a filo poi contribuisce ulteriormente ad abbassare il baricentro della barca. L’altra particolarità è la posizione del trasto randa, che corre lungo tutto il bordo posteriore della tuga.

E IN CROCIERA?

Anche nel mondo delle barche più tradizionali i cambiamenti e le rivoluzioni del design vanno in una direzione di sempre maggiore attenzione ai dettagli aerodinamici, pur con ovvie differenze. Nel mondo della crociera veloce, barche ibride pensate per andare bene in regata e non essere penalizzanti in crociera, ci sono dei casi interessanti, come per esempio quello che sarà il nuovo Neo 570.

Il design della barca ha tra le sue caratteristiche salienti , oltre ad un dislocamento leggero con un elevato raddrizzamento , la svasature delle murate e una prua inversa, come visto sui racer di ultima generazione, per esempio sul Maxi 72 Cannonball progettato da Botin o il Fast 40 Ran progettato proprio da Carkeek. La scelta di questi particolari volumi nella  parte anteriore ha ragioni aerodinamiche , di riduzione delle turbolenze sulle vele di prua ma anche e soprattutto strutturali con un risparmio di circa 300kg di strutture.

Mauro Giuffrè

 

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1 commento su “Quando l’opera morta diventa viva: il caso AC 75 e Imoca 60. FOTO”

  1. L’articolo con il quale si intendeva esaminare (foss’anche soltanto ipoteticamente) come saranno, navigheranno e manovreranno i nuovi AC 75 è senz’altro interessante e, in alcune sue parti, persino suggestivo perché (sull’argomento) ben poco sappiamo e, mentre scriviamo, gli stessi equipaggi interessati non dispongono altro che delle simulazioni fatte al computer.
    L’avvento dei foil ha davvero fatto aumentare in maniera esponenziale la velocità delle barche che li impiegano, grazie al ruolo cruciale sott’acqua delle appendici che, grazie al foiling, fanno navigare una sempre maggiore porzione di barca fuori dall’acqua e, quindi, anche la forma di ciò che non è immerso va studiata con una nuova attenzione perchè più aumenta le velocità, più vanno curati i dettagli fluidodinamici (sia aerodinamici che idrodinamici) e ciò che, un tempo, veniva considerato “opera morta” assume un nuovo ruolo diventando, in pratica, opera viva anch’essa e quindi determinante per le sue performances.
    Senza addentrarci nei dettagli matematici delle numerose formule coinvolte, è risaputo che la resistenza all’avanzamento aumenta con il quadrato della velocità e in funzione della densità del fluido in cui ci si muove che, ovviamente, sarà diversa per l’acqua e l’aria. In particolare avremo che la densità dell’acqua di mare sarà 836 volte maggiore di quella dell’aria e, quindi, il riuscire a portare una barca quanto più possibile fuori dall’acqua avrà un effetto notevolmente positivo ai fini della sua velocità e ridurrà quasi totalmente la resistenza d’onda che è quella che maggiormente frena tutti ciò che si muove sulla superficie dell’acqua (ma non riguarda i sottomarini che vi navigano sotto e gli aerei che vi volano sopra).
    A questo punto qualsiasi riduzione della resistenza aereodinamica apparirà quasi insignificante (rispetto alla minor resistenza idrodinamica ottenuta facendo navigare la barca al di sopra delle onde) ma, nelle competizioni, non bisogna mai tralasciare anche quei particolari che potranno fornire quei pochi decimi di velocità che separano la vittoria dalla sconfitta.
    L’analisi tecnica della coperta andrebbe correlata al piano velico che non conosciamo…già nella America’s Cup del 1970, il 12m SI Intrepid aveva un boma che praticamente sfiorava la coperta mentre i genoa erano dotati di un “grembiule” che, sulla coperta, si ripiegavan al fine di minimizzare la resistenza indotta di entrambe le vele…poi, per carità, anche i busti e le teste dei membri dell’equipaggio (a 30÷40 nodi) offriranno una certa resistenza ma penso che gli esperti di fluidodinamica abbiano abbassato il fondo del pozzetto per portare le vele quanto più possibile a contatto con la peraltro “fluidodinamicamente pulitissima” coperta.
    Personalmente penso che il “decollare più velocemente possibile” e “l’ammarare in maniera quanto più soft possibile” sarebbe stato più agevole con un catamarano e il fatto che si disponga, invece, di un monoscafo comporterà che la “stellatura” della sua carena non sia troppo eccessiva da ritardare “l’uscita dall’acqua” (alle basse velocità) ma neanche troppo ridotta da farla “battere” in presenza degli inevitabili cali di pressione (che abbiamo visto anche nella scorsa America’s Cup alle Bermuda) durante le manovre e/o in presenza degli ahimè inevitabili “buchi” di vento. Penso davvero che questa sarà una delle sfide progettuali più ardue che si dovranno affrontare.
    Non ho dubbi sul fatto che una coperta ben avviata e affusolata come la fusoliera di un aereo offra una minor resistenza aerodinamica, riduca (anche in maniera non trascurabile) il peso di fasciame e strutture e comporti un positivo abbassamento del baricentro…Ma temo anche di dover concludere che, senza la possibilità di volare sull’acqua (grazie ai foil) i vantaggi appena richiamati siano totalmente annullati dall’indubbia maggior difficoltà di andare a prua e dal fatto che una coperta del genere, quando la carena navigherà (totalmente immersa) con il mare agitato di prua, sarà continuamente invasa e resa impraticabile dalle onde che non troveranno alcun ostacolo al loro cieco agire.
    Su un IMOCA 60 di più di 18 metri (nato per la navigazione prevalentemente in solitario) non c’è la necessità di una tuga alta per aumentare l’abitabilità degli ospiti in crociera e la sua funzione (con tutte le manovre al coperto) come scritto nell’articolo, è di far in modo che Thomson passi al riparo della tuga buona parte del suo giro del mondo visto che uno skipper più asciutto e riposato soffrirà meno il freddo, manterrà una buona forma fisica più a lungo e sarà, quindi, più efficiente ed efficace nelle regolazioni e nelle scelte tattiche risultando, di conseguenza, anche più veloce.

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