La voce fuori dal coro di Gaetano Mura: “Cambiamo nome agli scafi volanti”
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Era da un po’ di tempo che non si sentiva Gaetano Mura, navigatore oceanico e Velista dell’Anno 2017: ha “rotto il silenzio” con la riflessione sulla vela volante che ci ha inviato e che vi proponiamo. Cosa ne pensate della tesi che sostiene? Fatecelo sapere con i vostri commenti!
RIFLESSIONI SUGLI SCAFI VOLANTI
Che strano effetto osservare le differenze di velocità tra gli Imoca 60 impegnati nella Transat Jacques Vabre. Seduto davanti al Pc con un po’ di sana invidia rifletto sui sentimenti opposti che scaturiscono: esaltazione e nostalgia insieme.
Le nuove macchine volanti vanno due nodi più veloci delle sorelle con i foil di prima generazione che a loro volta vanno 2 nodi più veloci delle “lontane “parenti ” a derive tradizionali. Quindi 4 nodi di differenza tra le prime e le ultime. Una simile differenza nella stessa categoria credo che non si veda in nessuno sport. A parte tristi e troppi casi in cui a “volare” è l’uomo stesso, alimentato da iniezioni dopanti. Situazioni non considerabili, siamo nel campo dell’ anti sport.
Esaltante vedere volare, sfiorando la superficie dell’acqua, questi bellissimi aliscafi o idroplani, come si preferisce chiamarli, a propulsione eolica. Qual è il marinaio che non aspira a navigarci sopra, almeno una volta, su questi oggetti che fanno sognare solo a vederli all’ormeggio e con le ali a riposo.
Alcuni giorni fa, a Cagliari, sono stato ospite dell’amico Max Sirena presso il quartier generale di Luna Rossa. Che effetto, quando si apre la porta dell’hangar, e ti ritrovi davanti l’ imponenza sovrastante di un “gerride” in carbonio da 75 piedi.
Anche qui tra il fascino e lo stupore si insinua il sentimento di nostalgia. Non per la visione della barca di Coppa America che per essere “distante” non aveva bisogno di mettere le ali, ma per come influenzerà l’ approfondirsi della distanza tra “l’impossibile sognabile” e “l’impossibile punto e basta”.
Se è vero che, anche per i top Skipper, trovare gli sponsor nelle categorie oceaniche è sempre più difficile, trovarlo per la categoria Imoca 60 è un vero colpo di fortuna. Anche per “quelli veri” e lo conferma il fatto che sono svariati i nomi altisonanti attualmente appiedati. Ma per gli avventurieri e i semiprofessionisti ahimè, le cose si complicano seriamente e i loro sogni prendono il volo e si allontanano alla stessa velocità delle nuove macchine volanti.
Queste ultime categorie di navigatori hanno dato un grande contributo alla storia della navigazione oceanica e all’esportazione del fascino di questa disciplina al di fuori dei confini settoriali. Per questo meritano, perlomeno, delle riflessioni.
Sono fermamente convinto che si debba trovare un nome specifico per questi nuovi scafi ibridi. Non soltanto per questioni di nomenclatura ma per trovare loro una giusta collocazione a livello di categoria e di classifica. La discriminante può essere, per esempio, la percentuale di superficie bagnata in grado di staccarsi dall’acqua. Perché se estremizziamo ciò che già questi oggetti sono in grado di fare li potremmo immaginare ad un soffio dal volo reale e quindi si chiamerebbero aerei. Non considerarle più barche andrebbe a favore della spettacolarità di una categoria nascente, con meno limiti, più simile alla Formula 1 dai grandi budget e allo stesso tempo ridurrebbe il frustrante divario economico tra i team.
Adeguare la nostra vita alla rapidità di avanzamento della tecnologia con tutti i pro e contro è un dazio che paghiamo ad essa ogni giorno, ed anche il nostro idioma di conseguenza si deve necessariamente adeguare.
Dare un nuovo nome a questi “aliscafi” e distinguerli per categoria nella classifica delle regate accrescerebbe la credibilità sportiva di questa disciplina già abbastanza elitaria e riaprirebbe le porte a più ampie fasce e tipologie di navigatori.
Gaetano Mura
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15 commenti su “La voce fuori dal coro di Gaetano Mura: “Cambiamo nome agli scafi volanti””
Mi viene in mente “volo a vela ” : “Volo a vela indica il volo senza motore effettuato con un aliante, cioè con una macchina più pesante dell’aria sfruttando l’energia presente nell’atmosfera grazie all’abilità del pilota e alle caratteristiche della macchina.”
Tecnologia , evoluzione e moda .
Anche le mtb da enduro , dopo essere diventate e-bike , ora sono quasi delle “moto elettriche”……
Condivido il dover cambiare categorie, ma non condivido il fatto di cambiargli nome.
A proposito dell’esempio della formula 1, ma non si chiamano sempre AUTO quelle
di formula 1? E allora? Viva le barche a vela!
Io credo che il nome abbia poca importanza. Meglio invece sarebbe la suddivisione in categorie diverse. Quello si perché è ovvio che quando c’è una differenza di 2 o più nodi di velocità si sta parlando di cose diverse. Che sia la superficie bagnata in volo o altro spetta a qualche esperto del settore ma è chiare che ci vuole una nuova regolamentazione.
Credo che attribuire un nome utile ad identificare imbarcazioni con caratteristiche molto diverse tra loro possa risultare utile. Se poi guardiamo alle qualità ed ai costi capisco perchè Mura ha sollevato il problema. Navigo su monoscafo e mi appassiono a tutto ciò che sfrutta l’energia del vento per cui al di là dei nomi che si potranno attribuire ben venga la ricerca tecnologica anche se allontana certi generi di barche da quelle dei comuni mortali. Buon vento a tutti.
Caro Gaetano,
in questo ambito lascia fare ai Francesi che hanno saputo democratizzare la “regata oceanica”.
Se sei appiedato e quindi costretto a rosicare davanti allo schermo di un pc, non è certo per demerito di una classe evolutiva, quindi volutamente aperta alla sperimentazione.
mezzomarinaio
Cerco di mandare un mio commento ma non viene pubblicato
La vela rappresenta circa l’11% circa del mercato nautico che, a sua volta, comprende coloro che navigano solo per diporto e, ahimè, solo una minoranza che fa giusto qualche regata d’altura (perlomeno a livello di circolo). Ciò per dire che le grandi regate/imprese oceaniche che si stanno svolgendo in questi ultimi tempi sono senz’altro spettacolari e, a livello di immagine, sicuramente di grande impatto. Inevitabilmente solo su di esse si polarizzerà sempre di più l’attenzione degli appassionati, del grande pubblico e degli sponsors che, giustamente, vogliono abbinare il loro nome (e marchio) alla barca più moderna, più veloce, più tecnologica, etc…che però richiederà dei velisti/marinai sempre più preparati (tecnicamente ed atleticamente) e dalla carriera sportiva sempre più breve. Lo richiede la competizione…il mercato, se si vuole…E, piaccia o meno, non si tornerà più indietro, con buona pace del buon Gaetano Mura.
Non avrebbe alcun senso, dal punto di vista sportivo (e ancor meno da quello mediatico) introdurre una categoria “no foil” perché queste grandi manifestazioni vivono del fascino del “grande marinaio” in grado di far correre la sua barca a 30 nodi (magari di notte e con 40 nodi di vento) grazie al suo pilota automatico e mentre lui dorme in cuccetta…del “grande marinaio” che diventerà sempre più un “super eroe”… Non si tornerà più indietro e nessuno guarderà o si interesserà (a livello mediatico e non) di manifestazioni nelle quali le barche navigheranno solo in dislocamento (salvo, forse, quelle dedicate alle barche d’epoca).
É scientificamente errato e sicuramente fuorviante scrivere che i moderni scafi che navigano sull’acqua (grazie alla portanza sviluppata dai loro foils) finiranno con l’uscir fuori dall’acqua e quindi, a quel punto, potrebbero chiamarsi persino aerei perché, nel momento stesso in cui i loro foils uscissero fuori dall’acqua la loro portanza sarebbe pari a 0! Queste moderne barche “volanti” avranno sempre un vincolo con l’acqua perché da essa traggono (letteralmente) la forza per navigarci sopra. Sono, a tutti gli effetti, degli aliscafi a vela (in italiano) oppure dei “foiler” in inglese e lo stesso fatto di voler trovare per essi una nuova e particolare denominazione sarebbe, a mio parere, ulteriormente (e inutilmente) divisivo…
A me sembra che il buon Gaetano sollevi diversi temi, non solo quello della nomenclatura
Skipper e IMOCA
Mi sembra che quest’anno siano state lanciati 6 nuovi IMOCA in vista del Vendèe, portando la flotta a una 30ina di barche: quindi da qualche parte qualcuno disposto ad aprire il portafoglio c’è.
E’ vero che trovare uno sponsor di quel livello, per regate oceaniche, in Italia, è decisamente difficile, ma facciamo un paragone per provare a capire meglio perché.
Piloti di MotoGP sulla griglia ce ne sono una ventina a gara, nonostante di piloti bravissimi ce ne siano molti di più, tipo Rea in SBK
La differenza tra i primi 3 e gli ultimi 3 è abissale, altro che i 4 kts degli IMOCA “old foil” che in determinate condizioni posso ancora farsi valere
In MotoGP, Pramac, azienda italiana che sponsorizza il team satellite della Ducati, sgancia circa 6mio€/a stagione (mi sembra) per 2 moto + 2 piloti con aspettative intorno al 4°/5° posto
Il nuovo Hugo Boss (bellissimo) è costato solo lui quasi 6mio di € a cui aggiungere elettronica, vele, sviluppo, shore team ecc. ecc. per diversi anni
Hugo Boss lo si vede in poche regate all’anno. Alla TJV ha pure rotto e si è ritirato
La MotoGP corre ogni w.e. per giorni di fila, per mesi, in tutti i continenti. Se una volta va male, dopo 1 o max 2 settimane si ricomincia da zero
Se io fossi l’AD o il CFO di Pramac, non mi porrei molti dubbi se dare 6 mio a Pedote o a Gaetano o 6 mio per 2 Ducati da dare a Miller e Bagnaia
Basta contare i passaggi video o sui social, o i google trends, per valutare chi genera più visibilità e ritorni.
Almeno in Italia
E già solo per questo, sempre sia lodata Prysmian
Riguardo la nomenclatura
È dalla finale della AC di S. Francisco che la vela ha subito un salto evolutivo.
Ormai sono passati 6 anni, toccherà farsene una ragione prima o poi: c’era un prima e c’è un dopo, adesso siamo nel dopo
Anzi, ci son foil nei mini, nei Figaro, negli IMOCA, mi aspetto che prima o poi vengano estesi anche ai tuoi Class 40.
Dovremmo, secondo me, trovare nuovi parametri di misura piuttosto che dare nuovi nomi per creare separazioni e far credere che gli IMOCA, i Moth, i Kite foil, i Nacra, non siano Vela
Nessuno – credo – pensa che ci siano differenze di “razza” tra dislocanti e plananti, perché dovrebbero esserci tra plananti e sollevanti? E’ solo un passo successivo, l’evoluzione
Sicuramente dobbiamo ripensare a i nostri parametri. Ad esempio si potrebbe provare a iniziare da come valutiamo gli scafi a “vela”: passare dal peso statico al peso dinamico, influenzato dalle appendici portanti
Ma qualsiasi appendice portante, anche un’ala tipo Kite, magari montata su un AC75 …
Se mi ricordo bene (non trovo più i riferimenti) alla scorsa VG, Hugo Boss era più stretto e più staticamente pesante degli altri IOMCA coetanei, ma era quello con il peso dinamico inferiore
Il peso di un corpo non varia mai, a seconda che sia saldamente appoggiato a terra o (se ne ha la capacità) sia immerso in acqua. Quello che, eventualmente può cambiar è il peso dell’acqua dislocata (spostata) che evidentemente si ridurrà nel caso di uno scafo che, navigando ad opportuna velocità, produrrà una certa quota di spinta idrodinamica che lo farà “uscire” più o meno fuori dall’acqua.
Salvatore, Archimede è il teorema che permette di galleggiare. Per sollevarsi si passa a Bernoulli, lo stesso che spiega perché gli aerei volano.
Se pesi un Airbus 380 sulla pista misurerài circa 585.000 kg, se idealmente si potesse appendere a una bilancia mentre vola, il suo peso sarebbe – semplificando – circa 0, nel suo sistema di riferimento.
Senza voler polemizzare ripeto il concetto: Una cosa è il peso (che è una forza statica) e non varierà mai (sia che si navighi in dislocamento o si plani), altra cosa è il dislocamento (che, per una barca che non plana e naviga non sbandata, per definizione sarà equivalente al peso) secondo il citato teorema di Archimede. Tuttavia, con buona pace del grande intellettuale greco-siculo, ora le barche planano (siano esse a vela o a motore) e riescono così a uscire più o meno fuori dall’acqua per cui diminuirà il volume di acqua da loro spostato (dislocato, appunto) grazie alla spinta idrodinamica sviluppata ma, evidentemente, non diminuirà mai il loro peso.
La mia critica riguardava il fatto che si sia fatta un po’ di confusione fra il peso (che una cosa ben precisa e rimane invariata sia che si stia fermi, ci si muova senza planare e/o volare oppure si plani e/o si voli), la forza idrodinamica comunque sviluppata e la RISULTANTE delle forze agenti sullo scafo (come sull’aereo, d’altronde) che tiene conto di entrambe (come di altre perché, nella realtà operativa, è tutto un po’ più complesso).
Riguardava il concetto di peso dinamico di un oggetto che è errato e non esiste, sul fatto che le barche dislocano e non pesano (se non altro per rispetto della nomenclatura specifica) ma, soprattutto, perché quello che è stato chiamato peso dinamico (spiegato anche con il terribile esempio di una bilancia che pesa un aereo in volo) si chiama, più semplicemente e correttamente RISULTANTE delle FORZE agenti su quel corpo (e vale sempre sia che si tratti di uno di scafo in acqua come di un aereo che vola nel cielo) come ha imparato chiunque abbia studiato un po’ di fisica.
ciao Salvo, sempre senza polemizzare, per carità, riprendo un attimo quanto da te scritto:
“Quello che, eventualmente può cambiar è il peso dell’acqua dislocata (spostata) che evidentemente si ridurrà nel caso di uno scafo che, navigando ad opportuna velocità, produrrà una certa quota di spinta idrodinamica che lo farà “uscire” più o meno fuori dall’acqua.”
A una persona che pesa che sia la spinta dell’acqua dislocata a far sollevare una barca invece che la portanza generata dall’ala, ho ritenuto che fosse più efficace l’esempio dell’airbus nel suo sistema dif riferimento, piuttosto che spiegargli l’equazione di Bernoulli.
Buon vento