Il sogno di Giancarlo: Pedote alla Transat Jacques Vabre aspettando il Vendée Globe

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Foto Orsini

Il lungo sprint che porterà fino al Vendée Globe 2020-2021 (il giro del mondo in solitario senza scalo e assistenza) è già iniziato e la prima vera “tappa” sta per cominciare e si chiama Transat Jacques Vabre, partenza il 27 ottobre, la transatlantica in doppio da Le Havre (Francia) a Salvador de Bahia (Brasile) per un totale di 4350 miglia. Da tempo l’Italia aspettava uno skipper italiano che potesse concorrere ad alto livello nella classe regina degli oceani, gli Imoca 60, e questa volta il sogno diventa realtà.

Foto Orsini

Giancarlo Pedote con l’Imoca 60 Prysmian Group sarà sulla linea di partenza, in coppia con il francese Anthony Marchand. Un banco di prova importante per lo skipper toscano, uno step di preparazione fondamentale in vista del Vendée Globe. La transatlantica infatti servirà a tracciare un bilancio in vista del cantiere invernale di preparazione al 2020. Pedote corre con l’Imoca 60 che arrivò quarto all’ultimo Vendée Globe, una barca a foil di prima generazione, competitiva e affidabile. Abbiamo fatto una chiacchierata con Giancarlo per farci raccontare questi primi mesi a bordo del suo Imoca 60, tra regate e allenamenti, per conoscere le sue emozioni, le sensazioni e scoprire le sue mosse in vista dei prossimi mesi.

Tre regate alle spalle sul tuo Imoca 60, che bilancio fai delle miglia che hai sulla scia?

Sono state tre regate diverse tra di loro nella struttura, nei risultati e per le sensazioni raccolte. Sono arrivato alla Bermudes 1000 Race dopo appena due mesi di allenamenti. Era la prima regata in solitario e presentarsi sulla linea di partenza con 30 nodi mi ha messo una pressione enorme, che si è trasformata in adrenalina positiva. Quell’adrenalina che mi ha dato il coraggio di entrare in acqua a liberare la rete che si era impigliata sotto la barca. Chiudere terzo dopo una bella rimonta mi ha caricato di positività. Alla Rolex Fastnet Race siamo partiti bene, ma abbiamo pagato un’opzione tattica sbagliata nella risalita verso lo scoglio e purtroppo la ridiscesa senza possibilità di grandi opzioni da prendere non ci ha consentito di rimontare. E’ stato un decimo posto che non mi ha lasciato pienamente soddisfatto.

Al Defi Azimut il 13mo posto è figlio di diversi fattori, dai quali abbiamo imparato molto: ci siamo resi conto di quanto siano cresciute alcune barche di vecchia generazione montando nuovi foil, e abbiamo capito verso quale direzione dobbiamo lavorare per disegnare le vele del prossimo anno. Il pilota ha avuto un problema che ci ha fatto strapoggiare in un momento cruciale della regata, problema che stiamo già risolvendo. Il bilancio finale è utile per le informazioni raccolte, meno positivo ovviamente per i risultati. Ma siamo ancora agli inizi.

Come sta lo skipper?

Comincio a sentire la barca sempre più mia, e questo è importante. Sto studiando tantissimo, in mare e a terra. Uno skipper che si prepara al Vendée Globe deve imparare a gestire il progetto nella sua totalità: imparare a lavorare in team (sia pur con una squadra piccola come la mia), essere presente sui dossier da affrontare in cantiere, che sono tanti… Per capire una barca, io devo smontarla, toccare, guardare… voglio rendermi conto di tutto, conoscere ogni dettaglio del mio mezzo. Nel primo anno di un progetto simile, queste attività che sono degli extra rispetto alla navigazione, tolgono tanto tempo e questo in mare si paga. Sono però attività fondamentali per creare una vera unione di team e per avere la padronanza della barca, due fattori senza i quali, a mio avviso, non si può affrontare un Vendée Globe.

Giancarlo Pedote a bordo di Prysmian a lavoro con Anthony Marchand. Foto Orsini

Ma intanto è già tempo di Transat Jacques Vabre

Si tratta della regata più importante di questo primo anno e non vedo l’ora di viverla. La prima transatlantica è un passaggio delicato, anche perché sarà un banco di prova per capire cosa sarà necessario fare in cantiere prima del Vendée Globe. Non voglio pormi degli obiettivi numerici: voglio solo navigare bene e fare le scelte giuste. Poi vedremo come andrà. Indubbiamente la tecnologia ha un peso sui risultati: so che in certe andature le barche nuove hanno un passo diverso da quello nostro, e non potremo tenerle. Il nostro riferimento sono le barche che montano i foil più piccoli, come i nostri. Ormai questa classe, recentemente adottata per The Race, il giro del mondo in equipaggio, ha livelli di progettazione e tecnologia vicini a quelli della Coppa America. In questa Transat Jacques Vabre la qualità dei mezzi in acqua sarà siderale, con 8 nuovi progetti e un livello di sviluppo e di tecnologia impressionante. Sviluppo e tecnologia che troveranno in questa regata un test importante che renderà questa edizione un evento tutto da seguire.

Abbiamo visto barche di vecchia generazione cambiare radicalmente le performance nel giro di poche settimane, come risponderete in vista del 2020?

Ci sono team composti da oltre 10 persone, con ingegneri che lavorano solo per loro, e in un mese rivoluzionano la barca. Noi non siamo a questo livello, ma occorre avere pazienza e sapere concentrarsi su ciò che è possibile migliorare con le nostre disponibilità. Prima di tutto partiremo dall’ergonomia e dal comfort a bordo. Riuscire a fare tutto in maniera più semplice, con meno fatica e restando più asciutto è in realtà un investimento sulla performance, perché uno skipper più in forma riesce a portare la barca al meglio e ad essere più lucido sulle scelte da prendere. Questo, in una regata come il Vendée Globe, è qualcosa che può fare la differenza. Apporteremo quindi tante piccole modifiche, a cominciare da una migliore copertura per il pozzetto, come si vede per esempio sui nuovi Imoca. Quando non è possibile investire in migliorie radicali, è necessario concentrarsi sui dettagli, su una manutenzione ordinaria puntigliosa che colga al volo qualsiasi upgrade possa influenzare la performance. E’ in quest’ottica che, ad esempio, stiamo scegliendo il set di vele più adatto da produrre per il prossimo anno.

Quanto conterà la velocità pura alla Transat e soprattutto al Vendée Globe?

Sono due regate diverse. La prima è corta e assomiglia a uno sprint; ci saranno situazioni nelle quali la velocità farà veramente la differenza. Stesso non vale per il giro del mondo, in cui sono molti di più i fattori in gioco: la bontà e la preparazione dell’imbarcazione, le capacità dello skipper, la sua resistenza fisica, quella mentale. Ma anche la reattività alle difficoltà, la motivazione a tener duro e, non da ultimo, gli eventi esterni, quelli che escono dal suo controllo. Durante il Vendée Globe la velocità pura conterà solo in alcune fasi, quali l’Atlantico. Il foiling sarà importante per agganciare le depressioni del sud, ma poi occorrerà gestire la velocità, per non rompere le barche e per non andare più rapidi delle depressioni: uscire dalla depressione significa rallentare, per cui andare più veloce diventa controproducente. Con questo esempio si capisce bene quanto sia importante la gestione del mezzo da parte degli skipper. Per questo voglio conoscere, smontare, guardare il più possibile dell’imbarcazione, lavorando a gomito con il mio team.

In un mondo, quello oceanico, fatto soprattutto dai francesi, tu sei la parentesi italiana ormai da tante stagioni, come la vivi?

Sono molti anni ormai che ho fatto la scelta di vivere qui per fare quello che sto facendo. Sono arrivato a Lorient che ero ancora fidanzato con Stefania. Qui ci siamo sposati e qui siamo diventati papà e mamma. Qui abbiamo rivoluzionato la nostra vita. Qui, perché è qui che lavora la maggioranza dei team della flotta. Un progetto Vendée Globe, è un progetto che esige, non solo al velista, ma a tutto il team che decide di lavorarci, sia che si tratti dello skipper, sia che si tratti dell’apprendista preparatore. Lavorare in un progetto IMOCA è una scelta: la scelta di implicarsi, di dedicarsi, di essere consapevole che il proprio lavoro è importante e influenza un obiettivo comune che non appartiene solo allo skipper e agli sponsor: appartiene a tutti coloro che seguono il progetto e che “soffiano nelle vele” durante le regate.

Mauro Giuffrè

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