Come ti trasformo la barca in una casa

I trucchi e le accortezze della famiglia Portesan, che vive a bordo di un Oceanis 430 senza sentire il bisogno di tornare a terra.

Ormai sono delle star. Al TAG Heuer VELAFestival «i Portesan» Fabio, Marina, Valerio e Leilani (ma senza i due gatti Vicky e Pacho) sono stati tra gli ospiti più interpellati dai visitatori.  Il loro fascino? Di certo sono tutti molto belli e solari, ma loro hanno fatto quello che tanti sognano e basta: fuggire dalla città e vivere in mare.

L’idea era nata subito dopo il viaggio di nozze, ma come spesso accade, era rimasta lì.

«Poi quando ti accorgi che la tua compagna è stufa, fai quello che dice!», scherza, ma non troppo Fabio che continua un po’ più seriamente ma senza perdere mai il sorriso: «Quando realizzi che tu, informatico, lavori 13 ore al giorno, tua moglie, store manager, lavora 13 ore al giorno e spesso anche il fine settimana, i figli vanno a scuola altre 8 ore… Ti domandi: ma quando lo facciamo? Così, per evitare che rimanesse un’idea abbiamo detto: ci diamo due anni (che scadono a ottobre quando Valerio dovrà andare alle scuole medie) e lo facciamo», racconta Fabio. E in effetti sono partiti.

E da loro che ormai sono diventati degli esperti ci siamo fatti raccontare come si trasforma una barca in una vera casa in cui vivere 12 mesi all’anno (e facendo meno porto possibile). I Portesan partono da un presupposto: l’importante per una famiglia non è dove sei ma lo stare insieme.Per questo, dicono, non c’è stato un grande lavoro di personalizzazione.

Ma è necessaria una premessa, come spiega Marina: «Prima di mettere mano alla barca, vivetela un po’: tanti lavori fatti prima ci siamo accorti che potevamo evitarli o realizzarli in maniera differente. Usandola capisci cosa ti serve, non serve avere fretta di modificare». Per scendere più nel dettaglio interviene Fabio che specifica: «Grandi modifiche no, però è fondamentale disporre di una buona riserva d’acqua».

La famiglia Portesan ha scelto un ex barca da charter, l’Oceanis 430 Gentilina «Volevamo cambiarle il nome e chiamarla Valeila, che è rimasto poi il nome del progetto, poi l’abbiamo vista e ci è sembrata Gentilina di nome e di fatto e così non l’abbiamo ribattezzata».

Una barca da 13 metri con quattro cabine, 660 litri di serbatoi per l’acqua, 200 litri gasolio. Hanno aggiunto un generatore in più, due pannelli fotovoltaici da 100 W un generatore eolico da 400 W, «e cambiato l’autopilota per necessità e adesso ne abbiamo due: la parola d’ordine in barca è ridondanza, ora abbiamo tutto doppio, perché quando qualcosa si rompe poi va tutto a catena». Insomma prevenire aiuta a curare, in questo caso.

Ma la regola per trovare il miglior compromesso è una: non abbiate paura di vivere la barca perché è solo quando siete fuori che capirete cosa c’è davvero da fare.Ma più ancora che i servizi e le dotazioni a rendere casa una barca è l’atmosfera. Spiega Fabio: «Importantissimi sono i quadri. Bisogna portare i propri quadri, le proprie cose da attaccare sennò non la senti come una cosa tua. Abbiamo anche creato la camera dei bambini e abbiamo messo le nostre fotografie alle paratie».Insomma, servono gli effetti personali che ricordino una casa, «ma con l’accortezza di metterli in sicurezza, un po’ di più di quanto si farebbe con una barca con cui si esce solo il weekend in modo che se arriva un po’ di mare rimangono a posto e in ordine», dice Marina.

Per esempio i libri stanno in quadrato, ma li abbiamo fermati con una sagola in modo che non vadano in giro. Infine, non pretendete di portarvi tutto dietro. In barca bisogna tendere al minimalismo: solo quello che serve davvero. I Portesan già dichiarano di esserlo stati anche a terra: «ma ci siamo comunque accorti di esserci portati dietro troppa roba. Dopo tre mesi di mare ti rendi conto che quello che non usi per 10 giorni puoi eliminarlo perché effettivamente non ti serve, non ne hai bisogno». Di base bisogna ricordarsi che la felicità si misura con un metro che ci si costruisce e non si prende in prestito da altri.

Valerio, mamma Marina e Leilani alle prese con il pranzo in pozzetto.

Ognuno ha la sua dimensione. «Abbiamo visto famiglie di quattro persone vivere felicemente su barche di otto metri con il tendalino realizzato in canna di bambù e cucito a mano, così come abbiamo visto coppie vivere su un megacatamarano da 50’ iperaccessoriato», ricorda Marina. è importante poi che i bambini abbiano i loro spazi, non solo fisici, ma anche emotivi e di crescita personale.

Valerio è un omino di 10 anni che ti dà risposte di un’intensità tale da non capire se la sua sia una dote innata o frutto dell’esperienza che sta vivendo. Il suo impegno da homeschooler è la prima cosa che mette sul tavolo quando gli chiedi: «Che cosa fai in barca?», «Studio, leggo, pesco…». Ha finito le elementari e quindi la famiglia si chiede se non sia il caso di fargli affrontare la scuola secondaria di primo grado, le scuole medie in un contesto più “normale”, rinunciando alla barca e scegliendo una collocazione comunque vicina al mare. Valerio legge: «Prima Roald Dahl, quando ero più piccolo, ora leggo Jules Verne, ho letto anche Harry Potter, ma non mi è piaciuto molto: è un po’ monotono», spiega il giovane giramondo, ma soprattutto pesca.

La prima uscita da “adulto” di Valerio

Come si vede in una delle foto di questo servizio, la sua prima uscita “da adulto” in autonomia è stata proprio per andare a pesca: «Ci siamo svegliati e abbiamo trovato un biglietto, quello era il saluto di Valerio, era andato a pescare», racconta Fabio.  «Pesco con qualsiasi cosa», prosegue il giovane “Sampei”, «dipende da dove sono, se è un posto sabbioso vado a prendere i pesci con la fiocina o con l’amo e sugli scogli uso le patelle o le cozze.

All’inizio ho utilizzato i vermi però non prendevo molto, poi mano a mano facevo esperienza e soprattutto i pescatori che ho incontrato mi hanno insegnato che le cose non si comprano. Primo perché gli articoli da pesca costano parecchio, e poi perché sono anche inquinanti, come hanno detto a Medplastic (ragazzo saggio e attento!).

Allora uso le cose che trovo direttamente in natura, e anche i pesci sono più abituati a tutto quello di cui già si nutrono in mare. Infatti mi sono chiesto: ‘ma poi, i pesci, dove dovrebbero trovare i vermi e le larve?’ E infatti, da quando ho cambiato esche ho pescato di più. Ecco, non ne ho mai pescato di enormi, però erano buoni!».

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