Come nasce una burrasca (e come evitarla) – Il “downburst” a Venezia spiegato dagli esperti
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Lo scorso 7 luglio, in serata, l’area lagunare veneziana è stata interessata da una tempesta improvvisa che ha messo in seria difficoltà chi si trovava in mare. Una nave di Costa Crociera, la Costa Deliziosa, ha sbandato pericolosamente in porto in balia di raffiche da 40-50 nodi, sotto la grandine più totale.
Il Mediterraneo è un mare imprevedibile, lo sappiamo bene: è per questo che è necessario sapere interpretare al meglio i segnali meteorologici, onde evitare di trovarsi nel bel mezzo di un “downburst” (ovvero, un fenomeno meteorologico consistente in una forte corrente discensionale che raggiunge la superficie, accompagnata a un violento temporale) improvviso come quello di Venezia.
Assieme agli esperti di Meteomed, abbiamo utilizzato la burrasca veneziana come “case history” per capire, nel dettaglio, come nasce una burrasca (e come evitarla cogliendone in anticipo gli indizi).
COSA E’ SUCCESSO A VENEZIA
Nella giornata di domenica 7 luglio 2019 la situazione a scala sinottica sul Nordest italiano vedeva la presenza di un campo anticiclonico di natura subtropicale in fase di arretramento verso il Centrosud Italia, sotto la spinta di più instabili correnti nord-atlantiche in quota. L’enorme serbatoio energetico presente nei bassi strati dell’atmosfera (condizioni di caldo umido su tutta la pianura veneta e friulana), accumulatosi nei giorni precedenti, ha favorito così l’innesco dei primi temporali già da metà giornata (ill. 1, ill. 3).
Un iniziale fronte temporalesco, generatosi poco dopo mezzogiorno sul Trentino orientale (Val di Fiemme-Pale di San Martino) ha investito la Valbelluna e parte dell’Agordino, estendendosi al Trevigiano per poi puntare il Sandonatese e il litorale veneziano settentrionale attorno alle ore 14-15 (specificatamente l’area di Jesolo). Il flusso portante delle correnti in quota, prevalentemente da Ovest-Nordovest, ha rinnovato una seconda linea temporalesca in sviluppo nella seconda parte del pomeriggio, ben più estesa della precedente, che ha coinvolto gran parte delle pianure venete da Ovest verso Est-Sudest. Forti acquazzoni, associati anche a fenomeni grandinigeni hanno coinvolto parte delle province di Verona (compresa la zona del Garda), Vicenza, Padova e Venezia.
Entro la prima serata, intorno le ore 19-20, il sistema temporalesco ha sfogato la massima intensità soprattutto sull’area lagunare veneziana e verso il mare aperto, causando notevoli difficoltà alla navigazione marittima per via dei forti venti, riduzione della visibilità e rapido aumento del moto ondoso generati dal temporale (e in particolare dal downburst ad ed esso collegato (ill. 5, ill. 6, ill. 7), fenomeno che approfondiremo successivamente). I venti in tal frangente hanno raggiunto i 60-70km/h nelle stazioni meteo di Venezia (Istituto Cavanis), Mestre, Marghera e Chioggia, toccando localmente punte anche prossime a 80-100km/h considerando i danni localmente registrati in alcune aree della Laguna.
ANALISI SINOTTICA
Nel corso di domenica 7 luglio l’atmosfera sulle regioni di Nord Est ha subito una rapida e profonda instabilizzazione. Analizziamo dunque nel dettaglio le condizioni atmosferiche che hanno portato alla genesi di fenomeni temporaleschi violenti con particolare riferimento alle zone di pianura e costiere del Veneto. Dando uno sguardo alla sinottica a macroscala, si osserva un indebolimento del campo anticiclonico che nei giorni precedenti interessava il Nord Italia, cui si associa una maggiore ingerenza del flusso perturbato nord-atlantico in sede Mittel-europea (ill. 1). Nel trimestre estivo tale evoluzione sinottica è degna di attenzione in quanto favorevole allo sviluppo di fenomeni temporaleschi di forte intensità poichè il Nord Italia viene a trovarsi nella zona di interazione tra le masse d’aria caldo umide ereditate dal contesto anticiclonico e quelle più fresche ed instabili del flusso nord-atlantico; in altre parole il comparto sud-alpino diviene zona di forte contrasto tra tipologie di masse d’aria differenti.
A partire da questo contesto generale di propensione alla instabilizzazione atmosferica, per prevedere nel dettaglio le conseguenze sulla Val Padana e l’Alto Adriatico è necessario analizzare attentamente le modalità di ingresso del flusso occidentale atlantico. L’interazione di tale flusso con la complessa fisiografia del Nord Italia gioca infatti un ruolo primario nel comparto sudalpino per individuare le zone maggiormente a rischio in termini di tipologia, distribuzione, intensità, durata ed evoluzione spazio-temporale della fenomenologia. A questo bisogna aggiungere dinamiche ancor più locali connesse alla configurazione dei venti di basso livello e delle brezze, anch’esse in grado di giocare un ruolo determinante nel stimolare o meno la convezione (ill. 3).
Teniamo presente che l’innesco di fenomeni convettivi necessita di due ingredienti principali: in primo luogo la presenza d’instabilità latente, cioè l’energia potenziale disponibile definita dal parametro CAPE (ad esempio connessa alla presenza di aria particolarmente calda e umida nei bassi strati) e in secondo luogo ad una serie di condizioni atmosferiche che permettano a questa energia di essere convertita in energia cinetica cioè in moti verticali ascendenti che sono alla base di qualsiasi fenomeno convettivo.
Analizzando il profilo termo-dinamico alle ore 14 locali estrapolato dal radiosondaggio atmosferico eseguito presso l’aeroporto di Udine Rivolto (ill. 2) e gli indici d’instabilità derivati, queste condizioni erano pienamente soddisfatte. Osserviamo infatti valori di CAPE superiori 2000, valori che la letteratura associa ad un elevato rischio di convezione rapida, profonda e intensa. Anche gli indici che analizzano la probabilità che questa energia venga effettivamente liberata sono favorevoli: tra questi citiamo LIFT INDEX -8, TOTAL TOTALS 57, CIN -38, SWEAT 380.
A fronte di un quadro sinottico e termo-dinamico molto favorevole, come già accennato, i fenomeni più intensi tendono a concentrarsi in aree circoscritte all’interno di sistemi temporaleschi più ampi (ill. 3, ill. 6). Questo fatto non è casuale ma legato a dinamiche di basso livello (per basso livello intendiamo gli strati dell’atmosfera prossimi al suolo) che variano di volta in volta. Nel caso di studio in oggetto, l’evoluzione sinottica era tale per cui sulle pianure centrali del Veneto è venuta a crearsi un’area di confluenza, cioè una zona ristretta in cui venti provenienti da direzioni differenti si incontrano. La carta dei venti al suolo alle ore 17 locali (ill.4), elaborata dal nostro LAM (modello meteo ad alta risoluzione), mostra la situazione dei venti sul Veneto: moderati da ovest sulle province di Verona, Rovigo e Padova che vengono arrestati in area veneziana dall’irrompere di venti di Bora dal trevigiano.
Tale convergenza di venti può essere definita come la scintilla necessaria a mettere definitivamente in moto la macchina termo-convettiva. In che modo? Lungo la fascia di convergenza dei venti avviene un accumulo di massa d’aria che non può che trovare naturale sfogo verso l’alto generando dunque correnti ascensionali; in questo modo vengono vinte le ultime resistenze che l’atmosfera oppone al rilascio del CAPE e la convezione viene così incentivata ed esaltata.
Questo tipo di confluenze di basso livello sono molto frequenti e di importanza fondamentale in sede di analisi previsionale; senza di esse spesso il potenziale convettivo può non essere espresso, in altre parole a fronte di alto potenziale nei fatti non si innescano temporali. Tali confluenze possono avere motivi sinottici ma spesso sono legate alle più classiche dinamiche di brezze termiche diurne che interessano le zone costiere l’immediato entroterra sia del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia.
Tipica ad esempio è la convergenza di brezze marittime nelle prime ore del pomeriggio che si verifica nelle immediate zone retrostanti alla costa. Riassumendo: l’analisi sinottica e dei principali parametri termo-convettivi e termo-dinamici, sia in sede previsionale sia in post-analisi, mostrava una configurazione molto favorevole allo sviluppo di temporali di forte intensità su gran parte della pianura veneta e friulana individuando un’area più a rischio tra le province di Treviso, Padova e Venezia. Si individua inoltre un rischio moderato-elevato di eventi violenti come ad esempio grandinate oppure di downburst, fenomeno che effettivamente si è verificato in area lagunare.
IL DOWNBURST
Come accennato nei precedenti paragrafi, i venti di tempesta osservati nell’area lagunare sono riconducibili al fenomeno del downburst. Il downburst è una forte corrente discendente che si orgina all’interno della nube temporalesca (cumulonembo) e, come una cascata, si riversa verso il basso fino a raggiungere il suolo. Giunta al suolo, questa corrente di aria fredda accompagnata spesso da pioggia torrenziale e talvolta grandine, si espande rapidamente a ventaglio dal punto di impatto generando raffiche di vento lineari ma anche turbolente (stante l’interazione con il territorio e il tessuto urbano) che in pochi minuti possono coinvolgere ampie porzioni di territorio stante le velocità del vento che possono anche superare i 100 km/h.
Questo fenomeno determina dunque un improvviso e drastico cambiamento delle condizioni meteorologiche che possono divenire estreme nell’arco di pochi minuti, risultando dunque molto pericoloso anche per la navigazione. Dal punto di vista previsionale abbiamo visto che tramite una scrupolosa analisi è possibile individuare le zone più a rischio a fenomeni di forte intensità, talvolta anche con una buona confidenza, ma solo tramite strumenti di nowcasting analizzati da meteorologi (analisi del tempo attuale e previsione nelle immediate ore successive) è possibile individuare le zone che effettivamente verranno colpite da fenomeni in grado di arrecare problematiche alle attività umane e alla navigazione e dunque procedere con eventuali e tempestivi allertamenti.
Anche i modelli a più alta risoluzione e più performanti, sono in grado di individuare dinamiche precedenti all’innesco della convezione (esempio convergenza dei venti al suolo ill. 4, ill. 7) ma faticano a modellizzare gli eventi di downburst in quanto profondamente legati a dinamiche interne alla nube temporalesca che agiscono a scale inferiori la risoluzione del modello stesso. In questi frangenti si possono osservare condizioni meteo marine, seppur transitorie, molto differenti in termini di vento e altezza d’onda rispetto a quanto previsto dal modello. Per questo il contributo del meteorologo è ancora di fondamentale importanza in fase previsionale per indicare il rischio di occorrere in questi fenomeni.
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