“Perché vai per mare?”, mi chiedono. “Perché in mare mi trovo”

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Una navigazione inconsueta, da cui è nato un bel libro. “La Vela di Odessa” di Luciano Piazza (cinquantenne romano che alcuni anni fa ha mollato il lavoro per dedicarsi alla navigazione e alla scrittura) racconta un viaggio in barca a vela (per la cronaca, un Bavaria 350 Lagoon, 11 m di lunghezza) in uno dei mari meno frequentati dai diportisti: il Mar Nero. “Sono partito da Poros, piccola isola non distante da Atene” racconta Piazza, “e ho navigato lungo il Mar Egeo, i Dardanelli, il Mar di Marmara e il Bosforo, prima di arrivare in Mar Nero.

Luciano Piazza

Ho cercato di raccontare sia la preparazione del viaggio che le tappe per giungere a Odessa, con tutte le emozioni che una rotta così lunga può offrire, compresa la risalita del Danubio per un breve tratto. Poi, lentamente, verso casa, percorrendo a ritroso la lunga rotta per rientrare a Roma”. Il libro sta avendo molto successo ed è stato premiato al Premio Carlo Marincovich per la letteratura di mare. Pubblichiamo il secondo dei tre estratti che Luciano ha selezionato per noi (il primo lo trovate QUI).

LE PRIME MIGLIA VERSO IL MAR NERO

Le mani sciolgono rapide il nodo sulle gallocce di poppa liberandomi dai legacci che mi trattengono al molo. La marcia avanti ingranata al minimo allontana Piazza Grande dalla banchina facendole guadagnare lentamente il mare aperto. Volto la testa per un ultimo sguardo, un cenno di saluto alla cittadina che ormai sento mia e che mi ha fatto suo, e ne ricevo a mia volta sguardi e saluti. Fuori dal canale di Poros il vento soffia leggero da sud, una condizione ideale per un primo test stagionale per barca e comandante.

Ho in programma di fare poche miglia per verificare che tutto sia a posto, che i sei mesi di pausa invernale non abbiano intorpidito entrambi. È inconsueto navigare da queste parti con venti meridionali; di solito in Grecia si viene in estate, quando il meltemi infesta il mar Egeo rendendo difficoltoso, e a volte impossibile, dirigere verso nord. 
Messe a segno le vele, inizio una ricognizione generale dell’attrezzatura, per quanto al momento sottoposta a sforzo lieve. Scoperchio la sentina, apro il vano motore, controllo le prese a mare: tutto è perfettamente asciutto.

Anche in coperta sembra tutto a posto; solo le sartie medie hanno forse bisogno di essere leggermente tesate, ma viste le attuali condizioni meteo non c’è alcuna urgenza di farlo. 
Apro il quaderno che ho comprato prima di partire e scrivo la prima pagina del nuovo diario di bordo; a mano, con la penna, ritrovando quel piacere antico barattato decenni fa con la comodità e l’efficacia della tastiera del computer.

Scrivo il diario a mano perché lo trovo più rapido da aggiornare o consultare e per avere, nella malaugurata eventualità di un black-out elettrico, qualche riferimento per la navigazione non strumentale. 
La scrittura non è la sola cosa che ritrovo: tornano i gesti automatici e un po’ strani che faccio per muovermi senza sbattere da qualche parte e senza finire in acqua, torna la moka che bascula sul fornello mentre l’autopilota governa al mio posto, torna lo sciabordio leggero dell’acqua sullo scafo e tornano i gabbiani a volare intorno a Piazza Grande.

Ma soprattutto torna l’emozione interiore, quella meravigliosa sensazione che mi fa sentire vivo e che mi mette più che mai in contatto con me stesso. 
«Perché vai per mare?», mi chiedono spesso. «Perché in mare mi trovo», è la mia puntuale risposta. Una volta una persona rimasta a bordo per un periodo piuttosto lungo mi ha detto: appena molli le cime dalla banchina diventi un altro, ti trasformi.

Dopo qualche ora controllo di nuovo il Grib, il sistema di previsioni meteo che utilizzo maggiormente, che conferma il bollettino della partenza: quindici nodi da sud. In vista di capo Sunio penso che convenga proseguire e sfruttare le condizioni favorevoli, anche oltre il Kafireas, lo stretto fra le isole Eubea e Andros, praticamente inaffrontabile con vento da nord. Non era in programma di cominciare il viaggio con una notte di navigazione, ma chiedo a Piazza Grande se se la sente e lei mi risponde di sì. Lo chiedo anche al resto dell’equipaggio, una coppia di amici, e ricevo la medesima risposta. 
Alla via così, allora!

Il sole rosseggia dietro le montagne dell’Attica e io mi godo questo primo tramonto per mare.
 In realtà una piccola avaria la riscontro: le luci di via di prua non si accendono. Per quanto ci si sforzi di controllare tutto prima della partenza, qualcosa sfugge sempre. Smontare il fanale in navigazione senza farne cadere qualche pezzo in acqua è davvero un arduo esercizio di equilibrismo, ma nel giro di mezzora riesco a risolvere e il rosso e il verde tornano a brillare rispettivamente a sinistra e a dritta, riflettendosi nel buio sugli spruzzi che la prua solleva al suo passaggio.

Durante la notte incrociamo diversi mercantili che procedono lungo la rotta per i Dardanelli, per il resto una navigazione tranquilla e rilassata che mi conferma di aver fatto la scelta giusta. Studiando la carta nautica alla luce fioca del tavolo da carteggio, mi viene in mente un’interessante teoria che ho letto qualche giorno fa. Pare che il Mar Nero in epoca preistorica fosse un lago d’acqua dolce, con un livello di circa centocinquanta metri più basso di quello attuale e la linea di costa conseguentemente molto più avanzata. Il Bosforo costituiva una sorta di diga naturale che lo separava dal Mar di Marmara e lungo le sue sponde erano presenti diversi insediamenti umani stabili.

Al termine dell’ultima era glaciale, a causa dello scioglimento dei ghiacci, il livello del Mediterraneo aumentò progressivamente fino a tracimare oltre l’allora istmo del Bosforo, riversando milioni e milioni di metri cubi di acqua nel Mar Nero in modo violento. Il travaso si verificò intorno al 5/6000 a.C. e durò diversi mesi. Le conseguenze furono l’innalzamento del livello delle acque e il fortissimo aumento del tasso di umidità che provocò piogge torrenziali su tutta l’area per un lungo periodo. L’ipotesi è che questo evento naturale, attestato anche dal ritrovamento sottomarino di utensili agricoli di epoca neolitica molto distante dalla costa, sia alla base del mito del diluvio universale, presente sia nel libro della Genesi della Bibbia che nell’epopea sumera di Gilgamesh.

Certamente non è esistita un’arca dove sono state imbarcate tutte le specie animali, ma è possibile che il racconto abbia avuto origine dalla trasmissione orale di un cataclisma naturale effettivamente avvenuto. 
Sono sempre più convinto che andare in Mar Nero sia un’ottima scelta.

TRATTO DA
La Vela di Odessa
di Luciano Piazza
196 pagine

SINOSSI:
Una meta inconsueta, un mare poco navigato e poco conosciuto, eppure ricco di storia e cultura. Un viaggio di scoperta, di ricerca di un altrove che vada oltre l’omologazione planetaria delle mete turistiche. Un lungo percorso per mare a bordo di una piccola barca a vela, confrontandosi con le difficoltà quotidiane della navigazione e della burocrazia frontaliera ed elaborando continuamente i mille stimoli e le mille domande che un viaggio del genere porta con sé. Sei mesi e tremila miglia raccontati con uno stile vivace, colto e spesso ironico. Ricco di spunti storici, di riflessioni, di vita di mare. Prefazione di Simone Perotti.

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