“Abbiamo navigato su una barca con la prua tonda nel Mediterraneo”
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C’è un prototipo che ha dominato gran parte della Arci 650, la regata nell’arcipelago toscano riservata alla classe Mini 650, che si è corsa in questi giorni. La barca è Eight Cube (888 è il suo numero, che si può leggere “otto al cubo”) affidata alle mani del giovane velista oceanico Matteo Sericano e al timoniere/tattico Francesco Bertone. 888 ha concluso la regata al primo posto tra i prototipi, ma non è questo che vi vogliamo raccontare oggi.
Questa non è un Mini 650 “convenzionale”, ma uno di quei “mostri” in carbonio che oltralpe sfoggiano con un certo orgoglio e che sembra fatta ad hoc per far arrabbiare i velisti all’antica, principalmente per tre motivi: ha la prua tonda, è pensata per avere i foil ed è verde! (clicca qui)
Fuori dall’Italia se ne vedono molti, ma qui da noi, quando arrivano sono viste un po’ come aliene. Le battute come “non si distingue poppa e prua” si sprecano ed in banchina non pochi si fermano a guardare la forma di queste barche con un po’ di scetticismo.
Partendo dal presupposto che servirebbero mesi e mesi per prendere confidenza con tutte le regolazioni di questo bolide, ci faremo bastare un trasferimento Genova-Livorno dove abbiamo testato sulla nostra pelle cosa vuol dire navigare con la prua tonda nel Mediterraneo, a bordo di Eight Cube, per provare a trasmettervi un po’ di sensazioni che abbiamo provato a bordo.
Partiamo dalla domanda più ovvia: perché fare una prua tonda? 888 è un Mini 650 pensato per la Mini Transat, una regata attraverso l’Oceano Atlantico dalla Francia ai Caraibi e, in Oceano, l’onda non è come in Mediterraneo, ripida e corta, ma l’esatto opposto. In queste navigazioni non ci sono onde da “tagliare” e quindi una prua di questo tipo aiuta perché garantisce anche più stabilità.
E se naviga qui da noi?
Anche qui da noi una barca a prua tonda rimane comunque un purosangue, soprattutto alle portanti. Eight Cube è costruita interamente in carbonio, ha la chiglia basculante e ha i daggerbord laterali. Con questo mix, partendo da Genova con 20-22 nodi da nord abbiamo navigato per una trentina di miglia ad oltre 12 nodi di media con solo fiocco e una mano di terzaroli alla randa ( il trasferimento è stato all’insegna del risparmio energetico in vista della regata).
Attualmente la barca non è foilante, ma con il vento in poppa plana che è un piacere anche sull’ondina della tramontana ligure. Ora immaginatela al gran lasco con lo spi grande. In questa configurazione nella prima parte della Arci 650, la barca ha superato i 16 nodi di media, senza i foil, staccando gran parte della flotta.
Quando c’è poco vento in bolina e sale l’onda?
Se alle portanti è tutto “tranquillo”, in bolina con l’onda mediterranea come naviga? Se si conosce come farla portare, questa barca non delude. Senza dubbio il passaggio sull’onda corta è decisamente più complicato rispetto ad uno scafo con la prua a V, ma se si “prende” il ritmo ed un po’ di dimestichezza, anche una prua tonda può essere vincente. Resta il fatto che, con poco vento ed onda, la barca soffre molto di più rispetto alle “sorelle” con dalla prua a V.
Beppe Boniventi
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1 commento su ““Abbiamo navigato su una barca con la prua tonda nel Mediterraneo””
Il fatto che una barca del genere sia bella o meno…possa piacere o meno…rappresenta soltanto una valutazione estetica e quindi, per quanto possa sembrare importante per qualcuno è, comunque, del tutto relativa e certamente non definitiva. Qualsiasi oggetto sul quale ci si sposta sull’acqua, però, deve rappresentare la soluzione migliore all’uopo trovata dal suo costruttore e invece, nel caso specifico, le valutazioni che vengono fatte nell’articolo risultano perlomeno lacunose e fuorvianti.
Le prue larghe e piatte sono sempre esistite e utilizzate per imbarcazioni destinate a muoversi nelle acque riparate di fiumi e laghi oppure laddove, per esigenze pratiche, era necessario ricavare quanto più spazio possibile nelle ridotte dimensioni di progetto. Mezzi che possono essere inquadrati in questa fattispecie sono, ad esempio, quelli militari utilizzati per lo sbarco a terra di truppe anfibie oppure, in ambito velico, l’Optimist dove l’obiettivo era poter accogliere in soli 2,30 metri (e con un minimo di comfort) un ragazzo equipaggiato di stivali, cerata e giubbetto salvagente o anche, sempre come esempio, il Caravelle di soli 4,60 metri ma in grado di ospitare sino a 6 persone. Inoltre, sia nel caso dell’Optimist che in quello del Caravelle, la particolare forma squadrata della prua era stata scelta anche per facilitare la costruzione amatoriale in compensato marino mentre l’888 di cui si parla nell’articolo è il prodotto, a quanto pare, di una raffinata e specializzata costruzione in fibra di carbonio che, ovviamente, non richiede un particolare geometria delle sezioni di prua.
È però vera una cosa che, sorprendentemente, non viene citata nell’articolo (non so se per ignoranza o superficialità) e cioè che mantenere quanto più larghe possibile (al galleggiamento) le sezioni prodiere aumenta in maniera notevolissima la stabilità di forma dello scafo necessaria per tenere a riva la grande quantità di vela che i Mini 6.50 sono in grado di issare. D’altro canto la Minitransat, statisticamente, non viene di certo corsa di bolina e i notevoli volumi di una prua “a scow” (visto che così si chiama) oltre ad aumentare la stabilità di forma dello scafo, contribuirà a ridurre il rischio che essa possa “infilarsi” in acqua. Navigare però, di bolina e con mare agitato, con una barca dalla prua siffatta è qualcosa che metterà a dura prova la resistenza dell’equipaggio e, chissà, l’integrità della barca stessa (come raccontò a suo tempo David Raison che, a bordo di Teamwork Evolution (con la prua “a scow” appunto) si aggiudico la Minitransat 2011.