Il derivare m’è dolce in questo mare. Ode alle barche aperte. FOTO
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Immaginatevi in spiaggia d’estate. Vi state rilassando al sole, fate un bagno rinfrescante, poi all’improvviso vedete all’orizzonte la linea scura del vento, arriva la brezza, la vostra barca è già armata sul bagnasciuga e in pochi minuti entrate in acqua e partite in velocità con la vostra deriva. E’ il modo più semplice, divertente e appagante di vivere il mare, le derive infatti sono a volte “l’istinto primordiale” di chi ama la vela. Più semplici da gestire rispetto a una barca cabinata, meno costose da acquistare e da mantenere, le derive, e in generale le barche aperte, ci offrono quel contatto essenziale con l’acqua. Il Giornale della Vela inaugura con questo primo articolo una serie di approfondimenti sul mondo della barche aperte che pubblicheremo sul nostro sito web e successivamente in forma più articolata e approfondita nella nostra edizione cartacea.
Le piccole derive le possiamo portare su una barca più grande, tenere in un garage o su una spiaggia riparata anche per tutto l’anno, le prepariamo in pochi minuti e non hanno bisogno di un vero rimessaggio annuale ma solo della manutenzione ordinaria. Sul mercato ne esistono di tutti i tipi. Da singolo, in doppio, per un piccolo equipaggio di 3-4 persone, quelle pensate per la scuola vela, plananti o dotate di foil.
UN MONDO VARIEGATO
Ci sono le super classiche, quelle che potremmo definire evergreen e hanno un fascino senza tempo: per esempio le varie versioni degli Hobie Cat (che anche se catamarani vanno accomunati nel grande mondo delle piccole barche aperte), l’immortale Laser, il Finn, il 420 e 470, la Star.
Ci sono poi quelle che potremmo definire cult, che si contraddistinguono per forme poco convenzionali che hanno attraversato la storia della vela: per esempio il dinghy classico, il Fireball, il Contender, il Flyng Dutchman.
Ci sono poi le derive da scuola per piccolissimi, piccoli e grandi: l’Optimist, l’O’pen Bic, L’Equipe, il Tridente, il Caravel, o le più recenti e moderne RS nelle versioni Feva, Tera e Quest.
E poi ci sono quelle per gli amanti della velocità, che potremmo dividere tra plananti e volanti. Nella prima categoria vanno inseriti senza dubbio tutti gli skiff, a cominciare dall’olimpico 49er, nella seconda gli sviluppi degli ultimi anni hanno fatto affermare su scala internazionale soprattutto i Moth e i Waszp, ma sono solo due esempi di una galassia in forte espansione.
I DERIVISTI SONO I VELISTI PIU’ TECNICI
Ma cosa hanno in comune, oltre al divertimento, queste tipologie di derive che abbiamo elencato? Saranno in grado meglio di qualsiasi barca cabinata di “insegnarci” i rudimenti e la tecnica della vela. Su barche così leggere infatti a ogni azione dell’equipaggio corrisponde una reazione esponenziale della barca. Se, per esempio, su una deriva spostiamo un piede sottovento la barca sbanderà in maniera repentina e partirà all’orza, simile reazione quando cazzeremo la scotta randa.
Sulle derive in pratica c’è una costante risposta immediata a tangibile della barca a ogni azione dell’equipaggio. Un aspetto questo fondamentale per migliorare velocemente la tecnica di chi vi naviga sopra per la prima volta, perché sarà possibile passare velocemente dai concetti teorici a quelli pratici e tangibili. Cosa molto più difficile su barche grandi: su un cabinato non da regata se laschiamo pochi centimetri di base randa la barca non avrà alcuna reazione, o meglio questa sarà impercettibile a un occhio poco esperto e non immediata, di conseguenza sarà molto più difficile per un velista alle prime armi capire l’utilità di questa o quell’altra regolazione e i concetti teorici avranno un riscontro meno immediato nella pratica. Per questo si dice che i migliori velisti siano i derivisti, quelli delle classi olimpiche o quelli che sulle derive si sono formati prima di passare alle barche d’altura.
E poi c’è quell’emozione, quel senso di libertà, di aspettare in spiaggia con la barca già pronta l’arrivo della brezza. Sporcarsi i piedi di sabbia mentre la spingiamo in acqua. Fare quei quattro cinque passi con l’acqua che ci arriva alla vita per spingere la barca fuori dall’onda e salire al volo a bordo. Cazzare le vele, sentirla partire, uscire al trapezio con il vento in faccia. La scia che si stacca anche di bolina, e una sensazione di felicità e adrenalina che solo queste piccole grandi barche ci possono dare. Provare per credere.
Mauro Giuffrè
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1 commento su “Il derivare m’è dolce in questo mare. Ode alle barche aperte. FOTO”
Un bell’articolo che tutti i velisti dovrebbero leggere.