“Non ve lo ha prescritto il medico di fare i navigatori oceanici”
IL REGALO PERFETTO!
Regala o regalati un abbonamento al Giornale della Vela cartaceo + digitale e a soli 69 euro l’anno hai la rivista a casa e in più la leggi su PC, smartphone e tablet. Con un mare di vantaggi.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un lettore, appassionato di vela e, a quanto pare, professionista nel settore della comunicazione, con un punto di vista alquanto “spigoloso” sul mondo della vela oceanica italiana. Dai Mini 650 fino ad andare più su, una visione fortemente critica del movimento nostrano a suo dire “malato” di alcuni problemi di fondo. Siete d’accordo?
Sono un velista, regatante e in generale appassionato di vela, nonché lettore del Giornale della Vela. Lavoro per un’importante multinazionale, nel settore della comunicazione, e da anni mi passano sulla scrivania richieste di sponsorizzazioni per progetti velici di tanti velisti italiani. Il motivo per cui scrivo queste righe è perché, una volta tanto, mi piacerebbe che venisse data evidenza anche al punto di vista di chi finanzia i velisti e non solo alle lamentele di chi gli sponsor non li trova. Il motivo per cui voglio restare anonimo è di una semplicità quasi banale: tengo alla mia privacy, e sarei ipocrita a inventare altre scuse.
Il mondo della vela oceanica italiana che sogna le grandi regate, quella che va maggiormente a caccia di sponsor, ha secondo me almeno quattro problemi: il piagnisteo, l’invidia, il complesso di inferiorità verso tutto quanto venga dall’estero e la mancanza di una progettualità vincente. Il piagnisteo è pressoché perenne: una continua e ininterrotta lamentela su quanto sia difficile fare vela in Italia, su quanti soldi servano e su quanto sia difficile procurarseli. Sveglia ragazzi: la vela, ai livelli a cui ambite di arrivare voi, è uno sport costosissimo, chi la pensa diversamente crede alle fiabe e a Babbo Natale. Quindi ci sono due vie: o siete veramente dei fenomeni indiscussi e prima o poi, se avete testa, uno sponsor come si deve lo trovate, oppure siete ricchi di famiglia. Se non siete nell’uno ne l’altro mi dispiace, ma non c’è molto da fare.
Arriviamo quindi al capitolo dell’invidia: ho sentito con le mie orecchie velisti pseudo oceanici o aspiranti tali screditare dei compagni con i quali hanno regatato in coppia, solo perché gli altri magari hanno fatto più strada lasciandoli al palo: “ Lui avrà anche vinto delle regate, ma io sono stato in barca con tizio e caio, e vuoi mettere l’esperienza che ho fatto sullo studio dei foil”. Per poi non parlare del chiacchiericcio che può sollevarsi se una new entry, uno skipper con poca esperienza, riesce ad avere una barca nuova prima di altri. Può diventare addirittura argomento di discussione nelle riunioni tecniche ufficiali. Evito di aggiungere altro.
Sul complesso d’inferiorità mi sembra quasi superfluo sprecare dell’inchiostro: la storia che in Francia si va a vela fin da bambini è di una noia mortale. Siete nati in Italia, fatevene una ragione e cercate di fare qualcosa di buono qui, altrimenti mandate un curriculum alle Poste. Di fare i navigatori oceanici non ve lo ha prescritto il medico, ci sono settori in cui l’Italia è un’eccellenza, avete invece scelto la vela nella quale non lo siamo, è un problema vostro.
E infine arriviamo al problema strutturale, quello più serio: la mancanza di una progettualità vincente, la mancanza di credibilità. Mi permetto di spiegarvi una cosa: in Francia il bacino di pubblico attento alla vela è talmente grande che le aziende si possono permettere di concedere sponsorizzazioni anche a progetti sportivi che probabilmente non arriveranno mai al traguardo o resteranno ben lontani dai podi. Un minimo di audience è comunque garantita. In Italia non è così: se arrivate 45mi alla Mini Transat purtroppo interesserà poco. Vi daranno qualche riga sulle testate specializzate, l’associazione di classe vi dedicherà il solito articolo sull’importanza di arrivare al traguardo e che in Oceano vincono tutti, dopo qualche giorno nessuno si ricorderà di voi. In compenso andrete in giro per i circoli a raccontare “La mia avventura in Oceano”, avrete davanti 50 persone che vi applaudono, e dal giorno dopo tornerete a lamentarvi perché siete senza sponsor. Perché quindi un’azienda dovrebbe sponsorizzare un atleta le cui possibilità di creare visibilità sono minime? La risposta è scontata, almeno quanto il motivo: non siete abbastanza bravi e quindi non meritate uno sponsor. E’ un’ingiustizia che spezza i vostri sogni? Sunza dubbio, ma non c’è scritto da nessuna parte che il mondo sia giusto. Perché un Beccaria, un Pedote, solo per citare due esempi virtuosi ma ne esistono altri per fortuna, sono arrivati fin dove sono? Innanzitutto perché sono forti, e lo sono veramente, non per auto celebrazione. E poi perché hanno saputo giocarsi le loro carte al momento giusto e nel modo giusto. Frignare poco, lavorare tanto, essere in grado ai loro inizi di ottenere risultati sportivi enormemente superiori rispetto ai mezzi (sia in termini di barca che squisitamente economici) che avevano a disposizione. E a quel punto sono diventati credibili, e se sei credibile e al tempo stesso anche molto molto bravo diventa assai più probabile che un’azienda ti voglia ascoltare e sia disposta a supportarti. Ma anche in questo caso dovrai dimostrare di avere le idee chiare, di sapere cosa vuoi e come ottenerlo, con metodo maniacale. E su questi ultimi punti seguo infatti con molto interesse l’esperienza di Alberto Bona col nuovo Figaro 3, un altro skipper che sembra avere le idee chiare da sempre e prima o poi secondo me troverà i riconoscimenti che merita.
In Italia non c’è mai stato un centro di allenamento per l’altura che possa chiamarsi tale. Per diventare vincenti serve allenarsi insieme, ma soprattutto essere allenati da qualcuno che sia veramente vincente. Mettete su un progetto che possa coinvolgere come allenatore per esempio un Soldini (come adesso ha abbozzato la FIV), un Malingri, o anche un allenatore straniero, ma purché sia vincente: vedrete che un club che vi dia supporto e qualche marchio che vi finanzi potreste riuscire anche a trovarlo. In alternativa potete restare a frignare, o mandare un curriculum a un grande magazzino. E’ un gioco crudele e ultra competitivo, adeguatevi.
T.O
Condividi:
Sei già abbonato?
Catamarani fuori dal coro per il 2025: guarda questi modelli
Catamarani 2025: quattro multiscafi per crociere da sogno
Ultimi annunci
I nostri social
Iscriviti alla nostra Newsletter
Ti facciamo un regalo
La vela, le sue storie, tutte le barche, gli accessori. Iscriviti ora alla nostra newsletter gratuita e ricevi ogni settimana le migliori news selezionate dalla redazione del Giornale della Vela. E in più ti regaliamo un mese di GdV in digitale su PC, Tablet, Smartphone. Inserisci la tua mail qui sotto, accetta la Privacy Policy e clicca sul bottone “iscrivimi”. Riceverai un codice per attivare gratuitamente il tuo mese di GdV!
Può interessarti anche
Sail GP, a Sydney è festa inglese: strada in salita per il Red Bull ITA Sail GP Team
Dylan Fletcher con Emirates GBR conquista la tappa di Sydney del Sail GP davanti a North Star Canada e ad Australia. Nella finale a tre barche la battaglia è stata davvero al filo di lana e i canadesi hanno superato
Paterazzo, a cosa serve e perché è importante che sia regolabile
La forma delle vele si modifica con la tensione delle drizze, il punto di scotta, i carrelli, e poi c’è il caro vecchio paterazzo, una manovra che ancora oggi, nonostante su alcuni cruiser sia fisso o sparisca del tutto, è
Addio all’Aga Khan, il principe che ha fatto innamorare della vela gli italiani con Azzurra
Si è spento a Lisbona (Portogallo) all’età di 88 anni Karim Aga Khan, il principe ismailita, imprenditore e filantropo, fondatore tra l’altro della Costa Smeralda, dell’omonimo Yacht Club e soprattutto promotore della sfida italiana di “Azzurra” all’America’s Cup. Un leader
Ecco la nuova barca da regata dell’83enne Dennis Conner
Si chiama “Ole Miss” ed è il nuovo Classe 6 Metri che si è regalato di recente il campione di vela statunitense Dennis Conner, alias “Mr America’s Cup” e con il quale disputerà il Campionato Mondiale in programma il prossimo
7 commenti su ““Non ve lo ha prescritto il medico di fare i navigatori oceanici””
Sono un velista x caso, lavoro x vivere.
Credo che in ogni settore la regola sia sempre quella: applicazione e sudore, se poi hai talento emergi, sennò accontentati del vento e naviga tranquillo !
Piangere mai, la vita è bella comunque
Vorrei sapere quali sono i canali di comunicazione che predilige l’anonimo.
condivido in toto!!!!
bravo
Non scrivere lettere anonime, mettici la faccia altrimenti la tua verità che in parte condivido è meno credibile.
Sulla mia pelle ho vissuto un altra esperienza.
Ho sempre scelto classi competitive con avversari ostici da battere…. 470, star, figaro
Quando arrivi sul gradino più alto in queste classi anche una volta, la soddisfazione è enorme e anche la fatica….ho cercato di portare dei risultati,prima di chiedere, arrivati il più delle volte con mezzi inferiori a miei avversari…. Ho sempre voluto arrivare per meriti…. Ma funziona di rado… Oppure dovrei essere un extraterrestre che non perde una regata, dono che pochissimi hanno.
Sono arrivato alla Solitaire a 42 anni nel 2005 dopo una whitbread (ex volvo ocean race), due coppe America con luna rossa e le olimpiadi.
Grazie a Mauro Piani che gestiva il figaro Nanni diesel ho avuto l’opportunità per due anni di correre nel circuito con uno stipendio, barca, vele, shore team forniti dalla Nanni diesel.
Ci siamo presentati con umiltà e abbiamo avuto un successo clamoroso vicenda la seconda tappa, in testa alla classifica generale fino alla ultima tappa.
Lo sponsor ha avuto posto in prima pagina sui quotidiani in Francia per la vittoria.
Nel 2006 vittoria alla ag2r e secondo alla generali solo.
Avevo tutti i risultati sportivi e mediatici per ambire al open 60….. Non abbiamo trovato terreno fertile.
Comprai privatamente con un prestito un figaro per continuare…..sponsor veri niente… Passavo la maggior parte del tempo a regatare su altre barche per mantenere famiglia e leasing barca, la mia attività ridotta alla sola solitaire…
Le spese vive della regata le sosteneva lo yci e in parte sponsor che facevano riferimento al club.
La mia delusione dopo risultati ottenuti ed aver saputo dall organizzazione regata, che ero tra gli skipper più telecharge della flotta grazie ai seguaci in Italia, ho scoperto che il tutto serviva a poco, molti sponsor erano interessati a sovrafatturazioni o restituzione di una parte, pratica che penso sia sparita, a cui non mi sono mai assoggettato. Quando trovai lo sponsor corretto era per una mia vicinanza al proprietario dell’azienda e mio tifoso mi aveva anche detto che la sponsorizzazione non era legata al risultato ed era più preoccupato che non mi facessi male in barca. Peccato sia durato solo una stagione…
Sulla meritocrazia l Italia storicamente non è al primo posto. Sicuramente le cose cambiano e tu anonimo velista che lavora per la comunicazione di una multinazionale ed esamini le richieste dei solitari italiani, mi sento ancora in forza per saltare su un figaro e scontrarmi ancora con i miei blasonati coetanei francesi che non mollano e questo anno sono rientrati in massa nel circuito…
Sarà interessante vedere i vecchi volponi contro i fortissimi giovani….
Faccio il tifo per Alberto credo che un risultato a metà classifica sia già un successo come prima solitaire…. Fatti vivo…
Io credo che il problema in Italia sia sempre il solito: il campanilismo. Il campanilismo inteso come: io sono meglio di te, io navigatore d’altura sono più forte di te derivista, io che ho vinto una regata oceanica sono più forte di te che hai vinto una Coppa America.
Il campanilismo ci tiene divisi, non ci fa collaborare. L’oceanico non vuole imparare dal derivista, al derivista non interessa amministrare le forze per arrivare più lontano, poi magari arriva stremato alla virata decisiva.
In Italia il “campanilismo” tiene separati anche i membri dello stesso team.
Un oceanico fa un record, l’altro oceanico dice: record ridicolo e inutile.
Invidia e “campanilismo” sono i nostri veri e gravi mali.
Per ottenere risultati bisogna avere degli insegnanti (attenzione non è detto che il mega campione sappia poi insegnare….) che sappiano trasmettere le proprie esperienze e sopratutto sappiano creare un team. Un team serve sia che stiamo formando un equipaggio, sia per la formazione di un solitario.
Formando un team forte, unito e con obbiettivi chiari è unica via per aspirare al successo.
Ma questo è il difficile da realizzare in Italia.
È rarissimo trovare dei team formati da tutta gente valida, nella maggior parte dei casi il fortunato che ha trovato uno sponsor per una manifestazione, si circonda di “amici” per cercare di migliorare, difficilmente si mette in squadra qualcuno che lo critichi per crescere. Più facile e comodo circondarsi di “yes man”.
Questo purtroppo lo riscontriamo spesso anche nelle varie Federazioni.
A questo punto, siamo sinceri, perché uno sponsor serio dovrebbe entrare in un progetto accorgendosi (se ha qualcuno esperto nel suo interno) subito che sta per investire su un gruppo di amici sognanti più che una vera sfida vincente?
Se non saremo capaci di uscire dalla mentalità “campanilistica” non avremo mai un progetto forte e vincente e di conseguenza non avremo mai uno sponsor serio che ci segua non per un sogno di breve durata ma per un idea che ci porterà a crescere fino ad arrivare alla vittoria.
Senza un progetto serio, senza un team forte e unito, senza uno sponsor convinto dell’idea, continueremo ad essere qui a leggere di uno che parla male dell’altro 😜
Concordo con lo sconosciuto
Sono un velista che naviga da trent’anni e come tanti ho fatto l’oceano….l’esperienza paga in tutto , le persone e i luoghi come i maracchioni o i tramonti sono di tutti e per tutti ma nel condividere in pieno quanto dice l’anonimo sottolineo che si comincia a 7/8 anni e quando sei bravo ti propongono progetti e sponsor non mancano .
Quello che manca è l’apprezzare il ‘”solo” farne parte.
Esperti capaci appassionati non primedonne sono sempre graditi e chi non vuole lavorare ma spera di farsi pagare divertendosi essendo un personaggio della vela all’età di 18 anni già può capire se ha o non ha i numeri.