L’avventurosa storia dell’uovo a vela che attraversò l’Atlantico
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Il 27 luglio 1904 quattro norvegesi partirono dalla baia di Alesund in Norvegia a bordo di un uovo a vela d’acciaio, con una vela a picco, lungo 5 metri per attraversare l’oceano Atlantico. Dopo cinque mesi di innumerevoli peripezie, il 6 gennaio 1905 atterrarono a Gloucester, in Massachusetts.
Com’era nata una delle imprese meno conosciute ma più incredibili della storia? Il ventiquattrenne Ole Martin Brude fece costruire questo incredibile oggetto galleggiante dopo aver sentito che la Francia offriva un premio da un milione di franchi francesi (al cambio di oggi 3,8 milioni di euro) per una scialuppa di salvataggio per navi più sicura rispetto a quelle in uso, e che il giudice doveva essere alla Fiera mondiale di St. Louis nel 1904. Brude decise di salpare con il suo uovo a vela, attraversare l’Atlantico atterrando a New York, trasportarlo in treno a St. Louis, e reclamare il premio.
Non raggiunsero mai St. Louis, ma dimostrarono che una scialuppa di salvataggio chiusa, proprio come un guscio d’uovo e non aperta, avrebbe consentito ai naufraghi di sopravvivere per mesi in balia dell’oceano e di navigare verso una destinazione precisa. Il premnio non lo vinse, ma l’eco della sua impresa resistette per anni e in patria divenne un eroe nazionale.
Ci vollero quasi sett’antanni prima che qualcosa di simile all’ “uovo di Brude” venisse finalmente adottato. Solo negli anni ’70 le scialuppe di salvataggio chiuse apparvero sulle navi mercantili. Esiste una società che produce scialuppe di salvataggio chiuse e, poiché si chiama Brude Safety Company, sappiamo dove hanno avuto l’idea. Per chi volesse vedere l’uovo a vela, al museo di Alesund in Norvegia c’è una perfetta replica. Potete vedere il video qui:
COM’ERA FATTO L’UOVO A VELA DI BRUDE
Costruito in acciaio, l’uovo a vela era lungo 5,48 metri per una larghezza massima di 2,43. Lo spessore delle lastre d’acciaio era di 4 millimetri rivettate su di uno scheletro di fitti correnti ed ordinate. Per tenerlo dritto aveva una piccola deriva zavorrata e una vela a picco (simile all’armo di un Optimist) conuna superficie velica di 15 mq come mezzo di propulsione. All’interno dell’uovo c’è una vera cabina con tavolo, cuccette e stufa. In coperta c’è una sorta di ringhiera con una torretta che ricorda quelle dei sommergibili, dove l’equipaggio a fatica e con bel tempo poteva stare all’aria aperta. La velocità di crociera in condizioni ottimali era di 3,5 nodi.
LA NAVIGAZIONE IN ATLANTICO
A bordo dell’Uraed (che significa in norvegese “senza paura”) il primo mese di navigazione andò benissimo, costeggiarono la Scozia e arrivarono quasi a metà strada attraverso l’Atlantico. L’uovo era apparentemente un comodo nido per l’equipaggio. Ma a settembre, persero l’albero. Ma Ole Brude e i suoi tre membri d’aquipaggio non si persero d’animo. Approntarono un armo di fortuna e decisero di puntare più a ovest. Quando si avvicinarono alla costa atlantica, il tempo cambiò in peggio e si imbatterono in una tempesta dopo l’altra.
Alla fine giunsero a St. John’s, Terranova, il 15 novembre, ma St. John’s non era New York, quindi ripartirono di nuovo 10 giorni dopo, imbattendosi in tempeste ancora peggiori. Il 6 gennaio 1905 atterrarono sulla spiaggia di Gloucester, in Massachusetts, un giorno meno di cinque mesi da quando avevano lasciato Ålesund in Norvegia. I cittadini di Gloucester rimasero stupiti quando dall’uovo d’acciaio uscirono quattro marinai maleodoranti, come qualcosa vomitato dal “ventre di una balena”. Non erano arrivati a New York ma erano vivi e vegeti.
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4 commenti su “L’avventurosa storia dell’uovo a vela che attraversò l’Atlantico”
Errore. E da voi non me lo sarei aspettato. L’ optimist è armato con vela di tarchia come i barge del Tamigi insomma.L’ asta si chiama struzza, non è un picco, ma attraversa in diagonale la vela… Buon vento!
La vela a tarchia non ha boma, ma l’asta, detta struzza poggia sull’albero all’angolo inferiore della vela, mentre solleva l’angolo opposto in diagonale che attraversa tutta la vela. L’armo dell’Optimist non è a tarchia, perché ha il boma, e un picco che è armato al terzo dell’albero e non sull’angolo inferiore della randa. Struzza è il nome dell’asta usata nella velatura a tarchia, picco è il nome che si dà all’asta che solleva il “picco” della randa aurica, cioè l’angolo superiore esterno del trapezio e che è inferito in genere ad un terzo sotto il punto di drizza. L’armo dell’Optimist è di norma un armo aurico con boma e picco, ne ho visti attrezzati anche a tarchia. L’accostamento sommario dell’articolista è accettabile perché, a parte il boma assente nell’uovo, in effetti l’armo è più riconducibile al picco che alla vela a tarchia.
Abrami, mettitela via.
Come vocabolario siamo un po’ malmessi.
Quante volte hai letto trainare per rimorchiare?
Marco Pellanda
su wikipedia ho trovato questo su Picco_(vela)
Il picco è l’asta diagonale che serve, in una vela aurica, a tenere alto l’angolo superiore della vela.
Negli optimist è regolabile con un piccolo paranco che riduce a metà lo sforzo.