Dalla lotta contro la leucemia al giro del mondo in barca | Seconda Puntata
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Stiamo pubblicando in anteprima esclusiva alcuni stralci del libro “Altrove” di Paola Turroni (edizioni Lindau), disponibile dal 17 gennaio (e qui in preorder).
Il volume narra la bellissima storia di Michele Piancastelli, operaio in un’importante impresa chimica e velista ravennate che, vincendo la sfida con la leucemia, ha compiuto un’impresa epica con Altrove, una barca di dimensioni ridotte (è lunga 11,60 metri ed è stata costruita nei cantieri Riva-Sarnico nel 1938), antimoderna per eccellenza, con la quale ha fatto il giro del mondo in sette anni, e ha dato corpo a un sogno. In questa puntata, vista la data, il racconto a tema natalizio.
IL MIO PRIMO NATALE IN MARE
Quando sono partito sapevo che sarebbe stata una navigazione lunga. Ero guarito, ero più forte di prima, sentivo il corpo aderire al mio passo. Avevo una documentazione nautica che mi forniva la copertura cartografica fino a Panama. Non avevo un progetto preciso, volevo solo andare un po’ più in là. Sapevo soltanto che non avrei potuto fare ingresso nel Pacifico senza avere le idee chiare. Fino a quando si rimane in Venezuela, si può tornare in Europa, in qualche modo si hanno le spalle protette. Dopo il canale, dopo le Galapagos che sono la prima meta, bisogna per forza andare avanti. Ci sono tremila miglia di acqua, venticinque giorni di navigazione. Cambia tutto, il tempo, le coordinate spaziali, il ritmo dei pensieri, i ricordi. Non potevo fare la traversata atlantica prima della fine di novembre, perché ai Caraibi in quel periodo è stagione di uragani. Avevo calcolato che partendo a fine mese sarei arrivato ai Caraibi con la bella stagione, a metà dicembre.
In quei giorni mi chiamò un amico da Ravenna, Amedeo. Mi espresse il desiderio di fare la traversata con me, e mi raggiunse.
Siamo partiti il 21 novembre, ci separavano 2 100 miglia da Antigua, il porto più vicino. L’aliseo favorevole ci spingeva deciso e costante, quasi scivolando sull’acqua.
Dopo i primi giorni in mare si conquista un ritmo differente. I confini del mondo si dilatano, influendo sul modo di pensare e di respirare, come se anche il nostro corpo e la nostra mente potessero raggiungere dimensioni più ampie. Dopo la seconda settimana si arriva a dimenticare il mondo conosciuto, chi si è stati sulla terra. L’oceano diventa casa, e ogni giorno ci si affaccia dalla barca scoprendo colori diversi del cielo, suoni diversi degli animali, ritmo differente delle onde. Le stelle sono milioni di segni che di notte svelano quel poco che siamo, quella tanta forza che abbiamo.
L’8 dicembre siamo entrati nel porto di Nelson’s Dockyard, nella parte meridionale dell’isola di Antigua. Appena approdati abbiamo brindato e ci siamo abbracciati, emozionati come due bambini che imparano a camminare e fanno le scale la prima volta. Amedeo da lì è tornato a casa e io il 17 dicembre sono partito da solo verso Guadalupa. Desideravo la solitudine.
Avevo una nuova meta, le isole Les Saintes, un rifugio naturale per uccelli, capre e iguane, abitato da pescatori. Poche barche, palme fino alla riva, acqua caldissima. La Vigilia di Natale con l’Altrove all’ancora, ho apparecchiato il tavolino sul pozzetto, con tanto di tovaglia e bicchiere di vino, ho mangiato la pasta col sugo di acciughe, per festeggiare avevo comprato anche i pompelmi rosa. Ero un piccolo re, e vivevo il mio sogno. L’immagine di casa, col freddo e tutti riuniti, così da lontano, aveva un sapore benigno, me la sono goduta a distanza, leggendo i messaggi augurali. Ho bevuto parecchio, prima da solo poi con alcuni pescatori, abbiamo ballato e cantato, un Natale sfrenato, liberatorio. Il mio primo Natale in mare.
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