Golden Globe, l’incredibile storia della madre di tutte le regate oceaniche
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Mentre è ancora in corso la discussa regata del suo cinquantenario, caratterizzata da ritiri, disalberamenti, abbandoni di barche, vi raccontiamo la storia della mitica Sunday Times Golden Globe Race del 1968, che, come vedrete, in fatto di “follia” non fu da meno. (il frame sopra è tratto dal film “Deep Water, la folle regata”: a proposito, potete acquistare il dvd QUI, la storia è tratta dal nostro volume “Avventure e Miti nei Mari del Mondo”, che trovate QUI in superofferta)
Ecco cosa successe in quella che fu la madre delle regate oceaniche, quella Sunday Times Golden Globe Race che consacrò Robin Knox-Johnston e Moitessier e che portò nella tomba Donald Crowhurst. Buona lettura.
ANIME PERSE
Nel 1968 nove “pazzi” partono per il primo giro del mondo in solitario della storia della vela. Cinque si ritirano, due si suicidano e uno (Moitessier) abbandona la regata e fa rotta verso la Polinesia. Vince un marinaio desolatamente normale, Robin Knox-Johnston. Ripercorriamo, attraverso le parole di chi l’ha vissuta, l’incredibile susseguirsi di eventi della Sunday Times Golden Globe Race
“Quando sei sperduto nella Natura Selvaggia e spaventato come un bambino, e la Morte ti guarda diritto negli occhi, e dappertutto ti duole, d’accordo con Hoyle dovresti puntare la rivoltella … e morire. Ma il codice dell’Uomo dice: Lotta finché puoi, e l’autodistruzione è bandita. Nella fame e nella sventura, oh, è facile mollare… è l’inferno servito a colazione che è duro da sopportare”. La vivida immagine che il poeta Robert Service dipinge in questa poesia deve essere passata spesso davanti allo sguardo perso dei nove protagonisti dell’avventura che ci apprestiamo a raccontarvi.
La storia della Golden Globe ha un prologo illustre: il 28 maggio 1967 l’inglese Francis Chichester, sul ketch Gipsy Moth IV, compie la prima circumnavigazione in solitario della storia in soli 226 giorni con un’unica sosta (Sidney). Una grande impresa ma non la più grande, Robin Knox-Johnston, 28 anni capitano della Marina mercantile britannica reagisce alla notizia del record pensando “la sola cosa che resta da fare è la circumnavigazione senza sosta”, aggiungendo che doveva essere un inglese a compierla, lui. Molti altri, a seguito del clamore ottenuto dal record di Chichester, iniziano a pensare all’impresa umana e sportiva.
Avventurieri in cerca di notorietà o di sé stessi, ma anche “gregari” come gli sponsor in cerca di facili profitti. Tra i tanti affaristi il più scaltro si rivela il Sunday Times che, memore dell’impennata di vendite ottenuta seguendo l’avventura del Gipsy Moth IV, anziché scommettere su un unico velista decide di creare e sponsorizzare nel marzo del 1968 la “Sunday Times Golden Globe Race”. Una regata che implica la scalata “a mani nude” delle tre vette più ripide e pericolose dei mari (Capo di Buona Speranza in Sud Africa, Leeuwin in Australia e Horn in Cile). Il percorso comprende le 30mila miglia di Chichester, ma questa volta senza sosta, né assistenza.
Le regole, imprudentemente semplici, considerano in regata chi parte per il periplo del globo da un qualsiasi porto del Regno Unito tra il 1° giugno e il 31 ottobre 1968 (data imposta per evitare l’inverno australe). Il premio è ricco e duplice, un globo d’oro per il primo e 5.000 sterline (circa 100.000 euro di oggi) per il più veloce.
I PRIMI RITIRI
Prendono il via in nove e cinque si ritirano prima di lasciare l’Atlantico. Nell’ordine: John Ridgway, 29 anni, scozzese, capitano dell’esercito britannico (attraversa l’Atlantico a remi nel 1966 con Chay Blyth), approda dopo sei settimane a Recife (Brasile) per l’inadeguatezza della sua barca quando annota sul diario di bordo “Non credo di essermi mai arreso prima in vita mia, ora mi sento umiliato e inetto. Il futuro mi appare vuoto”. Il suo sponsor, The People, altera i motivi dell’abbandono per limitare i danni d’immagine titolando “Ridgway battuto da ondate gigantesche e da venti violentissimi”;
Chay Blyth, 27 anni, scozzese, ex sergente dell’esercito britannico, dichiara prima della partenza “Non so cosa fare alla barca per prepararla al viaggio. La barca mi sembrava a posto, quindi pulisco i fornelli”. Senza alcuna esperienza di vela impara sul campo, nel modo più duro e rischioso, l’arte del navigare. Durante le tempeste si rintana nella sua cuccetta pregando e leggendo un manuale sulle navigazioni oceaniche: “Era come trovarsi all’inferno e leggere le istruzioni per l’uso!”.
Nonostante la sua preparazione approssimativa è la barca a cedere prima di lui al largo del Sudafrica. Scrive: “Ciò che mi porta a infliggere pesanti sacrifici al corpo che Iddio mi ha dato mi affascina da sempre. […] Per me questo era un viaggio alla scoperta di cose nuove e ciò che volevo scoprire era me stesso”. E ancora molto da scoprire, visto che nel 1971 compie l’ultima “vera impresa” rimasta circumnavigando il globo in solitario contro i venti dominanti (solo tre uomini nella storia sono riusciti ad eguagliarlo);
Alex Carozzo, 36 anni, italiano (qui la sua storia), navigatore detto il “Chichester italiano” parte tra i favoriti (ha all’attivo un attraversamento del Pacifico in solitario), ma si ritira prima di poter dimostrare il suo valore a Lisbona per un’ulcera allo stomaco;
Bill King, 57 anni, irlandese, agricoltore ed ex comandante di sottomarini della Marina britannica, parte per “dimenticare sei brutti anni passati a combattere in fondo al mare”, si ferma anche lui in Sudafrica dopo aver scuffiato e disalberato (ritenterà con successo l’impresa nel 1974);
Loic Fougeron, 42 anni, francese, manager di una ditta di motociclette a Casablanca si fa da parte abbandonato dal mezzo presso l’isola di Sant’Elena in mezzo all’Atlantico meridionale.
DONALD & NIGEL
Tra le quattro “anime perse”, ancora in lotta per il trofeo, ci sono Nigel Tetley 45 anni, nato in Sudafrica, capitano della Marina britannica e Donald Crowhurst 36 anni, inglese, tecnico elettronico. Entrambi in acqua con dei trimarani gemelli, si contendono il premio per il giro più veloce. Tetley risale l’Atlantico in vantaggio, ma sente via radio le posizioni di Crowhurst avvicinarsi progressivamente e decide di spingere al limite il suo Victress, già danneggiato dagli Oceani meridionali.
Naufraga il 21 maggio a sole 1000 miglia dall’arrivo, ottenendo però il primato della circumnavigazione del globo su un trimarano. Mai celebrato come meritava dall’opinione pubblica e perseguitato dall’ombra della mancata conclusione della regata, si suicida nel 1972 mentre costruisce la barca per ritentare l’impresa.
Crowhurst, dopo l’inabissamento del Victress, ha in pugno la vittoria per il giro più veloce, ma inspiegabilmente interrompe ogni tipo di comunicazione con la terraferma. Imbarcatosi nell’impresa per salvare dal fallimento la sua società, si rende presto conto dell’impossibilità di affrontare i tempestosi mari del sud con una barca varata in ritardo e già danneggiata poco dopo la partenza.
Indebitato fino al collo, decide di vagare in acque tranquille, fornendo via radio posizioni false in attesa di riprendere trionfante la via di casa. Ma cade vittima della sua menzogna e, per paura di venire scoperto, si lascia cadere in mare. La sua barca, il Teignmouth Electron, viene trovata alla deriva il 10 luglio, a bordo, solo i suoi diari. Negli scritti di 25mila parole deliranti, di poesie, citazioni e coordinate fasulle, ricorre un solo numero, il 243: programma di finire il periplo in 243 giorni; stabilisce un falso record di percorrenza giornaliera di 243 miglia e scrive l’ultima pagina del suo giornale di bordo il 243° giorno di navigazione quando i sensi di colpa lo “soffocano”.
BERNARD & ROBIN
Riepilogando, di 9 iscritti alla regata 5 si ritirano e 2 si suicidano. Restano Bernard Moitessier, 45 anni, navigatore e scrittore francese, e il già citato Robin Knox-Johnston, unici ad aver veramente colto, anche se con modalità differenti, l’anima dei quaranta ruggenti e della navigazione oceanica. Per Bernard, in perenne ricerca di sé stesso, “il viaggio è tutto e la destinazione è nulla”, mentre per Robin proprio il raggiungimento del traguardo, della “destinazione” è la ragione del sublime sacrificio.
Sono evidenti le motivazioni agonistiche e patriottiche di Knox-Johnston, ma per capire la partecipazione di Moitessier dobbiamo fare un passo indietro, quando nel 1963 parte in viaggio di nozze verso la Polinesia. Di ritorno, per raggiungere velocemente i figli, passa da Capo Horn invece che dalle calde e quiete acque di Panama e percorre 15mila miglia senza scalo in 126 giorni di cui 6 giorni di tempesta all’Horn. Mentre il cap-hornier francese scrive di questa impresa, pensando di intraprendere la circumnavigazione mai tentata prima dei tre capi, apprende la notizia della Golden Globe Race.
Nauseato dalla commercializzazione di un’impresa per lui tanto intima, decide comunque di partecipare per non vedersi tagliato fuori. Parte un mese dopo Robin. Il 22 agosto, dopo aver doppiato i tre capi, subìto la collisione con una nave, visto polverizzati gli oblò da enormi frangenti, guardato 3 volte il suo Joshua (nome della barca ispirato a Joshua Slocum, primo grande navigatore solitario della storia) scuffiato nell’acqua e, soprattutto, dopo aver affrontato un tormentato percorso interiore tra onde, squali, albatros e allucinazioni continue, si ritrova a meno di due settimane da Knox-Johnston. Con la consapevolezza della possibile vittoria, prende una semplice quanto stravolgente decisione: compiere un altro mezzo giro del mondo prima di fermarsi!
Gira la prua e, mentre fa rotta di nuovo a sud, riesce a lanciare un messaggio con una fionda su un mercantile di passaggio dove scrive: “E’ mia intenzione continuare la navigazione, senza fermarmi, verso le isole del pacifico, dove c’è sole in abbondanza e maggiore pace che in Europa. Vi prego di non pensare che questo sia il tentativo di battere un record. ‘Record’ è una parola molto stupida in mare. Continuo perché sono felice in mare, e forse anche per salvare la mia anima”.
Robin Knox-Johnston, dopo 313 giorni di mare, è il primo e unico ad arrivare aggiudicandosi il globo d’oro, le 5.000 £ (le devolverà alla famiglia di Crowhurst quando due mesi dopo apprenderà la notizia della scomparsa di Donald in mare), nonché il titolo di Cavaliere (Sir). I funzionari della dogana di Falmouth salgono sulla barca di Robin per le formalità e chiedono quasi con imbarazzo “provenienza?”.
L’uomo, definito prima della partenza da uno psicologo desolatamente normale, risponde semplicemente “Falmouth”. Qui finisce il mito e inizia la storia di centinaia di navigatori che si sono messi sulla scia delle rotte della Golden Globe. Quella che oggi è un’impresa agonistica specializzata, fatta di Gps, Epirb, radar, satellitare, cibi liofilizzati e abbigliamento tecnico, allora si traduceva in un sestante non sempre utilizzabile, una radio spesso solo ricevente causa di lacerante solitudine (i messaggi si lanciavano sulle navi di passaggio con una fionda), una monotonia alimentare compensata da tanto whisky, una tela cerata e maglioni di lana sempre bagnati capaci di portare alla pazzia.
Possiamo insignire i nove partecipanti del titolo di eroi per essere stati i primi, ma soprattutto per aver affrontato “a mani nude” l’ignoto. “Il Joshua fila verso l’Horn sotto lo scintillio delle stelle e la tenerezza un po’ distaccata della luna […]. Non so più bene dove sono, so solo che molto tempo fa abbiamo lasciato dietro di noi le frontiere del troppo”.
GOLDEN GLOBE STORY, L’INFOGRAFICA (clicca per ingrandirla)
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