Perché le vele “portano”? Sfatiamo un po’ di miti da banchina

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In questo “pamphlet” il nostro Giacomo Giulietti ci spiega in modo chiaro perché le vele “portano”, demolendo le chiacchiere in banchina che chiamano in causa l’effetto Venturi…
(foto in apertura: Guido Cantini/Panerai)

Ogni velista che si reputi esperto (per definizione tutti i velisti sono esperti, saggi e soprattutto lo sono molto di più del vicino di barca. Se poi il vicino di barca va a motore non è un vicino di barca, ma una banchina con i parabordi) ogni velista, dicevo, sa perché una barca a vela va di bolina: perché le vele, come ogni profilo alare, quando immerse in aria in movimento sviluppano portanza, per questo le ali degli aerei funzionano e le derive non ci fanno scarrocciare. Fin qui è facile.

Se però si passa al livello successivo e si chiede: “Perché si sviluppa la portanza?”, ecco qui le cose si complicano e soprattutto molti velisti (complici tanti testi, siti e chiacchiere da banchina) danno delle ragioni, talvolta simpatiche o affascinanti, ma, purtroppo per chi le usa, sbagliate. Tanto per cominciare la Portanza è una componente della forza aerodinamica totale sviluppata da un profilo.

L’altra componente è la resistenza (politica, Bella ciao e l’amato presidente Pertini non c’entrano nulla), parallela alla direzione del flusso. È quella che si sfrutta quando si viaggia in poppa a filo ed è quella che in queste circostanze ci vincola ad andare più lenti del vento, ma per stavolta la lasciamo da parte.

Tornando alla portanza, la teoria farlocca più gettonata deriva da una errata applicazione dell’equazione di Bernoulli (la formula che mette in relazione pressione e velocità di un gas intorno a un oggetto: all’aumentare di una diminuisce l’altra e viceversa). È quella tirata in ballo da chi parla di «tempo di transito uguale» o «percorso più lungo».


In breve:
per generare velocità più alte sulla superficie superiore rispetto a quella inferiore, al fine di avere una bassa pressione sopra l’ala e un’alta pressione sotto (da cui anche la storiella che il vento risucchia le vele) i profili aerodinamici sarebbero progettati con la superficie superiore più lunga rispetto all’inferiore perché le molecole d’aria sulla superficie superiore devono raggiungere il bordo posteriore contemporaneamente alle molecole sulla superficie inferiore.

A parte l’assurdità del perché ciò dovrebbe accadere: che le molecole si innamorano di quelle a cui viaggiano vicine e si devono ritrovare alla fine dell’ostacolo? Ma per un velista c’è un altro elemento che basta a non darle credito: dai, l’avete vista una vela sì? Vi siete accorti che è simmetrica sui due lati, giusto? E allora perché dovrebbe avere senso? Certo, potrebbe funzionare per gli aerei, ma allora c’è da capire come fa un aeroplano a volare rovesciato… per spiegare la pressione più bassa sulla superficie superiore e la pressione più alta sulla superficie inferiore con conseguente forza di sollevamento.

L’errore in questa teoria implica la specificazione della velocità sulla superficie superiore. In realtà, la velocità sulla superficie superiore di un’ala con portanza è molto più alta della velocità che produce un uguale tempo di transito: in pratica, le molecole non si ritrovano con i vicini che hanno lasciato all’inizio del profilo. Se conosciamo la corretta distribuzione di velocità, possiamo usare l’equazione di Bernoulli per ottenere la pressione, quindi usare la pressione per determinare la forza.

Un’altra teoria errata (e questa, all’inizio, aveva fregato anche me) utilizza un tubo di Venturi per cercare di determinare la velocità (se si riduce la sezione di un tubo la velocità del fluido che vi scorre aumenta). Ma anche qui, l’avete vista una vela? Diciamo che non sembra proprio un mezzo tubo di Venturi.

C’è anche una teoria errata che usa la terza legge di Newton sul moto (quella dell’azione-reazione che come si vedrà più avanti è la spiegazione corretta), ma solo applicata alla superficie inferiore di un’ala. Questa teoria equipara la portanza all’effetto che tiene a galla un sasso scagliato sulla superficie dell’acqua. Trascura la realtà fisica che sia la superficie inferiore sia quella superiore del profilo contribuiscano alla portanza di un flusso di gas.


La riprova si ha nello stallo
e si capisce meglio immaginando l’ala di un aeroplano: facendo aumentare sempre più l’angolo di attacco del profilo rispetto alla direzione di flusso, a un certo punto il flusso sulla superficie sottovento si stacca dall’ala e si genera lo stallo: l’ala continua a ricevere aria sul lato sopravento, ma perde circa due terzi della sua efficienza, mettendo in difficoltà il pilota. Ovviamente la stessa cosa avviene nelle vele quando sono troppo cazzate rispetto al vento apparente o quando siamo con la prua al vento.

Allora, perché una vela porta? I dettagli reali di come un oggetto generi portanza sono molto complessi e non si prestano alla semplificazione. Per l’aria, dobbiamo conservare simultaneamente la massa, la quantità di moto e l’energia nel flusso. Le leggi del moto di Newton sono affermazioni riguardanti la conservazione della quantità di moto. L’equazione di Bernoulli è derivata considerando la conservazione dell’energia.

Quindi entrambe queste equazioni sono soddisfatte nella generazione della portanza; sono corrette entrambe. La conservazione della massa introduce molta complessità nell’analisi e nella comprensione dei problemi aerodinamici. Per esempio, dalla conservazione della massa, un cambiamento nella velocità di un gas in una direzione determina una variazione della velocità del gas in una direzione perpendicolare alla variazione originale ed è ciò che fa avanzare una barca a vela.


Riportando quindi il discorso a livelli più terreni, anche se si parla d’aria, si può così semplificare.

Le molecole d’aria non sono legate strettamente l’una all’altra come in un solido, ma sono libere di muoversi attorno a un profilo alare che ci si muove attraverso. Quindi la loro velocità può avere valori molto diversi in luoghi diversi vicino all’oggetto. L’equazione di Bernoulli mette in relazione la pressione di un gas alla velocità locale: quando la velocità cambia, cambia anche la pressione, all’aumentare dell’una diminuisce l’altra e viceversa.

Sommando, integrando si direbbe in termini matematici, la variazione di pressione nell’area attorno a tutto il profilo si determina la forza aerodinamica scomposta in portanza e resistenza. Ora, anche sommando la variazione di velocità del flusso intorno al profilo invece della variazione di pressione si determina la forza aerodinamica. Quindi la variazione di velocità attorno all’oggetto è generata dalla curva che il profilo impone al flusso dell’aria.

Scendendo un po’ più nel dettaglio, quando l’aria che procede in linea retta incontra la curva del profilo, per semplicità immaginiamolo circolare, comincia a muoversi con andamento circolare. Ogni oggetto che segua un movimento circolare, anche se ha moto uniforme per esempio viaggia sempre a 10 nodi , ha un’accelerazione centripeta, diretta verso il centro (se non ci fosse significa che l’oggetto sta andando in linea retta).

La fisica spiega che se c’è un’accelerazione, ovvero una variazione di velocità (che può significare, come in questo caso, un cambiamento di direzione e non di intensità): significa che sta agendo una forza che, nel caso del moto circolare diretta verso il centro della circonferenza.

Schema tratto dal testo “La fisica della Vela” del professor Domenico GalliDalla terza legge del moto di Newton (a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria), l’azione di curvatura del flusso si traduce in una re-azione (forza aerodinamica) sull’oggetto. La vela devia il flusso d’aria e l’aria spinge la vela in avanti. È ciò che si sperimenta quando si mette una mano fuori dal finestrino mentre si viaggia in auto: quando inclino la mano verso l’alto, è spinta in alto e viceversa se la inclino verso il basso.

La fisica ci dice anche quanto vale tutto ciò: l’accelerazione centripeta (a) è proporzionale al quadrato della velocità (v) e inversamente proporzionale al raggio di curvatura r a=v2/r, da ciò si ha che la forza, che è massa per accelerazione, esercitata dalla vela sull’aria sarà uguale alla massa dell’aria deflessa per la sua accelerazione centripeta F= ma= mv2/r. Quindi se la vela agisce con questa forza centripeta sull’aria, l’aria agirà con forza centrifuga (la portanza, appunto) sulla vela.

In realtà le cose sono complicate il flusso non è sempre laminare, si creano vortici, il profilo della vela non è circolare, ma la sostanza non cambia. Se volete sapere anche quanto vale, la portanza P è uguale a C ρv2/2 A vale a dire la densità dell’aria (ρ, che per convenzione il riferimento è con aria secca a 15°C di temperatura al livello del mare 1,225 kg/m3) per il quadrato della velocità del vento per l’area della vela A per C che è il coefficiente di portanza adimensionale.

Giacomo Giulietti

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30 commenti su “Perché le vele “portano”? Sfatiamo un po’ di miti da banchina”

  1. Finalmente un articolo che dice la verità, seppur presa su testi universitari.
    Mi aspetto qualcosa di altrettanto serio ad esempio sull’interazione tra randa e fiocco, altro argomento su cui c’è molto da sfatare…

  2. luciano santochi

    Correggerei un errore di trascrizione:
    La densità dell’aria a livello del mare è di 0,125 e non di 1,225 come e stato erroneamente riportato.

    1. Giacomo Giulietti

      Luciano a che unità di misura fa riferimento? In ogni caso per tale numero ci siamo riferiti a quanto emerge dall’International Standard Atmosphere (ISA). In base a tale modello la densità dell’aria (che è la massa per unità di volume dell’atmosfera terrestre) sul livello del mare in condizioni standard di temperatura e pressione e umidità (con aria secca a pressione di 101,325 kPa (1013 mbar, 1 atm) e 15 ° C) è circa 1.225 kg / m³ ( 0,001225 g / cm³). L’ISA è un modello che illustra come la pressione, la temperatura, la densità e la viscosità dell’atmosfera terrestre cambiano su una vasta gamma di altitudini. È stato definito per fornire un riferimento comune per la temperatura e la pressione e consiste in tabelle di valori a varie altitudini, oltre ad alcune formule da cui derivano tali valori. L’International Organization for Standardization (ISO) pubblica l’ISA come standard internazionale. Poi se ci vuole dire dove ha trovato questa misura possiamo rivedere i numeri. Grazie

  3. Fabrizio Giunchi

    Provate a passare un cucchiaio sotto il rubinetto dell acqua e aumentate e diminuite il flusso dell acqua…..capirete tante cose,andavo in optimist e mi ha spiegato queste cose un mio coetaneo. L esempio delle particelle che si separano quando incontrano la vela….. L esempio dello scarroccio coi 3 cubetti di ghiaccio……e altre cose

    1. Giacomo Giulietti

      Vero, Fabrizio, il cucchiaino in sezione è un profilo alare e come tale deflette il flusso di fluido e quindi genera portanza. Se posso permettermi, però, si vede cosa succede, non perché ciò accade. La narrazione delle particelle che si separano non è una spiegazione veritiera, anche se affascinante 🙂 Non conosco, però la storia dei tre cubetti di ghiaccio per lo scarroccio, me la può raccontare, per cortesia?

  4. Giacomo dopo questo articolo interessantissimo ci puoi addentrare anche nel “flusso circolatorio”? Quanto incide sulla velocità dell’aria ?aiuta veramente la portanza? Grazie ciao .Umberto

    1. Giacomo Giulietti

      Potremmo affrontare la cosa, sempre che i fluidodinamici non si sentano offesi 😉
      Scherzo, eh, anzi se qualche esperto di fluidodinamica volesse dire la sua a riguardo, le sue parole sono ben accette.

  5. per chi vuole approfondire, anche se molto teorico ma fatto benissimo consiglio La fisica della vela di Ross Garrett. Trovate risposta a tutto quello che potete immaginare di chiedere e anche di piu’!
    Buona lettura

  6. Ancora un articolaccio, nello stile “Giornale della vela ultimi anni”.
    Vuole sfatare molti miti di banchina e finisce per non dire niente di preciso o dare giustificazioni imprecise e contradditorie.
    Si dice che l’effetto Venturi non c’entri nulla, ma poi si tira in ballo il teorema di Bernoulli, come se le due cose non fossero strettamente collegate.
    Si afferma che in sostanza “L’equazione di Bernoulli è derivata considerando la conservazione dell’energia”, senza considerare che questa stessa affermazione, insieme al principio di conservazione della massa, spiegano l’effetto Venturi.
    E poi, con il principio di Bernoulli si può spiegare la riduzione di pressione sull’estradosso come bilanciamento dell’aumento di velocità (e quindi dell’energia cinetica) delle particelle, ma perchè le particelle dovrebbero accelerare? In fondo si sono contraddette le teorie dei percorsi di idversa lunghezza e dell’uguale tempo di transito, dunque perchè questa differente velocità?
    Facile dire “Se conosciamo la corretta distribuzione di velocità, possiamo usare l’equazione di Bernoulli per ottenere la pressione…”, ovvio!
    Ma se poi non sappiamo spiegare come varia la distribuzione della velocità intorno al profilo, non abbiamo detto nulla. Anche perchè il problema della velocità e della presione è un po’ quello dell’uovo e della gallina: un gradiente di pressione determina una accelerazione delle particelle nella sua direzione, dunque è la pressione a creare la loro accelerazione o è tale accelerazione a creare una depressione?
    Infine, bellissima ma inutile la descrizione del profilo curvo, che non spiega (ovviamente) come la portanza possa crearsi anche su una tavola piatta (quindi con curvatura nulla). Come se non fosse possibile evitare lo scarroccio utilizzando come deriva una semplice tavola di compensato o non fosse possibile far volare un aeroplanino di carta, perchè questa è di spessore trascurabile e piatta!
    Per favore, se non siete all’altezza del compito, astenetevi!

    1. Molto ben detto, Pino.
      L’articolo sembra finalizzato più che altro a dimostrare che “io ce l’ho più lungo di voi …”.
      A voler essere gentili, si potrebbe fare osservare che per poter usare Bernuoilli (che si può e si deve usare!) bisogna introdurre il concetto di tubo.
      Riconosco comunque che l’articolo dà una qualche spiegazione “casereccia” del teorema di Kutta-Joukowski, il che in fondo non è male.
      Per capire qualcosa di concreto, però, eviterei i consueti, continui riferimenti alle ali. L’ala non c’entra NULLA con la vela, se non per il fatto che entrambe sono soggette alle leggi dell’aerodinamica. Associare ali e vele è un pò come associare il peso di una porzione di pasta al lancio di uno shuttle in quanto entrambi hanno a che fare con la gravità. L’ala sfrutta la propulsione (generata dai motori dell’aereo) per produrre portanza. La vela sfrutta la velocità del vento per produrre propulsione.

        1. Giacomo Giulietti

          .g.e.o. grazie del tuo intervento, ma spiegami una cosa: come fanno gli alianti a volare che non hanno motore? Il moto di un profilo in un fluido o il moto di un fluido intorno a un profilo, producono gli stessi effetti, o mi sbaglio?

      1. Giacomo Giulietti

        Egregio signor Pino,
        la natura delle riviste è divulgare informazioni adeguate al proprio pubblico. Una rivista scientifica avrà articoli scientifici, una rivista di nautica avrà articoli di nautica. Lo stile e l’approccio del singolo articolo sono lasciati alla discrezione dell’autore: può piacere o meno, ma è quello che un professionista fa per rendere il suo lavoro più adatto al raggiungimento dello scopo: informare i suoi lettori. Ciò detto, quando si scrive un articolo tecnico/scientifico anche in una rivista di settore, ma che non parla prevalentemente di questi argomenti, ovvero che ha un pubblico non specificatamente preparato ad affrontare certi contenuti, deve per forza di cose semplificare i concetti per renderli comprensibili a (si spera) tutto il pubblico cui ci si rivolge. Un argomento complesso come l’aerodinamica richiede delle semplificazioni, mi passi il termine, estreme in quanto è estremamente complesso. Lei è un tecnico e ha una competenza specifica nell’argomento, ma è uno degli oltre settemila lettori che a oggi hanno letto questo articolo. Magari saranno 500 le presone che conoscono tali argomenti in maniera più approfondita e precisa di quanto è stato detto qua, ma per gli altri 6500 ci sono scritte cose che altrimenti non avrebbero letto.
        Qui, di sicuro in maniera presuntuosa e se vuole spocchiosa, ma non errata, ho cercato di riassumere un mondo di informazioni, studi, teorie, leggi ecc in quelle che una volta si sarebbero dette: un paio di paginette. Non è un trattato di fluidodinamica, è una semplificazione di come certe cose più o meno funzionano. E il “più o meno” è sempre necessario ed è tutto lì.
        Perché se è vero che tutta la fluidodinamica è contenuta nelle tre equazioni di Navier-Stokes è anche vero che “la loro soluzione analitica generale rappresenta attualmente uno dei problemi irrisolti della matematica moderna” come cita Wikipedia al riguardo. In altri termini: esistono, ma si devono per forza “semplificare”, perché se si vogliono utilizzare fino alla più spinta loro applicazione (ancora) non si può. Quindi è vero che quello che scrivo è attaccabile perché parziale od opinabile, ma lo è anche la sua risposta se si entra nei termini specifici (e non le nego che era la prima replica che avevo preparato, che però, per quanto detto sopra, cedeva il fianco ad altre sue critiche che avrebbero potuto essere a loro volta criticabili e così via all’infinito, come nelle migliori discussioni tra fidanzati: tu hai detto questo…., si ma perché tu prima avevi fatto quest’altro… -ad lib….): perché l’aerodinamica, per come si usa, a un certo punto deve semplificare. E poi, alla fine, quando si schematizza, come in questo caso, si portano avanti dei ragionamenti basati su degli assunti semplificati da ciò che accade nel mondo reale dove le variabili sono molte di più di quelle prese qui in considerazione. La stessa questione: è la velocità a generare il cambio di pressione o la pressione a generare la differenza di velocità, come fa giustamente notare lei, può funzionare da entrambi i punti di vista e spesso si usa la semplificazione che fa più comodo per affrontare il problema che dobbiamo risolvere. A me faceva comodo, ai fini stilistici e di attenzione, essere un po’ meno delicato, un po’ più vigoroso nello scrollare il velista e così ho fatto.
        Per l’utente normale, qualsia cosa voglia dire (chi esce in barca e si diverte a fare due bordi ogni volta che può, chi non si nega mai la settimana di crociera, chi insomma non è un tecnico o un “impallinato”, detto con il massimo rispetto per chi cerca di scoprire tutti i segreti della propria passione) tutti questi ragionamenti sono più spunti di chiacchiere al circolo velico piuttosto che di reale utilità. Non gli cambiano il modo di andare in barca. Ciò detto, mi dispiace che si sia sentito disgustato dall’articolaccio e che non ci reputi all’altezza del nostro compito di divulgatori, mi fa piacere notare, però, che è stata la nostra fallacia a darle modo di spiegare come, secondo lei, funziona la portanza ai nostri lettori.

  7. Gianmaria Mondaini

    Tutto molto interessante però nella spiegazone della formula finale non è tutto chiaro a parte il coeficiente di portanza adimensionale “numero al quale non è stato dato un valore”, ma nella formula sembra ci sia un fratto “/2A” che nella spiegione non compare anzi compare un per
    Se è possibile un chiarimento grazie.

    1. Giacomo Giulietti

      Il coefficiente di portanza (CL) è un coefficiente adimensionale che mette in relazione il sollevamento generato da un profilo aerodinamico con la densità del fluido intorno al corpo, la velocità del fluido e un’area di riferimento associata. CL varia una funzione dell’angolo del profilo rispetto al flusso, il suo numero di Reynolds e il suo numero di Mach. Si calcola con la teoria della linea portante o teoria di Pandtl o misurata in galleria del vento.
      Esempio del coefficiente di portanza https://en.wikipedia.org/wiki/Lift_coefficient#/media/File:Lift_curve.svg
      Nella formula della portanza è solo fratto 2; A (l’area del profilo) non è al denominatore. te la riscrivo qua, ma non è possibile formattare la risposta e viene così: P= Cρ(v2/2) A dove V2 è V al quadrato.

  8. In ogni caso, nel passare attorno a un qualsiasi profilo alare (e, sino a prova contraria, una vela è un profilo alare) la massa d’aria subisce un’accelerazione il cui valore, al di là di ogni ragionevole dubbio, vale:
    a = dV / dt = lim ∆V / ∆t

    Per quanto riguarda il valore della densità dell’aria ρ da Lei citato, purtroppo, è errato e la formula della portanza corretta sarà, pertanto, la seguente:

    La portanza è espressa dalla formula L = 0,5 x ρ x V2 x A x CL

    per ogni ρ = densità del fluido = 0,1255 kg*s2/m4 (Manuale dell’Ingegnere G-119)
    = γA/g = 1,23 kg/m3 / 9,81 m/s2 dove γA = peso specifico aria = 1,23 kg/m3
    = accelerazione di gravità
    V velocità (espressa in m/s)
    A Superficie (espressa in m2)
    CL Lift Coefficient

  9. In ogni caso, nel passare attorno a un qualsiasi profilo alare (e, sino a prova contraria, una vela è un profilo alare) la massa d’aria subisce un’accelerazione il cui valore, al di là di ogni ragionevole dubbio, vale:
    a = dV / dt = lim ∆V / ∆t

    Per quanto riguarda il valore della densità dell’aria ρ da Lei citato, purtroppo, è errato e la formula della portanza corretta sarà, pertanto, la seguente:

    La portanza è espressa dalla formula L = 0,5 x ρ x V2 x A x CL

    per ogni ρ = densità del fluido = 0,1255 kg*s2/m4 (Manuale dell’Ingegnere G-119)
    = γA/g = 1,23 kg/m3 / 9,81 m/s2 dove γA = peso specifico aria = 1,23 kg/m3
    = accelerazione di gravità
    V = velocità (espressa in m/s)
    A Superficie (espressa in m2)
    CL Lift Coefficient

    1. Giacomo Giulietti

      Grazie del suo intervento, Salvatore. Soltanto non vedo differenze tra la sua formula della portanza e quella scritta nel testo.
      Per quanto riguarda il ragionamento sulla densità dell’aria lei scrive che “per ogni ρ = densità del fluido = 0,1255 kg*s2/m4 (Manuale dell’Ingegnere G-119)
      = γA/g = 1,23 kg/m3 / 9,81 m/s2 dove γA = peso specifico aria = 1,23 kg/m3”.
      Sotto indica cosa sono le variabili da lei indicate. Tralascia la g, l’accelerazione di gravità (espressa in m/s2), ma credo che sia un errore di copia e incolla
      Spiego, non a lei che magari le sa meglio di me, queste cose, ma a chi magari non ha confidenza con l’argomento, che cosa non capisco. Il peso specifico misura il peso di qualcosa per unità di volume e non la massa per unità di volume come invece fa la densità. Quindi siccome il peso è una forza, ovvero una massa per un’accelerazione, e in questo caso l’accelerazione di gravità, non si esprime in kg, ma in Newton (N), per cui quel valore che indica è dimensionalmente non corretto
      Aria: densità=1,293 kg/m3 e peso specifico=12,68 N/m3

  10. Vorrei scrivere tante cose su questo sproloquio, ma Pino mi ha preceduto riussumendo tutto in due frasi:
    “Ancora un articolaccio, nello stile “Giornale della vela ultimi anni”.”
    “Per favore, se non siete all’altezza del compito, astenetevi!”

  11. Concordo con Pino.
    Se, poi, l’autore non avesse scritto l’ultimo capoverso (“In realtà le cose sono complicate il flusso non è sempre laminare, si creano vortici, il profilo della vela non è circolare, ma la sostanza non cambia. Se volete sapere anche quanto vale, la portanza P è uguale a C ρv2/2 A vale a dire la densità dell’aria (ρ, che per convenzione il riferimento è con aria secca a 15°C di temperatura al livello del mare 1,225 kg/m3) per il quadrato della velocità del vento per l’area della vela A per C che è il coefficiente di portanza adimensionale”), FORSE sarebbe stato un po’ (ma solo un po’) più credibile: non si può terminare un discorso tanto importante dicendo”in realtà le cose sono complicate…”.

    1. Giacomo Giulietti

      Grazie del suo intervento, Giuseppe. C’è una cosa che non mi è chiara, però: perché perde credibilità il testo per la dichiarazione finale? Se non ci fosse stata, le cose dette avrebbero avuto di per sé maggiore valore? E per quale motivo affermare che il discorso è una semplificazione di quanto avviene in realtà (una semplificazione, non una mistificazione) lo rende meno attendibile? Per l’uso che ne deve fare l’appassionato velista le semplificazioni utilizzate nel testo possono essere utili. Anche perché se il lettore è un esperto di fluidodinamica certe cose le sa meglio di chi scrive, ma se è solo un appassionato metterci troppa fisica non aiuta a rendere più comprensibile il discorso.

  12. G. E. O. Aveva iniziato un bel discorso… Poi ha deciso di spararla grande “una vela non ha NULLA a che vedere con un’ala (…) gli aerei sfruttano la propulsione per creare portanza le barche la velocità del vento”. Cioè fai il mestrino evidenziando che sono stati imprecisi e errati su molti punti e che dunque dovrebbero ampliare un po’ le loro conoscenze riguardo ciò di cui parlano…. E poi te ne esci così?! Sorprendente

  13. Cribbio!!! Io credevo di veleggiare, soltanto veleggiare con l’aiuto del vento. E invece mi muovo con la mia vecchia barchetta grazie a formule, teorie e complicazioni varie. Va bene mi adatterò. Però, spiegatemi perché gli
    esperti intervenuti a seguito dell’articolo … non sono d’accordo l’uno con l’altro? Nel frattempo …continuo a veleggiare ugualmente.

  14. Il confrontarsi, come ora sta avvenendo qui (e avviene in tutti i “social”) è comunque sempre positivo e qualcosa aggiunge e/o lascia nel comune sentire di tutti…ovvero della “comunità del Giornale della Vela”. Mi fa piacere vedere che almeno qualche “manciata” di lettori si è preso la briga di confrontarsi su un argomento che è un po’ da “iniziati” ma dovrebbe comunque, perlomeno qualitativamente (anche se non quantitativamente) far parte del bagaglio culturale di ogni velista.
    Per la valutazione “qualitativa” del fenomeno della portanza penso bastino le nozioni di base presenti nel “Manuale dell’Allievo” edito dalla FIV che sono perfettamente in grado di far sfruttare al meglio le caratteristiche aerodinamiche di ogni vela noi si possa montare sulle nostre barche.
    Per quanto riguarda la teoria…non c’è nessuna nuova teoria da enunciare e le uniche equazioni che potrebbero essere utilizzate per descrivere il flusso aerodinamico attorno a un profilo alare (e la vela è sicuramente un profilo alare) sono le cosiddette “Navier-Stokes Equations” che, per la loro complessità e difficoltà di soluzione, è del tutto fuori luogo riportare qui.
    Vari esperti di fluidodinamica stanno lavorando duramente al fine di poter descrivere numericamente il flusso aerodinamico attorno a un piano velico (più o meno convenzionale) grazie alle predette”Navier-Stokes Equations” ma, ahimè, sinora lo sforzo è stato improbo e la differenza fra i risultati ottenuti attraverso il calcolo e quelli determinati sperimentalmente è ancora notevole. Gli sforzi profusi non sono trascurabili e l’obiettivo (economicamente significativo) è quello di arrivare ad ottenere (per via solo numerica) dei risultati che solo le prove in galleria del vento e in vasca navale (entrambi assai costose, soprattutto le seconde visto che è necessario utilizzare modelli in scala 1:3 o perlomeno 1:5 per non incorrere in errori anche clamorosi…vedi i 12m SI “Sceptre” e “Mariner”) e chissà, forse, un giorno qualcuno riuscirà nella ardua impresa…In ogni caso, per chi vuole approfondire l’argomento consiglio “Theory of Wing Sections” di Ira H. Abbott & Albert E. von Doenhoff (Ricercatori presso la NASA).
    Ha ragione Tomaso quando scrive: “spiegatemi perché gli esperti intervenuti a seguito dell’articolo non sono d’accordo l’uno con l’altro” visto che non è ammissibile che ci siano teorie diverse in contrasto fra loro e quindi è evidente che qualcuno sta sbagliando ma non credo si debba arrivare a un “redde rationem” online che sarebbe del tutto fuori luogo.
    La mia esperienza sull’argomento è pratica in quanto, già da molti anni ormai, ho messo a punto un mio VPP nel quale, ovviamente, sono presenti tutte le formule del tipo: L = 0,5 x ρ x V2 x A x CL con i relativi calcoli nei quali bisogna stare molto attenti alle unità di misura utilizzate se si vogliono ottenere risultati che non siano avulsi dal contesto.

  15. Giuseppe Picerno

    Da ingegnere e velista appassionato di fisica della vela trovo l’articolo completamente in linea con le personali convinzioni derivanti da consultazione di vari testi sull’argomento. Vorrei però semplicemente segnalare che la formula 1/2 C ρ v2 A non calcola la Portanza ma la Forza Aerodinamica, essendo invece la Portanza la componente della Forza Aerodinamica nella direzione perpendicolare alla direzione del flusso d’aria che investe la vela, e quindi una frazione della Forza Aerodinamica funzione dell’angolo di incidenza.

    1. Da ingegnere e velista appassionato pure io, sono daccordo con Giuseppe Picerno che è daccordo con Giacomo Giulietti (e quindi sono daccordo con lo spirito dell’articolo). A chi ha la “puzza sotto il naso” chiedo: quali sono le spiegazioni che argomenteresti se l’obiettivo fosse addestrare un equipaggio da regata ? Se non è chiaro l’obiettivo, non c’è soluzione che funzioni.

  16. Giuliano Bujatti

    Complimenti Sig. Giulietti!! Una chiara spiegazione sulla genesi della portanza alla faccia della leggenda metropolitana che vuole ancora l’effetto Bernoulli come la sua causa. La Sua spiegazione è in linea con le teorie più recenti che ho potuto conoscere dopo mesi di ricerca su testi specialistici e in rete; certamente chi è completamente a digiuno di Fisica la troverà complicata ma ripassando pochi argomenti basilari che certamente si studiano alla scuola superiore (vettori e forze apparenti), potrà avere le idee più chiare.
    Ancora complimenti e…. grazie!!!
    Ing. Giuliano Bujatti

  17. Questo articolo è corretto e spiega la giusta ragione per cui una vela genera, in condizioni di funzionamento di progetto, le forze di portanza e resistenza.

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