INTERVISTA Io che ho “inventato” i foil. Parla Guillaume Verdier
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Quando il 6 settembre 2012 l’AC72 di Emirates Team New Zealand volò sui suoi foil nel golfo di Hauraki, in Nuova Zelanda, la vela entrò in una nuova era che ha certamente in Guillaume Verdier il suo massimo artefice. Francese, classe 1970, laurea in architettura navale a Southampton, Verdier ha firmato, tra gli altri, i progetti dei nuovi Imoca 60 dotati di foil, protagonisti dell’ultima Vendée Globe; il 100 piedi Comanche, tra i monoscafi più veloci al mondo; l’AC50 vincitore dell’America’s Cup 2017 con il team neozelandese e i due maxi-trimarani dotati di foil Gitana 17 e Banque Populaire IX. Infine, è tra i principali estensori della stazza del monoscafo-foil con cui si correrà l’America’s Cup 2021.
Com’è nata la decisione di diventare uno yacht designer?
Nel 1978, quando avevo 8 anni, partecipai a Brest, in Bretagna, ai miei primi campi estivi di vela. Il mio istruttore mi disse che sarebbe andato in Inghilterra per frequentare una scuola di architettura navale. Me ne sono ricordato. E quando, dieci anni più tardi, mi annoiavo alle Mathématique Supérieures (una specie di corso post liceo francese, ndr) mi sono detto: “Alt!”. Ho cercato quella scuola. E l’ho trovata all’università di Southampton!
Ha progettato barche di tutte le dimensioni, monoscafi e multiscafi. Quali preferisce: mono o multi? C’è un progetto preferito, al di là del risultato conseguito?
Mi piacciono i mono e i multiscafi. I monoscafi sono molto complicati, specialmente quelli della Vendée Globe perché ci sono molti parametri come assetto, zavorra, inclinazione della chiglia, regolazione dei foil, stabilità dinamica e tanti altri. Soprattutto c’è un fattore umano molto importante da tenere in considerazione. Ma i multiscafi sono macchine incredibili. Mi appassiono a una barca quando il progetto si sviluppa bene e la storia della sua concezione è bella. Stiamo terminando un progetto con il team della Volvo Ocean Race guidato da Nick Bice (responsabile del settore barche e manutenzione, ndr). È stato molto piacevole ed è per noi un’avventura molto bella che avrà come risultato molti nuovi Imoca 60. L’America’s Cup è un’altra cosa, ma è stata anche questa un’avventura molto avvincente. Infine, il maxi trimarano Gitana 17 è per noi un’altra bella storia. Abbiamo l’impressione di essere chi cerca di decifrare codici segreti. Grazie a questo progetto abbiamo trasformato un classico multiscafo oceanico, il Mod 70 Gitana XV, nel mezzo che può davvero volare ed è affidabile che oggi è il Maserati Multi 70 di Giovanni Soldini.
Anche se i vostri progetti sono molto diversi tra loro, sono uniti da un’unica filosofia? Qual è?
Una barca che sia lenta o veloce, monoscafo o multiscafo, con foil oppure senza resta semplicemente un oggetto che segue le leggi del galleggiamento e dell’attrito. Almeno da un punto di vista umano, il nostro studio è unico. Siamo un gruppo di collaboratori che vengono da diversi settori. Non siamo raggruppati in un unico ambito di lavoro. Abbiamo tutti progetti separati ma ci piace lavorare in sieme. Sono i miei collaboratori che decretano il successo di questi progetti. Devo citarli tutti. È molto importante. Ne va della coesione dello studio! Ecco i nomi: Romaric Neyhousser, architetto; Herve Penfornis, strutture, gestione del progetto e coperta; Morgane Schlumberger, strutture e gestione del progetto; Bobby Kleinschmit, architetto e performance; Véronique Soule, fluidodinamica e performance; Nick Holroyd, architetto; Leonard Imas e Romain Garo, entrambi fluidodinamica; Louis Pillot, disegni. Il gruppo dello studio Pure en Structure in Nuova Zelanda è diretto da Giovanni Belgrano e conta su Adam Greenwood, Andy Kensington e Martin Bivoit.
Fino al 2013 non molti conoscevano il nome di Guillaume Verdier. Dall’America’s Cup del 2013 tutti conoscono i foil e “l’uomo che fa volare le barche”. Com’è nata l’idea di far volare il catamarano neozelandese?
Non è stata una mia idea, ma la direzione in cui ci siamo mossi assieme a Emirates Team New Zealand perché sapevamo che lì c’era il maggior potenziale da sfruttare. Tuttavia non sapevamo come risolvere i problemi di stabilità. Ci siamo detti: non sappiamo se ci arriveremo, ma faremo di tutto per arrivarci! Ci siamo messi d’impegno e abbiamo sviluppato ottimi strumenti per comprendere meglio i problemi. Abbiamo tratto beneficio dalle conoscenze acquisite e l’abbiamo unita alla nostra esperienza nelle barche oceaniche per applicarle su progetti futuri. Che oggi significano una ventina di barche per il giro del mondo in solitario.
Quali sono state le difficoltà nell’applicare i foil a un monoscafo? Funzionano meglio con questo tipo d’imbarcazione oppure con un multiscafo?
Abbiamo avuto problemi nel far funzionare i foil su un monoscafo. Oggi si aprono nuove strade e il problema è come sfruttare la potenza che è in mano a una sola persona. O poi, ci sono i problemi di stabilità nel mare formato.
Con i foil che sono diventati elementi dominanti, il design della carena e dello scafo rimane sempre cruciale?
Sì perché le barche devono affrontare anche situazioni meteo di vento leggero. Inoltre la possibilità di una collisione e di danneggiare i foil è piuttosto alta. Quindi lo scafo resta molto importante.
Durante l’ultima Vendée Globe, le barche dotate di foil sono rimaste danneggiate nell’impatto contro gli oggetti alla deriva. Naturalmente, questo incidente può capitare a tutti, ma l’uso del foil è forse limitato alle regate sulle boe che si svolgono in spazi di mare protetti?
Niente affatto. I foil stanno diventando importanti nella navigazione d’altura. Ma, ancora una volta, dobbiamo prevedere gli incidenti provocati da oggetti alla deriva.
E a questo proposito, i multi oceanici sono un’opportunità o un limite? La domanda viene dalle disavventure di Maserati Multi 70 di Giovanni Soldini.
Penso che siano un’opportunità. Giovanni Soldini sta davvero ridefinendo la vela d’altura con dei foil che permettono di volare. Non ci arrendiamo (Verdier lavora a stretto contatto con Soldini e il team Maserati, ndr) nonostante le numerose collisioni subite, specialmente nel Pacifico. E stiamo modificando l’architettura dei foil e dei timoni per proteggerli meglio dagli impatti.
Probabilmente alla prossima Volvo Ocean Race ci saranno anche degli Imoca 60 Open con foil. Come cambierà una barca nata per essere condotta da un solitario quando diventerà uno scafo per la conduzione in equipaggio?
Aumenteranno sicuramente i parametri di stabilità e i sistemi di controllo delle appendici. Non c’è dubbio ci saranno delle alette con effetto di sollevamento sui timoni. L’equipaggio sarà ben protetto dal mare e passerà non poco tempo a regolare le appendici.
Parlando di America’s Cup, avete contribuito a sviluppare le regole di classe del nuovo AC 75. Quali saranno i punti cruciali che faranno la differenza nei diversi progetti?
In Nuova Zelanda avevo incontrato Howard Spencer, un cliente che mi chiese di disegnare una barca monoscafo non convenzionale per navigare nella baia di Auckland. Con Ray Davis (tattico di Emirates Team New Zealand, ndr) avevamo in mente un progetto preliminare. Poi Ray mi ha detto: Guillaume devi togliere la chiglia, c’è qualcosa di troppo in acqua. Alla fine gli dissi che probabilmente avremmo potuto provare a fare come con il monoscafo con doppie chiglie inclinabili di Martin Defline. Quindi ho inserito il piombo nei foil ed erano una volta e mezza più efficienti dei foil abbinati a una chiglia basculante. L’idea è stata presentata in occasione della creazione della regola di stazza dell’AC75 che è stata poi sviluppata da tutto il team. Saranno cruciali la randa che non sarà rigida ma che, grazie a speciali sistemi avrà un certo spessore, la forma dello scafo e i foil. La regola di stazza della nuova barca è abbastanza aperta.
Ad Auckland, nel 2021, per la prima volta, vedremo un’America’s Cup con monoscafi con foil. Ci sarà ancora il circling pre-partenza o sarà impossibile?
Avremo circling e duello stretto!
Se si potranno applicare i foil alle imbarcazioni “normali”, vedremo una barca da crociera firmata Verdier?
Non so se desiderare i foil nella crociera. Ma non sai mai.
Ultima domanda. Progettare, costruire e varare la prima barca è emozionante. Cosa ricorda della prima volta?
Il mio grande ricordo è l’arrivo della Transat Jacques Vabre del 2008, a Salvador de Baja, in Brasile. Marc Guillemot e Charles Caudrelier su Safran 1 fecero una grande gara e Giovanni Soldini con Pietro D’Alì vinse nei Class 40.
Emilio Martinelli
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5 commenti su “INTERVISTA Io che ho “inventato” i foil. Parla Guillaume Verdier”
mi spiace – ma non è questo signore ad aver “inventato” i “foil”
Il 3 dicembre del 1869, l’inventore parigino Emmanuel Denis Farcot depositò un brevetto per una barca a vela concepita per andare più veloce diminuendo la resistenza all’acqua, per il fatto di alzare lo scafo in navigazione: nasce così l’idea chiamata “Hydrofoil”. Una delle prime barche volanti venne progettata dall’inventore italiano Enrico Forlanini, all’inizio del ‘900 sul Lago Maggiore.
fonte: https://www.oasport.it/2013/10/americas-cup-la-storia-del-foiling/
Enrico Forlanini Hydrofoil
The first hydrofoil was designed and built by Italian engineer Enrico Forlanini.
It used a ladder system of foils and a 60 hp engine driving two counter-rotating air props.
During testing in 1906, the craft reached a top speed of 42.5 mph.
fonte: https://www.boatdesign.net/gallery/enrico-forlanini-hydrofoil.552/
CLIC SUL LINK QUI SOPRA PER LA FOTO STORICA
The Real Person!
Gentile Biagio, è proprio il motivo per cui lo abbiamo messo tra virgolette! In passato abbiamo parlato della storia del foiling e anche del grande Forlanini, va detto che Verdier ha portato i foil nella vela d’altura, come recita il sottotitolo, quindi in un certo senso ne ha ‘inventato’ un utilizzo… buon vento e grazie per il Suo commento!
beh alllora “inventato” non è il termine corretto – perché cmq si tratta sempre di foil applicati alla vela
ma vi capisco (anche se non approvo) – ormai le parole non hanno più un senso, soprattutto nei media
la notizia è merce – e va camuffata per motivi di audience/target (business)
vabbé 🙂
Cara Redazione, caro Biagio,
bell’articolo, e personaggio simpatico…
e di certo degli aliscafi a vela Verdier non è stato l’inventore…
Mentre in effetti Enrico Forlanini aveva inventato e soprattutto realizzato quello a motore, nel 1898…
L’americano Robert Gilruth, con Bill Cart, già nel 1939, sembra sia stato il primo a far volare una barca a vela.
Alcuni altri hanno seguito negli anni 60 e 70, con aliscafi a vela interessanti, configurati a canard e catamarani. Nell’offshore il primo è stato Dave Keiper con lo straordinario Williwaw…
In Italia, nel 1978, ormai qualche anno fa, ne avevo progettato e pilotato uno, progetto Swan, costruito insieme all’amico Alberto Rapi. Pionieri in Italia…
Aveva una concezione innovativa per l’epoca: trimarano in acqua, aeroplano in volo. E vedo che oggi i migliori sailing hydrofoils seguono proprio questa configurazione…
I foils erano in titanio…
Volava molto bene.
Sono stato invitato a presentarlo ,
agli appassionati di foils, all’ultima Foiling Week di Malcesine,
l’ho recuperato di recente
e penso che riprenderò a farlo volare….
Un caro saluto
Mario de Miranda
le barche della America’s Cup sono diventate degli oggetti tecnologici compatti la cui competizione non offre piu visione delle tanti componenti umane ma solo la posizione sull’acqua associata a dati IT di velocita’ e distanza rispetto all’avversario.
E’ una conseguenza logica dello sviluppo e ricerca tecnologica.