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La poesia dei ruoli a bordo. Ogni commento a questo capolavoro di Pietro Fiammenghi è superfluo. Da leggere tutto d’un fiato! (foto di James Robinson Taylor che ritrae il compianto Simone Bianchetti in un momento “tuttofare”)
LA POESIA DEI RUOLI A BORDO
La poesia dei ruoli a bordo. Ogni commento a questo capolavoro di Pietro Fiammenghi è superfluo. Da leggere tutto d’un fiato!
LA POESIA DEI RUOLI A BORDO
Davanti a tutti c’è Lui, il divino, il predestinato…il prodiere.
Incarnazione velica della libertà,
tra le sue esperte mani prende corpo il fato,
innanzi al suo gelido sguardo,
si schiudono le sconfinate vastità dei mari.
Il suo non è un ruolo,
è una missione e del suo operato,
rende conto solo a Dio.
Lui è il Creatore e con un semplice gesto materializza il prodigio della resurrezione delle vele dai sacchi,
lui è l’ispirato artefice del miracolo eccelso,
dona e toglie la vita alle vele,
ma è in partenza che il nostro eroe trova la sublime esaltazione.
Come Mosè nel Mar Rosso,
così in quei drammatici attimi
conduce il suo gregge tra le insidie del pre start.
Pontificando col breve gesto della sua ispirata mano
sprona,
frena
e dirige l’intera manovra
ed in quegli attimi di onnipotenza,
il suo già smisurato ego diviene talmente incontenibile da assumere
persino tinte magnanime,
tanto da permettere al suo chirichetto
di rimboccare mestamente il “grembiule” del fiocco.
Al chierichetto spetta l’ingrato compito di materializzare tutti i miracoli
orditi del vate di prua.
E lui issa,
piega,
ammaina,
impacchetta,
broglia e sbroglia tutte le vele
che capricciosamente vengono chiamate.
Lui vive nell’ombra e gli spetta l’ingrato
compito di districare tutto ciò che la natura intreccia.
Sua è la colpa se lo spi si incaramella,
se il tangone si inceppa o se il genoa si bagna.
Se l’intricata matassa si dipana, il merito sarà del divino prodiere,
ma se avviene anche il più piccolo intoppo,
la colpa è già chiaro su chi andrà a ricadere.
Il due vanta infatti un’originale caratteristica:
emergere dall’ombra solo quando avviene l’ errore.
Ma il chierichetto, ha una fede ben salda,
la fatica e le urla non gli pesano:
lui soffre in silenzio perché appartiene ad una setta ristretta,
quella degli apprendisti prodieri.
Fedele come un segugio, silenziosamente osserva
ogni mossa del suo celebrato vate di prua per carpirne i segreti riti
e magari, un giorno, anche il ruolo.
Appena più a poppa armeggia il drizzista.
Lui è un flemmatico pianista.
Dalle sue tastiere sgorga una musica strana,
intonata con la sola intensità del vento.
Pignolo come un farmacista, tormenta continuamente le sue drizze,
le lunghe corde delle sua enorme arpa.
Prima le tira,
poi le molla,
quindi le cazza un poco.
Il suo lavorìo è eterno,
alla costante ricerca della tensione perduta.
Trascorre intere boline ad accordare le sue drizze,
ma appena si avvicina all’intonazione ottimale,
la vela deve essere ammainata
ed il certosino lavoro iniziato da capo.
Quando si arriva in boa poi,
il laborioso musicista diventa Figaro:
tutti lo vogliono,
tutti lo cercano.
Deve issare lo spi con una mano,
ammainare il genoa con l’altra,
lascare base randa con la bocca
e filare quattro centimetri di drizza col piede.
Ma alle spalle del pianista,
sempre pronti a coglierne il più piccolo errore, vivono loro,
i famigerati sail trimmer.
Loro sono due romantici visionari.
Vivono prigionieri di un utopia, riprodurre la forma
ideale, quella che da piccoli videro in sogno.
Da allora osservano le vele in struggente contemplazione,
si compiacciono della forma ottenuta,
avanzano il punto di scotta di due millimetri,
lascano un pizzico il meolo del genoa,
pretendendo l’ennesima regolazione alla drizza.
Sono fatti così, sono i depositari dell’ “ala perfetta”.
Ma dove raggiungono l’apoteosi,
è quando si gonfia lo spinnaker.
L’ enorme pallone gonfiato racchiude a stento la smisurata autostima che i due rabdomanti del vento hanno di se.
E più sono tronfi,
più le cuciture si tendono nello sforzo vano di contenere tanta sapienza.
Alle loro spalle siede il povero randista.
Lui ha tra le mani un problema grosso come una casa.
Tira su il carrello,
lasca la scotta,
cazza il vang,
pizzica il cunningham ma non c’è niente da fare,
il riverbero del sole sulla randa continua a dargli noia.
Il randista è come un pescatore che ha preso un pesce enorme.
Cerca di sfiancarlo ma la sua è una lotta impari,
in cui la bestia non si arrende mai.
A lui è capitata la più grossa sfortuna:
gestisce il timone che la barca ha nel vento ma a differenza di
quello vero, che sta ben nascosto sott’acqua, il suo, tutti lo vedono.
E ognuno dice la sua.
Più il vento sale, più i consigli aumentano:
su di carrello,
cazza la base,
prendi il paterazzo.
Ogni filo d’aria offre all’equipaggio l’atteso pretesto per tormentarlo.
Di poppa o di bolina, di lasco o di traverso il supplizio non ha tregua.
La sua vela, l’immane randa, è infatti come la iella:
non si ammaina mai.
Appena più dietro, rovescio sul timone,
tra introspezione ed autismo siede lui.
Il sensitivo,
il leggendario,
il divino timoniere.
Vive in una realtà unica, compressa in uno strato sottile,
un mondo laminare dominato da filetti fluidi in perenne scorrimento.
Li vede entrare dal dritto di prua,
li sente vibrare lungo il mascone di sottovento,
li percepisce fremere lungo la carena e
li accarezza mentre risalgono lungo la pala del timone.
Gli pervadono la mano,
gli percorrono il braccio invadendogli l’intero corpo
per sfociare finalmente nel cervello,
dove si mescolano all’altra acqua che vi trovano dentro.
L’abilità maggiore risiede proprio nel fluttuare armoniosamente assieme
ai filetti stessi e, vibrando come uno spermatozoo,
il divino timoniere cerca la sua boa neanche fosse l’ovulo da fecondare.
Lui non parla, geme. Non timona, freme.
Non regata, compone, lui che del moto ondoso è sia lo scultore che il pittore.
Alle sue spalle, appollaiato nel suo eremo,
si erge torvo l’essere umano straziato dal dubbio.
Pur non muovendo un solo dito,
sopporta stoicamente tutto il peso della regata.
Lui è il tattico,
la mente creativa,
l’amletico.
Lui realmente non è sulla barca,
lui vive più in alto,
con la testa tra le isobare.
Orzare o poggiare, virare o strambare: questo il dilemma.
Dei massimi sistemi,
della vulcanologia,
del buco dell’ozono,
della tettonica a zolle,
della stessa volta celeste, è il grande analizzatore.
Le sue sudate meningi, del vento vivono ogni singulto,
ne ricercano il ritmo,
ne studiano il respiro,
per poi finalmente prendere la grande decisione:
facciamo come gli altri.
(Pietro Fiammenghi)
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