Cade in mare e muore alla Volvo. La nostra ricostruzione

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Volvo Ocean Race, 1.400 miglia a ovest di Capo Horn, settima tappa, quella che da Auckland (Nuova Zelanda) porta gli equipaggi partecipanti al giro del mondo a tappe a Itajaì, in Brasile. Il vento soffia a 35 nodi, la temperatura dell’acqua è a 9 gradi. Sono i terribili oceani del sud, dove si rischia la vita.

Alle 15,40 italiane John Fisher, velista inglese di Sun Hung Kai/Scallywag sale in coperta per il suo turno e contemporaneamente al Race Control di Alicante gli uomini di guardia stanno prendendo un caffè, in Spagna è una bella giornata di sole e nessuno può immaginare che quello sarà il giorno più triste della Volvo Ocean Race.

John Fisher nella sua muta di sopravvivenza, scotta in mano, pensa che quella è una tipica giornata dura da Oceano del Sud e non è il caso di lamentarsene troppo, questa regata l’ha voluta e l’ha cercata… ha 47 anni, è un velista esperto che ne ha già viste tante (è nato a Southampton ed è cresciuto a pane e vela: è la sua prima Volvo ma gli oceani li ha già cavalcati in lungo e in largo) e adesso è lì, scotta in mano, con 35 nodi e un mare da paura (onde 4-5 metri), tonnellate d’acqua in pozzetto…Questa è una regata da veri duri, che sanno di dover mettere alla prova tutta la propria resistenza. All’improvviso arriva un’onda brutta, la barca parte in una planata infinita schiantandosi sull’onda successiva e partendo in strapoggia con conseguente strambata involontaria.

Sono le 15.42, John cade fuoribordo. Una tragica fatalità nei pochi secondi in cui si era slegato per andare a sistemare a prua il Code 0 frazionato (FR0), che era issato ma avvolto e necessitava di essere liberato dalle scotte.

Si sa, in queste condizioni sopravvivere in acqua è praticamente impossibile. La luce naturale è buona, ma vedere un uomo a mare con questo mare è difficilissimo, con la barca lanciata a tutta velocità poi… Sentire eventuali urla anche, a causa del vento gelido.

Il direttore di regata riceve la peggiore delle notizie possibili, c’è un uomo in mare nei 50 gradi sud, dal momento in cui riceve la notizia inizia uno spietato conto alla rovescia, una clessidra inesorabile che conta il tempo – pochissimo, una manciata di minuti – che manca prima dell’ipotermia

Secondo i comunicati ufficiali, le ricerche sono ancora in corso, è stata dirottata una nave in zona, l’equipaggio del VO 65 Sun Hung Scallywag si sta invece dirigendo verso la costa sudamericana. Il comitato di regata non ha ritenuto opportuno dirottare gli altri equipaggi in gara (200 miglia sottovento rispetto a Scallywag) sul luogo dell’incidente per aiutare le ricerche, viste anche le difficili condizioni meteo.

Ma alcuni media neozelandesi sostengono che la ricerca di John Fisher, il cui nome va ad aggiungersi, sotto a quello dell’olandese Hans Horrevoets, scomparso in mare nell’edizione 2005-2006, nella lista delle vittime del Giro del Mondo, siano purtroppo terminate. Sono i terribili oceani del sud.

Buon vento, John!

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8 commenti su “Cade in mare e muore alla Volvo. La nostra ricostruzione”

  1. 35 nodi in poppa quando voli a 20 nodi NON sono condizioni terribili dell’oceano del sud. Sono le condizioni ottimali ricercate da skipper e stratega meteo. sono la normalità, in cui spesso a volte, temo, capiti di non legarsi. perchè si è stanchi, o distratti. e mi ci metto io per primo che spesso in quelle condizioni e in quelle acque andavo a fare l’ispezione mattutina del rigging senza legarmi (con una barca diversa)… è tanta sfiga. e magari però su queste barche-sottomarino qualcosa diciamolo… buon vento, John..

  2. Continuo a non capire perché su queste barche, che sono così veloci e bagnate, non vengano installati abitacoli di protezione simili a quello che ho progettato e costruito sul mio open 50 “Vento di Sardegna” per l’ultima Ostar, che mi ha salvato dal freddo e dalle ondate di quella terribile tempesta soprannominata dai metereologi canadesi “the perfect storm”, ma soprattutto mi ha salvato la vita.
    Non c’è nulla di entusiasmante nel prendere infinite ondate in pozzetto perché l’infinito calcolo delle probabilità riesce sempre a portarsi via uno skipper in quasi tutte le edizioni.
    É una morte orrenda, come tutte le precedenti, che oggi forse si sarebbe potuta evitare.
    Non c’è cintura di sicurezza che possa proteggere quanto un abitacolo vetrato, progettato e costruito per condizioni estreme.
    Le mie piu sentite condoglianze alla famiglia di John e a tutte le persone a lui più vicine, con l’augurio che non si debbano perdere più uomini in mare con le tecnologie e le conoscenze che abbiamo oggi.
    Andrea Mura

    1. Non si può che essere d’accordo con l’analisi di Andrea, è una domanda che mi sono posto da sempre. Non ha nessun senso, e solo maledettamente stupido. Non c’è nulla di entusiasmante nel prendere infinite ondate (la gara non è chi ne prende di più) in pozzetto con la probabilità che si perdano delle vite umane.
      Purtroppo è nuovamente accaduto.
      Non mettere la sicurezza al primo posto è stupido, maledettamente stupido.
      R.i.p Fisher

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