Maurizio Testuzza, il genio timido delle superbarche
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“Le barche le so costruire, ma il marketing non fa per me”. Con questa frase Maurizio Testuzza, 63 anni, architetto e project manager titolare del cantiere Adriasail di Fano (PU) descrive alla perfezione sé stesso. Zitto zitto, “dietro alle quinte” come dice lui, ha seguito i progetti delle barche più innovative della storia della vela italiana dalla fine degli anni ’70 ad oggi. Lontano dai riflettori, ha messo le mani, tra le altre, sul Moro di Venezia, sull’Open 60 Fila di Soldini e persino sul daysailer del “cafonauta” Gianluca Vacchi. Tra gli addetti ai lavori è considerato il re delle barche su misura performanti. Nessuno – si dice – sa costruirtela “buona alla prima” come lui.
Architetto, quando ha capito che le sarebbe piaciuto costruire barche?
Galeotto fu… un rotolo di moquette. Le spiego: da giovane mi divertivo a bordo delle derive, mentre compivo gli studi da perito aeronautico, per poi iscrivermi ad architettura. Un giorno, per conto di mio padre, sono andato a portare un rotolo di moquette su un 22 metri, che negli anni ’70 era considerata una “barcona”, progettato da Giorgetti & Magrini. Salii a bordo e mi innamorai. Quando sono tornato a Milano ho detto a mio padre: “Papà, mi interesserebbe capire come vengono costruite le barche”. Era il 1979: complice il fatto che Giorgetti & Magrini si stavano trasferendo da Camogli a Milano, feci un colloquio da loro e mi assunsero.
Un esordio mica male.
Verissimo. Lo studio a Milano, entrò in un business ricco e promettente. Abbiamo realizzato barche di alluminio che erano all’avanguardia per i tempi. Ad esempio, il 30 metri Jupiter del finanziere Francesco Micheli, Yellowfin dell’avvocato Motta, Pilar per un noto banchiere. Poi La Barca Laboratorio di Claudio Stampi che ha fatto la Whitbread dell’81-82, e nell’84-85 le due Italia per la Coppa America 1987: la prima a Varazze da Baglietto, la seconda a Fano. All’epoca mi occupavo di pura progettazione, poi sarei passato al project managing.
E a Fano cambiò qualcosa…
Mi innamorai della realtà fanese e mi trasferii, in un cantiere che costruiva barche per Magrini. Intanto, nell’87, ebbi modo di seguire il team di Italia in Australia, diventando amico di tutti i velisti e in navigatori impegnati in Coppa. Verso la fine dell’89 arrivò la chiamata di alcuni amici milanesi (tra cui Sebastiano Morassutti, uno dei pionieri delle costruzioni in composito, ndr) che mi chiedevano se fossi interessato a unirmi al team di Raul Gardini per il Moro di Venezia. Magrini mi disse solo “vai!”, allora partimmo in camper, nella nebbia, alla volta di Venezia con mio figlio di un anno e mia moglie con in grembo un altro bimbo che sarebbe dovuto nascere a breve. Sono stati i sei anni più importanti della mia esperienza nautica, quelli passati al cantiere Tencara di Marghera. Budget illimitato, collaborazioni importanti, test e prove. Il sogno di ogni progettista. Ero entrato nel mondo tecnologico, quello vero. All’inizio ricoprivo un ruolo di “pianificazione”, poi mi ritrovai a seguire la costruzione. Uscivo con gli equipaggi e provavo le barche, studiavo le stazze. Divertente, molto divertente.
Tutte le cose belle hanno una fine.
Il suicidio di Gardini, la mia sensazione che Tencara non avrebbe potuto riciclarsi in modo competitivo (una superstruttura ha dei supercosti) fecero sì, due anni dopo la campagna del Moro (Testuzza ha fatto in tempo a seguire la costruzione della barca della Marina Militare e di Brooksfield, con cui Mauro Pelaschier e compagni presero parte al giro del mondo 1993-94, ndr), che decidessi di tornare a Fano, dove rilevai il cantiere CNB. O meglio, me ne accollai i debiti. Ma grazie alle mie conoscenze di Coppa, riuscii subito a lavorare sodo, costruendo i due 56’ di Frers. Acquistai un capannone più grande e presi al volo l’occasione di realizzare l’Open 60 Fila per Giovanni Soldini (grazie anche all’intercessione del comune amico Andrea Romanelli).
Era solo l’inizio di una catena di soddisfazioni…
Mentre seguivo Fila come project manager, venne da me lo staff di Luca Bassani: all’inizio dovevamo “solo” realizzare quel capolavoro Wally che fu Magic Carpet, la prima barca di Lindsay Owen-Jones. Ma io e Luca ci trovammo bene al punto che sfornammo ben 14 Wally! Il cantiere andava bene, finimmo per essere 200 persone, sfornavamo tre 80 piedi l’anno.
Poi le strade sue e di Luca si divisero…
Non mi andava di legarmi esclusivamente a Wally: proposi a Luca di comprare il cantiere, e così fece: da allora nacque Wally anche a livello di produzione. Rimasi a lavorare come direttore tecnico ancora per un po’, ma come era inevitabile, finii per sentirmi stretto in uncantiere che prima era stato mio.
Così nacque l’avventura Adriasail.
Creai il cantiere nel 2003, puntando tutto sulla realizzazione di barche su misura e performanti: la prima fu un 49’ di Felci che costruii per me. La barca che ancora posseggo e a cui non cambierei nulla. Andò bene, al punto che ne realizzammo sei. Negli anni abbiamo siglato collaborazioni importanti: B-Yachts (lo Studio Brenta), Frers (nel 2008 abbiamo costruito il Mandrake di Giorgio Carriero) Italia Yachts, Del Pardo, Advanced. Ora con Marco Veglia e Vittorio Malingri stiamo costruendo un catamarano custom…
Eugenio Ruocco
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