Tabarly e l’amore per il Pen Duick I: “Finché morte non vi separi”
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Vi stiamo presentando, in ordine di tempo, quelle che secondo noi sono le 30 barche mitiche della storia della vela. Hanno fatto imprese, riuscite e non, hanno segnato la storia dello yachting moderno, hanno stupito perché hanno osato anticipare i tempi. Non le troverete mai esposte in un museo reale, noi ve le mostriamo, vi raccontiamo le loro incredibili storie e vi invitiamo a votare online la vostra preferita.
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Oggi vi parliamo del Pen Duick I, la barca-amore di quello che avete eletto l’anno scorso come più grande marinaio di tutti i tempi: Eric Tabarly.
IL PEN DUICK, L’AMORE DI TABARLY
Eric Tabarly nasce a Nantes il 24 luglio del 1931, con il 75% di sangue bretone nelle vene: (sarebbe dovuto venire alla luce a Quimper, dove il padre Guy era agente della General Motors, ma quest’ultimo pochi mesi prima della sua nascita si trasferisce a Blois, nel dipartimento della Loir-et-Cher). A soli sette anni, avviene l’incontro con il suo vero amore, quello che lo accompagnerà per tutta la vita e che, come vedremo, gli sopravviverà: il Pen Duick I, un “cotre franc” di 15,05 metri in legno disegnato dal grande William Fife III nel 1898.
Nella pasqua del 1938 è in vacanza a Préfailles, in riva al mare, con papà, mamma Yvonne, la sorella Annick. Guy li porta a Basse-Indre, dove è in vendita la barca, che allora si chiamava Butterfly . Vecchia di quarant’anni, in male arnese, aveva già collezionato undici proprietari: costava troppo mantenerla ed era abbandonata in un canneto. “Con la mia logica di bambino avevo pensato: ma non è mica il posto giusto per una barca”, scrive il Bretone nel suo “Memorie del largo” (pubblicato da Mursia nel 1998). I Tabarly si innamorano dell’imbarcazione, la acquistano e la rinominano Pen Duick. Sono anni di occupazione tedesca, i Tabarly vengono sfollati.
Il Pen Duick, mentre Guy è mobilitato, viene disarmato e trasferito sul fiume Odet, dove viveva il marinaio che aiutava a bordo. Finisce la Seconda Guerra Mondiale, i genitori tornano a Blois, il giovane éric va in collegio: la barca rimane a marcire nel fango. Verso la fine degli anni ’40, è ormai un rottame e i Tabarly non hanno le risorse per operare un refitting radicale, così la mettono in vendita. Ma Eric, innamorato del suo Pen Duick, scoraggia l’unico potenziale acquirente. Nel 1952 si arruola nell’Aviazione Navale. Questo è anche l’anno che consolida l’amore tra lui e la barca: il padre vuole vendere il piombo della chiglia, il Bretone si oppone e gli propone di farsi carico delle spese di ristrutturazione con la prossima paga di militare. Guy s’intenerisce e regala al figlio il Pen Duick. “Sarai il tredicesimo proprietario. Questo forse ti porterà fortuna”, gli dice.
Nel ’55 éric è in Indocina come pilota d’aerei della Marina: ha bisogno di soldi per mantenere la sua amata, che decide di ristrutturare fasciandola in vetroresina, una scelta molto in anticipo sui tempi (la vtr invederà il mercato delle barche di serie intorno alla metà degli anni ’60). Ad aiutarlo nei lavori i succitati fratelli Costantini: “Ci pagherai quando potrai”, gli dicono. Il Bretone, uomo di parola, esaurirà il suo debito nel 1963. Da lì in poi, una lunga serie di progetti avveniristici, sempre con il nome di Pen Duick, dal secondo in poi. E i successi: due Ostar, tantissime regate oceaniche e record.
LA MORTE IN MARE
In tutti questi anni di regate intorno al mondo, Eric, che ha contribuito ad “allevare” generazioni di grandi velisti (Marc Pajot, Olivier de Kersauson, Philippe Poupon tra gli altri) non ha mai abbandonato il suo Pen Duick I. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno stava navigando sulla sua amata una trentina di miglia al largo di Milford Haven (Galles): il Bretone era diretto in Scozia, dove avrebbe dovuto partecipare al centenario dei progetti di William Fife.
Assieme a lui un equipaggio poco esperto: il vento aumenta con raffiche fino a 30 nodi, il mare è formato. Tabarly sale sulla tuga per ammainare la randa e issare una vela più piccola: durante la manovra, la barca straorza, sbanda ed éric cade in mare, forse colpito dal picco della vela. Non aveva né il salvagente né una cintura di sicurezza: “A bordo non obbligo nessuno a portarla, perché per pretendere qualche cosa dagli altri bisogna anche dare il buon esempio” aveva scritto. “Invece io mi rifiuto di mettere la cintura di sicurezza. Il mio ragionamento è semplice: preferisco sparire in pochi minuti, invece di rovinarmi la vita a bordo per via della cintura di sicurezza”. E così è stato. Al buio e con il mare agitato, tutti i tentativi di recupero da parte dell’equipaggio sono vani. Non poteva che scomparire in mare, mentre era a bordo della sua amata il più grande marinaio della storia.
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