Il valore dell’esperienza: intervista a Emanuele Cecchini
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“Quando lasciai Harken nel 2007, dissi a Peter (Harken, ndr) che avrei voluto lanciarmi in un master. Ora Peter mi ha chiamato dicendomi che secondo lui il master era durato abbastanza a lungo“. Così scherza Emanuele Cecchini, nuovo direttore commerciale di Harken Italy, sui “retroscena” del suo ritorno. Cresciuto a Roma ma varesino di adozione, classe 1964, Cecchini ha un lungo palmares di successi velici. Perché ci vuole anche un manager velista per portare avanti (insieme al direttore generale Andrea Merello) un’azienda creata da velisti (Olaf e Peter Harken) per i velisti.
LA NOSTRA INTERVISTA A EMANUELE CECCHINI
Emanuele, quando è iniziato tutto?
“Vado in barca da quando ho cinque anni, dato che faccio parte di una famiglia di velisti. Ho iniziato sul lago di Bracciano, poi mi sono spostato verso Cala Galera, che negli anni ’80 era un vero e proprio paradiso della vela. Ho regatato su Three Quarter Tonner, Half Tonner, Swan, monotipi quali Mumm 30, 36 e Melges 32. Ho preso parte a diverse Admiral’s Cup, Sardinia Cup, Mondiali Maxi e ai Mondiali 50′, che tra l’85 e il ’95 erano la vera anticamera della Coppa America. Sono stato a bordo di molti Moro di Venezia Maxi, ma le barche a cui ho legato la mia attività da velista sono soprattutto i Mandrake di Giorgio Carriero, con cui, tra l’altro, ho vinto anche alcune Sardinia Cup e molto altro”.
La tua nuova avventura in Harken: che progetti avete e quali sono i prodotti su cui punterete maggiormente nel futuro prossimo?
“La mia nuova avventura in Harken Italy, in realtà, è un ritorno. Ho iniziato la mia carriera “commerciale” in Harken nel 1996 per proseguire poi come direttore commerciale e Marketing di Cantieri del Pardo dal 2007 e, nella stessa posizione, in Adriasail Custom Yachts dal 2008 e Eligio Re Fraschini dal 2011. Adesso, sono tornato. Se il mondo delle regate è nel dna dell’azienda, va detto che stiamo implementando ulteriormente anche il lato “crocieristico”, con soluzioni dedicate a chi va in barca per piacere. Facciamo ricerca per sviluppare prodotti che garantiscano la maggior sicurezza e semplicità d’uso, sia in regata che crociera: se entrate nei laboratori dell’azienda resterete sorpresi nel vedere la quantità (e la qualità) delle soluzioni rivolte ai crocieristi al vaglio dei tecnici.
Qualche tempo fa abbiamo sviluppato l’ESS il sistema di settaggio automatico delle vele, in collaborazione con il gruppo BJ. Ancora più recente è il Flatwinder, ovvero un sistema di regolazione elettrica automatica (tramite un pulsante) del carrello della randa. Abbiamo anche una nuova serie di bozzelli dedicati alla crociera che sarà lanciata il prossimo inverno”.
Ce’è dell’altro?
“Va aggiunto che abbiamo aperto un nuovo settore di business, quello che noi definiamo ‘industrial’, con sistemi per le linee vite degli edifici e attrezzature d’avanguardia per i lavori in quota: è un settore in crescita”.
Qual è il prodotto che ha stupito maggiormente Emanuele Cecchini tra gli ultimi sviluppati da Harken?
“Quando sono tornato in azienda sono rimasto stupito dagli Airwinch (il rivoluzionario ‘winch con il buco’ usato anche in Coppa America e sviluppato e prodotto nella sede di Harken Italy), che secondo me rappresentano lo stato dell’arte nel panorama dei verricelli: un prodotto futuristico ma futuribile, che potrebbe essere declinato nel mondo della crociera. D’altronde nessuno credeva nel rollafiocco o nel sistema Battcar alla fine degli anni ’70, ora è impensabile non montarli”.
In che modo metterai al servizio dell’azienda la tua esperienza velica?
“Continuando a fare come ho sempre fatto: il modo più indicato per farsi venire delle idee, è navigare. L’esperienza diretta è la miglior musa ispiratrice: navigando in crociera o in regata ti vengono in mente soluzioni che in futuro potrebbero tramutarsi in nuovi prodotti. Ad esempio qualche giorno fa ho pensato che si potrebbe… top secret. Per ora”.
Sponsorizzazioni? Aiuterete qualche velista o navigatore?
“Harken non ha mai messo in pratica sponsorizzazioni specifiche, la nostra logica è… o tutti o nessuno. Quello che abbiamo fatto in passato, e che continueremo a fare, è aiutare il ‘vivaio’ supportando i velisti giovani, nel mondo delle derive”.
Qual è il tuo velista mito?
“Non ho un velista mito vero e proprio, ho avuto la fortuna di navigare con i più forti del mondo e ognuno mi ha insegnato qualcosa. Ho avuto modo di apprezzare i pregi (e perché no, conoscere anche i difetti) di ciascuno di loro. Ma visto che mi chiedi di fare due nomi (senza cognomi): Gianni, che mi ha insegnato ad andare in crociera (e fidatevi, non è per nulla semplice) e Giorgio, a cui devo il metodo nella gestione degli aspetti tecnici riguardanti una barca a vela da regata”.
La tua barca mitica?
“Ho navigato tanto, per cui è difficile. Sono legatissimo alle barche della serie Mandrake, ma una barca che mi ha davvero tolto il fiato quando ci sono salito sopra fu il maxi Helisara VI del maestro Herbert Von Karajan: interni incredibili, soluzioni pazzesche per quei tempi. Va detto che amo molto le barche che ‘osano’, sia in termini di evoluzione tecnologica che progettuale: così come sono rimasto impressionato dai nuovi catamarani di Coppa America o dai bolidi che presero parte a “The Race: No Limit Around The World” (il giro del mondo a vela con equipaggio, senza scali e senza assistenza su barche non sono sottomesse ad alcun limite di dimensione), ho avuto modo di apprezzare barche “avanti” come gli Open 60 (quelle che partecipano al Vendée Globe, vere e proprio Formula Uno degli oceani)”.
Dato che, come ci hai raccontato, vai spesso in crociera, quali sono i tuoi luoghi del cuore?
“Sicuramente la Sicilia e la Sardegna. I colori del mare che sono in grado di offrirti, soprattutto fuori dalla stagione turistica, non li trovi da nessun’altra parte al mondo. Né ai Caraibi, né in Pacifico. Io amo navigarci soprattutto in maggio o giugno e a settembre…”.
Cosa ne pensi della nautica in Italia?
“Mentre ti sto parlando sono negli Stati Uniti, a New York. Qualche giorno fa ho visto un tripudio di barche a vela, piccole e grandi, a Hyannis Port, in Massachussets. Stesso spettacolo a Newport. Ho visto porti attrezzati, banchine, semplici moli in legno affollati di barche. In Italia non è così. Possibile che un paese circondato dal mare non riesca a dotarsi di un sistema turistico-nautico competitivo? Perché non abbiamo un ministero del mare? Perché non abbiamo ancora capito che il turismo nautico potrebbe essere una opportunità per tutti ? Dobbiamo rendere il nostro Mediterraneo appetibile agli stranieri, ma dobbiamo farlo in sinergia, con un’organizzazione ragionata e non con sporadiche iniziative unilaterali. L’esempio sono le Baleari, diventate un punto di riferimento per i nordeuropei, che vi tengono la barca”.
E.R.
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