Come sono cambiate le “superbarche” dal 1895 a oggi? La nostra analisi

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barcheCompilando il “museo virtuale” delle 30 barche mito della storia della vela (a proposito, qui scoprite le loro storie, qui potete votare la vostra preferita), abbiamo avuto modo di analizzare come e quanto siano cambiate le tipologie di barche che hanno compiuto imprese mitiche.

Lo spray di Slocum

DALLO SPRAY A… IDEC
Pensate al giro del mondo: lo Spray di Joshua Slocum era una piccola barca per la pesca delle ostriche (lunga 11,20 metri, larga 4,32 e pesante nove tonnellate), che impiegò tre anni, due mesi e due giorni per circumnavigare il globo (1895-1898).

Il maxi tri Idec Sport II

Centodieci anni dopo, IDEC Sport II di Francis Joyon, maxi trimarano di 29,7 metri, compì il giro del mondo in 57 giorni, 13 ore, 34 minuti e 6 secondi, impiegando esattamente un ventesimo del tempo rispetto allo Spray.

L’AVVENTO DEL METALLO
Cosa è successo nel mezzo? Innanzitutto si sono evoluti i materiali. Il legno, piano piano, ha lasciato spazio prima all’alluminio e all’acciaio: ad esempio, il ketch di 40 piedi Joshua di Bernard Moitessier, con cui il grande navigatore partecipò al Golden Globe del 1968, era in acciaio;

British Steel di Chay Blyth

come pure British Steel (letteralmente “Acciaio Britannico”, il nome della compagnia statale metallurgica inglese) dello scozzese Chay Blyth, primo marinaio ad aver intrapreso il giro del mondo in solitario contro i venti dominanti nel 1971. Una tendenza che prese piede anche nel mondo delle regate oceaniche: pensate al Club Mediteranee, mastodontico monoscafo quattro alberi di 72 metri con cui Alain Colas si presentò alla Ostar del 1976: 280 tonnellate di alluminio! Questo mostro verrà ridicolizzato dal Pen Duick VI di Eric Tabarly, lungo “solo” 22,25 metri e anch’esso in alluminio.

SI RISCOPRONO I MULTISCAFI
Nel frattempo, qualcosa stava cambiando anche nella configurazione degli scafi, con sempre più skipper affascinati dal mondo dei multi, più veloci e performanti: tra i pionieri proprio Tabarly, che nel 1979 si fece costruire Paul Ricard, trimarano in alluminio dotato di foil (fu precursore anche su questo).

Amaryllis, la creazione del genio Herreshoff

Una novità che veniva dal passato quella dei multiscafi: a livello di regate, il primo catamarano sportivo fu ideato e costruito nel 1876 da Nathael Herreshoff, il “mago di Bristol” le cui barche vinsero sei America’s Cup. Il 26 giugno 1876 alla Centennial Regatta di New York si presentò al timone del catamarano di 33 piedi Amaryllis e alla prima regata doppiò l’intera flotta di monoscafi (ma venne squalificato a seguito delle proteste dei concorrenti).

L’Open 60 Fila di Giovanni Soldini

I COMPOSITI
Torniamo ai materiali: a partire dagli anni ’70 l’impiego del metallo, nel mondo delle regate (sia oceaniche che tra le boe), venne sostituito in gran parte dai vari sviluppi dei compositi (a partire dalla vetroresina). Si pensi ad esempio al mondo degli Open 60 in giro per il mondo con l’Around Alone (conquistata nel 1999 da Giovanni Soldini su Fila: l’unico italiano ad aver vinto una regata intorno al globo fino ad oggi), il Vendée Globe, la famosa Whitbread (giro del mondo in equipaggio a tappe) poi diventata Volvo Ocean Race. Progressivamente, poi, hanno fatto la loro comparsa gli scafi dotati di rinforzi in fibre aramidiche (e successivamente, come nel caso dei recenti VO65 per la Volvo o i TP52, con lo scafo quasi interamente in carbonio).

barche
Reliance

PIANETA COPPA AMERICA
Un discorso a parte merita la Coppa America, che ha sempre viaggiato su un binario differente e che quasi sempre è stato fonte di ispirazione per il mondo della vela “normale” e oceanica (basti pensare ai foil, riscoperti in occasione della 33ma edizione nel 2013 e ora diffusi a macchia d’olio, tra IMOCA 60, derive, maxi trimarani e persino tentativi di barche da crociera). In Coppa se ne sono viste di tutti i colori: a noi ha colpito in particolar modo, ad esempio, Reliance, un altro capolavoro del già citato Herreshoff con cui gli yankee difesero con successo la vecchia brocca nel 1903. Una barca lunga 27,4 metri al galleggiamento e 60 fuori tutto, bompressi compresi.

Il J-Class Rainbow

Poi il periodo degli spendidi J-Class, che ancora oggi accendono i cuori dei tradizionalisti, le classi metriche (come i 12 m S.I., tra cui Azzurra e Australia II), primo esempio di una sorta di “box rule” all’americana, terminato nel 1987 a Fremantle (dove i neozelandesi si presentarono con Plastic Fantastic, il primo 12 m Stazza Internazionale in fibra di vetro invece che in alluminio). Dopo la grande farsa di San Diego ’88 (maxi monoscafo neozelandese contro mini cat americano) venne introdotta la International America’s Cup Class (IACC). Questa nuova classe, che gareggiò per la prima volta nel 1992 (l’edizione in cui il Moro di Venezia fece sognare l’Italia) rimase in uso fino al 2007: poi, l’anarchia. Le ale rigide, i foil, le barche volanti.

Il Kon Tiki

DALLA ZATTERA ALLE SUPERBARCHE FRANTUMA RECORD
Infine, abbiamo avuto modo di verificare l’evoluzione eterogenea delle barche “caccia-record e imprese”: dal Kon Tiki, la zattera a vela in legno di balsa con cui Thor Heyerdahl raggiunse la Polinesia dal Perù nel 1947 al gommone a vela di Alain Bombard, il “naufrago volontario” che attraversò l’Atlantico nel 1952 (fonte di ispirazione per i fratelli Amoretti, che compirono la traversata nel 1999 su due auto imbottite di polistirolo!).

Findomestic

Dal piccolo Mini 6.50 Findomestic con cui Alessandro di Benedetto si lanciò nel giro del mondo tra il 2009 e il 2010 a Speedboat, uno dei più famosi maxi senza compromessi costruito su progetto di Juan Kouyoumdjian esclusivamente per stracciare record sulle lunghe distanze, simbolo di una nuova generazione di superbarche (Comanche, Wild Oats, Rambler 88…). Per non parlare del mondo in continua evoluzione dei maxi trimarani, volanti (Maserati, Gitana 17) e non (Macif, Sodebo, Idec…)…

Eugenio Ruocco

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