Simone Bianchetti, il marinaio che sarebbe diventato un mito della vela
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Ha ammainato improvvisamente le vele nella notte del 27 giugno 2003, in porto, a Savona. In piena bonaccia, mentre si godeva un raro riposo “terrestre” assieme a sua moglie Inbar e agli amici. Proprio lui, caphornier di razza, coraggioso navigatore solitario, primo italiano ad aver concluso il Vendée Globe. Simone Bianchetti manca, in tempi di foil e skipper milionari, barche astronavi, Paperoni da banchina. Manca a tutti i velisti, che hanno persino organizzato una regata di Mini 6.50 in suo nome per ricordarlo a Cervia, dove era nato nel 1968. (foto sopra: James Robinson Taylor)
C’è un bel libro, curato da Fabio Pozzo (Edizioni Longanesi e TEA), “I Colori dell’Oceano”, che dipinge alla perfezione il navigatore romagnolo tramite i suoi stessi scritti e i contributi dell’amico e mentore Cino Ricci (che di lui ebbe a dire: “Doveva nascere mezzo secolo fa, sarebbe stato un eroe”). Lo skipper di Azzurra ha modo di conoscere le doti di Simone quando, dopo una Barcolana, deve trasferire il suo Verdone (un 14 metri in alluminio planante) da Trieste a Ravenna: Bianchetti si propone di farlo, ma da da solo. è un ragazzino ma Cino gli dà fiducia, nello sconcerto generale. Fiducia che il giovane marinaio ricambia arrivando a Trieste senza problemi. Un solitario per vocazione, con un pallino in testa: doppiare Capo Horn e partecipare al Vendée Globe, il mitico giro del mondo in solitario a vela. Ci è riuscito a 32 anni, ma ha iniziato a preparare questa impresa da quando ne aveva quindici.
D’altronde, che cosa ti puoi aspettare da uno che per andare a scuola usa la barca? Bianchetti ogni mattina salpa all’alba da Cervia sul suo Penelope (uno sloop in legno di sei metri del 1922), diretto all’Istituto Professionale Navale di Cesenatico, sei miglia in totale. Se c’è maestrale, bene. Altrimenti entra in ritardo e buonanotte al secchio. Nel weekend, sempre da solo, fa prua verso Rimini o Bellaria. Per il puro piacere di navigare e stare da solo con la sua barca che “mi riempiva dentro, cullato dal rumore del legno. E allora partivo davvero, per mari e isole lontane”.
Intanto, Simone legge. Conrad, Melville, Verne, Salgari. London. Il Penelope si insabbia a due passi da casa, a sedici anni si compra un quarta classe IOR, il dieci metri Attax (progetto di Peter Norlin), poi con un gruppo di amici fonda il Condor Club: con il Nonsisamai (un ULDB di 50 piedi) partecipa a tante regate d’altura in Adriatico, togliendosi delle belle soddisfazioni. Dopo il diploma a Cesenatico, ottiene il titolo di capitano di lungo corso presso il collegio navale Giorgio Cini di Venezia. Due anni in Marina completano il suo percorso di uomo di mare “istituzionale”.
Passano gli anni ma il tarlo nella testa rimane. Finalmente decide di iscriversi al BOC Challenge, il giro del mondo in solitario a tappe, un anno prima della partenza, prevista il 17 settembre 1994. La barca è sempre il Nonsisamai, ribattezzato per l’occasione Town of Cervia. Simone arriva a Charleston (USA), dove parte la regata, dopo un’impegnativa navigazione di due mesi dal Mediterraneo alle coste statunitensi. Ci sono anche Giovanni Soldini (che chiuderà sesto assoluto) e Isabelle Autissier. Bianchetti parte subito male: ha problemi con il sandwich della chiglia a prua, che si è schiacciato quando la barca è stata invasata in malo modo a Charleston e il pilota automatico fa le bizze. Costretto a rientrare, riparte con due giorni di ritardo. E dalla chiglia entra acqua, che Simone è costretto a sgottare di continuo con un secchio. Il 23 ottobre è all’Equatore (la Autissier lo stesso giorno arriva a Città del Capo), per la prima volta: è risalito fino alla quinta posizione ma la falla a prua lo costringe a uno scalo tecnico a Joao Pessoa, in Brasile.
Dopo 69 giorni e 12 ore (34 giorni dopo la Autissier) arriva, in quindicesima posizione, ottavo di classe, nel porto sudafricano. Simone inizia con frenesia i lavori per rimettere in bolla Town of Cervia, ma complici anche i cattivi rapporti con i sudafricani, che provano a truffarlo nella riparazione di una vela, tutto procede a rilento. La flotta riparte il 26 novembre, lui il 3 dicembre. Fa 60 miglia e la sentina è di nuovo allagata: viene trainato a terra, dove i giudici gli impediscono di riprendere il mare per raggiungere Sydney. “Le vele ammainate sono un sipario che si chiude sulla mia vita”, scrive, “fine dello spettacolo”.
La sosta forzata in Sudafrica rappresenta il momento più buio nella carriera di Simone: ormeggia Town of Cervia in un molo a fianco di un pub di cui diventa presto un habitué. Non ha soldi, la sopravvivenza è assicurata da un piatto caldo alla Seaman’s Mission, la Casa del Marinaio. Si vende tutto, a volte guadagna spiccioli sbarcando tonni su un peschereccio. E beve, tanto da essere conosciuto nella zona come un ubriacone. Finisce persino all’ospedale con la febbre altissima, quando viene dimesso trova ospitalità in una baraccopoli di neri, dividendo un tugurio con una famiglia, tra scarafaggi, tanfo e miseria.
Per sua fortuna si innamora di Jennifer, una ragazza del luogo, la quale gli dà la forza di risollevarsi. Alcuni amici italiani di Città del Capo lo aiutano a pagare i suoi debiti, e Simone si riappropria di Town of Cervia. Salpa di notte, saluta Jennifer e promette che tornerà e, a caso, fa rotta verso l’isola di Sant’Elena.
Si sente rinato perché navigare è la sua ragione di vita. Da Sant’Elena raggiunge Ascensione, dove fa il pescatore per sbarcare il lunario. Risalendo l’Atlantico verso nord, contro gli Alisei, riesce a raggiungere il Senegal. Alla foce del Gambia scuffia in un banco di melma ma, incredibilmente, riesce a rimettersi in assetto. Arriva alle Canarie, poi Tangeri, in Marocco, Gibilterra e infine Savona. Tornato a Cervia tra la gioia degli amici è costretto a fare i conti con la sua disastrosa situazione finanziaria, la casa di famiglia è a rischio pignoramento, così vende la barca. Ma a terra proprio non ci sa stare.
Si rivolge allora ai fratelli Ricci, Cino e Renato, e chiede loro in prestito il Mini 6.50 Kidogo: con la barca, ribattezzata Generali-Town of Cervia, intende partecipare alla Mini Transat del 1995, l’Atlantico in solitaria su un sei metri e mezzo, allora il percorso era da Brest (Francia) a Fort de France (Martinica). Si qualifica facile in Mediterraneo e una volta partito, va forte. Ma dopo quattro giorni di regata, la barca rallenta: una gomena attorcigliata attorno al bulbo! A Madera chiude la prima tappa ventisettesimo, male. Ma vince la regata di prologo prima della traversata vera verso la Martinica, è un buon segno: chiude decimo, primo degli italiani, nonostante un guasto ai generatori abbia messo fuori uso gli autopiloti e l’esplosione di un ballast. Appena tornato a Cervia, annuncia di voler prendere parte alla Ostar (2.800 miglia tra Plymouth e Newport).
Ancora una volta si rivolge a Cino: “Dammi il tuo Verdone, farò grandi cose!”. Ricci tentenna, poi cede. Bianchetti accorcia la barca, aumenta la superficie velica, cambia l’albero, introduce le paratie stagne. La barca, rinominata Town of Cervia-Merit Cup, si schiera sulla linea di partenza il 12 aprile 1996. La regata è durissima, il freddo polare. Arriva a New York quasi in trance, perde subito conoscenza. All’ospedale appena si sveglia chiede “Come sono arrivato?”: gli dicono bene, secondo di classe. Appena torna si lancia nella Québec-Saint Malo 1996 e riesce a raggranellare i quattrini per prendere parte alla Solitaire du Figaro 1997, affittando la barca: il percorso prevede cinque tappe di 300 miglia nella baia di Biscaglia e il Fastnet, a bordo dei Figaro, barche monotipo. Simone chiude a metà classifica, poi si lancia nella Route du Rhum 1998, 3.500 miglia tra la Francia e le Antille. La affronta a bordo del 60’ Telecom Italia TNT, progetto di Vittorio Malingri. Arriva decimo, in 27 giorni, poi si pende una pausa “terrena”.
Nel senso che va a regatare sui carri a vela nel deserto della Mauritania, per la Transat des Sables 1999, 800 chilometri su cinque tappe. Quattordici partecipanti, uno muore disidratato. Simone scappa dal deserto per tornare a Cervia e preparare la sua sfida più grande, il Vendée Globe. Manca un anno alla partenza e non ha né la barca né lo sponsor. Chiede al Vaticano, poi persino a Gheddafi (avrebbe voluto battezzare la barca Town of Tripoli), ma il dittatore rifiuta. Affitta uno scafo approfittando infine della sponsorship di Aquarelle, un’agenzia di vendita di fiori online, compie la prova di qualificazione alla Rochelle e per Simone il sogno si avvera. Sarà giro del mondo in solitaria. Saranno 25.000 miglia in mare. Parte da Les Sables d’Olonne nel novembre del 2000, subito arrivano i “soliti” problemi al pilota automatico, poi la rete da pesca nel bulbo, ma tutto sommato Aquarelle scende bene l’Atlantico e doppia Capo di Buona Speranza.
Una burrasca lo coglie dopo le isole Crozet, nella notte del 27 dicembre: tragedia sfiorata, barca stesa, i serbatoi della nafta si aprono impedendogli di respirare. Invece riesce a risollevare la barca mollando la drizza randa e il 31 dicembre si lascia alle spalle anche Capo Leeuwin. l’estremo lembo sud occidentale dell’Australia. Una pericolosa inclinatura lo costringe a una notte fermo al riparo dell’isola di Stewart, in Nuova Zelanda, ma il Pacifico gli è amico e finalmente arriva Capo Horn. “Eccolo, è lì davanti a me. Lo vedo e non ci credo. è da 15 anni che aspetto questo momento, sono pronto a ricominciare la mia vita”, scrive.
Chiude il Vendée dodicesimo, primo italiano ad avercela fatta, in 121 giorni. Ma la sua vittoria è stata quella di diventare caphornier. Simone ripeterà l’esperienza all’Around Alone del 2002/2003, il giro del mondo in solitario a tappe, su Tiscali 8chiuderà terzo). La morte improvvisa in porto a Savona lo strappa a 35 anni a una sicura carriera da eroe dei mari.
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1 commento su “Simone Bianchetti, il marinaio che sarebbe diventato un mito della vela”
Grande Marinaio, ho avuto occasione e fortuna di condividere, mare, barche, ma soprattutto la sua amicizia. Grande Simone.
Esistono ancora copie del libro?
Forse bisognerebbe ristamparlo !