Siamo tutti Team New Zealand: che la stella di Peter Blake brilli forte nel cielo

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Peter Blake

Il nostro racconto inizia da una scena: è il 13 maggio 1995, sulla baia di San Diego splende il sole e la superficie dell’acqua è increspata da una brezza leggera e dalla solita onda lunga. C’è un grosso yacht tra le barche spettatori, a bordo ci sono dei signori vestiti con abiti distinti, sono gli esponenti di spicco del San Diego Yacht club e hanno la faccia tetra, grigia. In mare si è appena consumata un’umiliazione nazionale, forse anche peggiore di quella inflitta dagli australiani nel 1983. “Big Bad” Dennis, al secolo Dennis Conner ma conosciuto anche come “Mr. America’s Cup”, l’ha persa di nuovo, ma questa volta il botto è fragoroso.

Un momento della finale tra Black Magic e Young America

Poco distante, a bordo di una barca tutta nera, ci sono degli uomini che stappano una bottiglia, si abbracciano e gioiscono: sono a bordo di una barca che ha fatto la storia della vela mondiale, Black Magic NZL 32, e hanno appena demolito, fatto a pezzi, l’orgoglio velico a stelle e strisce, battendo per 5-0 nella finale dell’America’s Cup il defender Young America, timonato da una vecchia conoscenza italiana, il “baffo” Paul Cayard. Tra gli uomini in festa ne scorgiamo alcuni, portano i nomi di Russell Coutts, Brad Butterworth, Tom Schnackenberg e con loro c’è un signore biondo, con grandi baffi. Si chiama Peter Blake e tra pochi giorni entrerà ad Auckland in piedi sul tetto di una macchina, ad attenderlo un intero popolo, per mostrare la Coppa, la Vecchia brocca, l’unica ed inimitabile America’s Cup. Il mito, la leggenda, di Team New Zealand ha appena preso forma.

L’arrivo ad Auckland della Coppa

Cambiamo scena. E’ il 20 febbraio 2000 e ci troviamo nel golfo di Hauraki, Auckland, Nuova Zelanda. C’è una barca italiana, Luna Rossa, che sta facendo sognare e conquista le prime pagine dei giornali. E’ veloce, molto veloce, ed ha appena battuto in una finale sfidanti da tregenda il “baffo”, Cayard con la sua America One, per 5-4, conquistando il diritto a sfidare Black Magic e Team New Zealand. Questa volta i kiwi si presentano con NZL 60, una barca esteticamente bruttissima: molto larga, con slanci strani a poppa ed a prua ed un “ginocchio” antiestetico sotto il flesso di prua. Gli “espertoni” da bar sentenziano subito: “è fatta, i neozelandesi hanno costruito una barcaccia, non vorranno mica batterci con questa “cosa” tutta bozzi?”.

Parte il primo match, Coutts e Butterworth difendono la destra e non mordono troppo in partenza, De Angelis e Grael partono lanciati a sinistra. Al primo incrocio, nella notte italiana, il pubblico salta in piedi sui divani: Luna Rossa è avanti di mezza lunghezza. Torben Grael, mure a sinistra, non può forzare l’incrocio, va in “Lee Bow”: Luna Rossa vira appena sotto la prua di Black Magic per rimbalzare i kiwi e farli tornare a destra, convinta di tenere il lato buono a sinistra. Pochi minuti dopo un nuovo incrocio, ma questa volta nella notte italiana cala un silenzio spesso. Black Magic è in vantaggio, nettamente, incrocia comodamente davanti alla prua italiana, Brad Butterworth chiama la virata in marcatura.

Cala una notte nera, senza stelle, su Luna Rossa. L’America’s Cup match, di fatto, finisce qui. Il resto è un assolo, monotono, di Team New Zealand che gioca come un gatto con il topo durante tutta la serie che finirà inevitabilmente 5-0. Troppo veloci, troppo tutto i neozelandesi. La leggenda a questo punto è completa. Team New Zealand difende con successo la Coppa dopo averla strappata agli americani. Un intero paese contribuisce all’impresa, spingendo idealmente e materialmente la propria barca verso la vittoria.

Un paese dove la vela è sport nazionale, un paese che ha di fatto resistito al tradimento di quelli che ormai vengono definiti come nemici della patria. Si, perché quel Russel Coutts che contribuì in maniera decisiva alla nascita del mito Team New Zealand non ha saputo resistere al fascino della ricchezza. Prima a bordo di Alinghi portò via l’America’s Cup alla sua nazione, poi al servizio dei dollari di Larry Ellison fino alla pazza America’s Cup volante che sta per iniziare.

Ma Team New Zealand, per sua fortuna, non era solo Russel Coutts e Brad Butterworth. Team New Zeland era ed è lo spirito del compianto Peter Blake. Team New Zealand è quella fucina di talenti velici che oggi ha portato a bordo del nuovo AC50 due giovani come Peter Burling e Blair Tuke, probabilmente i due velisti più talentuosi della prossima Coppa America. Team New Zealand è lo sguardo paterno di Grant Dalton.

Team New Zealand è quel sindacato che è riuscito a tornare in piedi dopo la batosta della sconfitta per 9-8 nell’America’s Cup di San Francisco, quando alla gloria mancò appena un miglio, riuscendo a rialzarsi dopo una beffa che avrebbe tagliato le gambe a chiunque.

Team New Zealand è l’unico sindacato a non essersi allineato ai dettami di Oracle e per questo rappresenta al momento l’unica concreta speranza di un rientro dell’Italia in Coppa America. Team New Zealand, ancora oggi rappresenta un paese intero che si stringe intorno ad una barca, poco importa se essa sia un monoscafo o un cat volante, dove a bordo il più delle volte salgono quasi esclusivamente ragazzi neozelandesi.

Team New Zealand ed i pedali: è il tormentone di questa vigilia e la tipica spy story da Coppa America

Ed allora cari amici, indossiamo i calzini rossi di Peter Blake, perché questa volta siamo tutti Team New Zealand. La Coppa America è ad un passaggio chiave: un triplo salto verso il futuro, probabilmente inevitabile, ma gestito non nell’interesse di tutti i velisti e delle nazioni coinvolte ma del business. Non discutiamo i contenuti tecnici di quest’America’s Cup, probabilmente molto validi, perché prima attendiamo di vederla. Contestiamo i modi e la prepotenza del Defender che ha abusato della storia del trofeo velico più antico che esista. E’ un fatto di stile, di toni, di modi: tutte cose che nella vela, anche nell’era dei foil, dovrebbero continuare a contare qualcosa.

Ed allora cari amici c’è bisogno ancora di tanto Team New Zealand, i kiwi devono vincere questa coppa. I kiwi devono, e possono, darci la soddisfazione di vedere le facce dell’arrogante James Spithill e del “traditore” Russell Coutts sconfitte. Per riportare tutto ad una dimensione più normale, per riportare tutto ad una sana e leale competizione tra nazioni con il pubblico che torna ad emozionarsi. Poco importa se il futuro sarà su un monoscafo o su un multiscafo. Poco importa se dai foil, senza ombra di dubbio, non si tornerà indietro chiunque sia il vincitore. Oggi siamo tutti Team New Zealand. E che la stella di Peter Blake brilli forte nel cielo per indicare la via ai suoi ragazzi.

Mauro Giuffrè

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3 commenti su “Siamo tutti Team New Zealand: che la stella di Peter Blake brilli forte nel cielo”

    1. Ragazza del West

      Lucrezia nel’95 a San Diego Paul era si’ al timone di Young America che era stata prestate a Conner…
      Era la Young America con la sirena dipinta lungo tutto lo scafo…Tu star force pensando ad Auckland!

  1. Ragazza del West

    Lucrezia nel’95 a San Diego Paul era si’ al timone di Young America che era stata prestate a Conner…
    Era la Young America con la sirena dipinta lungo tutto lo scafo…
    Tu stai forse pensando ad Auckland!

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