Il VELAFestival è Cult! Ecco sette pezzi di storia che potrete ammirare a Santa Margherita
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Il VELAFestival 2017, Santa Margherita Ligure 4-7 maggio, sarà anche l’occasione per tutti gli appassionati di vela di potere ammirare in banchina alcune imbarcazioni cult che hanno fatto la storia dello yachting mondiale. Si, avete capito bene, non stiamo parlando di semplici barche in esposizione ma di veri e propri pezzi di storia ancora naviganti. Le potrete ammirare, fotografare, potrete parlare con i loro armatori e conoscere la loro storia, anche per questo vale la pena essere al VELAFestival!
ARPEGE SULA
Tutto ha inizio nel 1967. Un certo Michel Dufour, un architetto-ingegnere francese di La Rochelle in Vandea ha un’intuizione che rivoluzionerà la filosofia di costruzione delle barche a vela. La sua esperienza lo porta a sviluppare un progetto innovativo: uno scafo con un baglio massimo di notevoli dimensioni rispetto alle abitudini dell’epoca. L’idea di Michel Dufour è ancora oggi attuale. Con l’Arpège, nel 1967, nasce la moderna barca a vela da crociera, ma con ottime caratteristiche corsaiole. Infatti nello stesso 1967 un prototipo in vetroresina costruito e timonato da Michel Dufour vince la 12° edizione della Coppa Atlantica per barche di 18 piedi di rating con ben 16 nazioni partecipanti. Convinto della buona riuscita del suo progetto, Dufour fece costruire le prime barche in vetroresina di serie dal Cantiere Stratifiè Industriel a La Rochelle. Solo in seguito diede al cantiere il suo nome e iniziò a realizzare gli Arpège: 1600 scafi prodotti dal 1967 al 1978, in varie versioni. Il nome Arpège derivò da una combinazione con il profumiere Lanvin che produceva il notissimo profumo Arpège, ancor oggi in vendita nelle profumerie dopo cinquan’anni. Ospite tra le nostre “Barche Cult”, Sula, un Arpège del 1972 appena messo a posto e così raccontato dal suo armatore: “La barca è stata da poco restaurata, quest’anno ricorre il cinquantesimo anno dalla nascita del mitico Arpège, e con mio padre insieme ad un gruppo di amici, dopo mesi di duro lavoro in cantiere, siamo riusciti a ridarle nuova vita. Basti pensare che erano dieci anni che la barca era in secca dopo aver affrontato negli anni precedenti un giro del mondo”. Per venerdì 5 maggio, durante la serata dei campioni che vedrà la premiazione dei Velista dell’Anno, stiamo organizzando un grande tributo per i 50 anni dell’Arpége.
STAR IN OCEANO
“Ormai attraversano l’oceano anche in vasca da bagno, non capisco perché non si possa farlo in Star”. Non fa una grinza, il ragionamento di Dario Noseda, lariano di Mandello (Lecco). A bordo della mitica barca, classe olimpica dal 1932 al 2012, nel prossimo novembre (presumibilmente all’1 al 5) salperà da Las Palmas di Gran Canaria in direzione Bahamas, quasi 3.000 miglia in solitaria e dai 20 ai 30 giorni di navigazione. La Star di Dario è stata appositamente modificata per tentare l’impresa e la potrete venire a vedere dal 4 al 7 maggio a Santa Margherita: e ci sarà anche Dario, pronto a rispondere a tutte le vostre domande! “Innanzitutto”, esordisce, “abbiamo rinforzato l’attacco di scafo e coperta e chiuso quasi tutto il pozzetto. Di modo tale che tolto lo spazio per il timoniere (io), si crei uno vano coperto a prua dove potrò dormire. Una sorta di abitacolo di sopravvivenza reso stagno. A prua abbiamo chiuso il foro che permetteva la regolazione dello strallo, l’albero non è più passante ma termina in coperta. Ovviamente la base d’albero è stata rinforzata con piastre antitorsione”. Anche gli attacchi del timone sono stati rinforzati. Inoltre “abbiamo predisposto un secondo timone di emergenza con agugliotti e femminelle”. L’albero, è stato realizzato da Massimo Tagliaferro. Spiega Noseda: “E’ più corto di un metro rispetto a quello originale e anche il boma è ‘tagliato’ di un metro. A poppa è stato costruito un carrello rialzato per la scotta della randa. E’ sopraelevato cosicché io possa agire senza intralcio qualora dovessi utilizzare il timone di emergenza a poppa). Abbiamo lasciato le volanti, a prua invece abbiamo montato tre stralli. Su ognuno è armata una vela rollabile diversa. Il tradizionale fiocco da Star, una tormentina e un asimmetrico in stile ‘drifter’ sperando di avere per la maggior parte del tempo l’aliseo alle portanti”. Per quanto concerne l’energia di bordo, Dario potrà contare su tre pannelli solari e, probabilmente, su due piccoli idrogeneratori (“ma forse non ne avrò bisogno”), che andranno a caricare due batterie al litio installate sulle due murate interne. Queste serviranno per alimentare due GPS e il satellitare.
E i viveri? “Disporrò di cibi liofilizzati che ‘rivitalizzerò’ con l’acqua dolce, la quale mi sarà fornita da due dissalatori manuali e cuocerà su un fornello ad alcol basculante. Inoltre, avrò tutte le dotazioni di emergenza previste dalla legge”. Il motore? “Assolutamente no, non lo voglio a bordo della mia Star!”.
Ma è nel rivestimento interno dello scafo la novità. “Idea dell’ingegner Bertolotto. Utilizzare una sorta di scheletro di bottiglie di plastica, piene d’aria. In caso di urti e criticità, abbiamo avuto modo di sperimentare, costituiscono un ottimo ammortizzatore”.
OJALA II – ONE TONNER
Una delle “chicche” da non perdere al TAG Heuer VelaFestival è Ojalà II, un elegante One Tonner disegnato nel 1972 da Sparkman & Stephens e costruito nel 1973 in alluminio, in Olanda, dal Cantiere Royal Huisman.
Un baldo ragazzo inglese viene paracadutato sulle colline emiliane durante la seconda guerra mondiale. Non andrà mai più via dall’Italia, dove metterà su famiglia e fonderà una delle più note società italiane che gli permetterà di realizzare il sogno della vita: avere una barca a vela e crescere la figlia e un gruppo di giovani che, ancora oggi, rimasti amici dopo trent’anni, regata sulla sua Ojalà II tenendo vivo il suo ricordo. A raccontare questa fantastica storia è Michele Frova, imprenditore milanese di 56 anni, che su Ojalà II ci è salito per la prima volta in Grecia nel 1988 e non è mai più sceso, diventandone la memoria storica. “Charles Holland, futuro papà della mia amica d’infanzia Susan, era un esperto di telefonia e di radiofonia”, inizia Frova. “Nel 1942 fu lanciato con il paracadute vicino a Sassuolo, con il compito di tenere i contatti tra i partigiani e le forze alleate. Giovane e intelligente, finita la guerra decise di rimanere in Italia, a Milano, dove si innamorò di una ragazza della buona borghesia (Anna Maria Formiggini, ndr) che sposò nel 1950”. Ricco di idee, nell’Italia che si rialza nel dopoguerra, Charles Holland fonda una piccola ditta di apparecchi acustici per i sordi: la famosa Amplifon, della quale oggi sua moglie è presidente e la figlia vice presidente. Il successo dell’azienda è tale che, qualche anno dopo, può permettersi di commissionare al prestigioso Studio Sparkman&Stephens il progetto di un 10 metri, poi costruito in legno da Carlini di Rimini. “Charles aveva amici spagnoli e argentini ai quali aveva confessato il sogno di possedere un giorno una barca a vela. Questi, per gioco, lo stuzzicavano: ‘Allora, te la fai la barca a vela?”. E lui gli rispondeva: ‘Ojalà!’, che in spagnolo significa “magari!’”, racconta Frova. Quell’espressione fu scelta per il nome della sua prima barca, che poi trasferì, facendola diventare un “marchio di fabbrica” nel mondo dello yachting, sulla seconda imbarcazione: infatti, volendo realizzare una barca più grande, nel 1972 commissionò sempre a S&S un One Tonner (battezzato appunto Ojalà II). “La barca fu varata nel 1973, costruita in Olanda da Royal Huisman, cantiere leader in scafi di alluminio, che oggi non fabbrica più nulla al di sotto dei 40 metri”.
UMIAK – SANGERMANI
Umiak è il nome inuit per una canoa con pagaia a pala singola più tozza del più noto kajak usato dagli uomini per la caccia e la pesca.Dalle forme morbide e capienti l’ umiak era la barca “delle donne” in cui si trasportavano gli oggetti della casa e i bambini, un’ imbarcazione tranquilla che affrontava il mare senza sfidarlo, fatta per proteggere il tesoro più prezioso: la famiglia. Così, anche se Cesare Sangermani Jr racconta un’ altra storia sull’ origine del nome legato alla poppa “norvegese” del ketch bermudiano uscito dai suoi cantieri nel 1954 , non si può evitare di pensare che questo splendido motorsailer di 15 metri abbia in sé un po’ dell’ anima profonda dell’ antica canoa inuit: femminilità,dolcezza,senso di protezione,coraggio e il gusto, anzi il lusso, della lentezza. “E’ la poppa la vera caratteristica di Umiak ci spiega Cesare Sangermani jr figlio di “quel” Cesare Sangermani che è stato progettista e costruttore di eccezionali barche in legno dal dopoguerra sino agli anni ’70 che segnò la storia del Yachting italiano di qualità: “Una poppa affilata, quella dell’ “Umiak” , quasi come una prua, fatta apposta per prendere bene il mare con andature portanti senza imbarcare e senza che la barca si traversi. Questo “Ketch”, ci racconta ancora Sangermani,” è nato come motorsailer , un tipo di barca che all’ epoca non esisteva nel mediterraneo dove c’era chi andava a vela e chi a motore e si guardava bene di stendere tela al vento. Nessuno, negli anni ’50, pensava di usare la barca a vela per crociere o lunghi trasferimenti a motore”. Nell’ East Coast degli Usa invece il motorsailer era una realtà, in Florida , nei Keys, barche a vela con motori potenti fungevano da seconda casa, “camper sull’ acqua”, un’ idea che aveva preso piede in Nordeuropa.
JADERA – MUSAP
Ci sarà anche Jadera, costruita in casa dal maestro d’ascia Musap nel 1968, seguendo i piani di costruzione del Dragone con una piccola modifica della tuga che ne fa una barca unica.
Completamente in legno, dotata di 3 giochi di vele, permette di apprendere, su di una barca classica, la tecnica moderna della vela. La barca ha sempre navigato in Liguria e fatto base presso lo Yacht Club Italiano di Genova, dove nel 2007 è stato realizzato un nuovo albero in legno di spruce. Nel 2012 è stata rilevata dall’associazione spezzina Vela Tradizionale, già armatrice della goletta Pandora, per essere sottoposta a restauro. Tra i lavori eseguiti dal suo comandante Luca Buffo con la collaborazione del Circolo Velico La Spezia, dove Jadera fa base, la revisione del fasciame in larice e dell’ossatura e bagli in mogano, la rimozione del propulsore entrobordo e il rifacimento della coperta con filarotti di douglas, posati su un sottile strato di compensato marino e ricoperti con olio protettivo donato da International Paint.
LONA II
Questo cutter aurico rappresenta l’eleganza anglosassone in tutta la sua essenza. Lona II è stata progettata nel 1905 dall’architetto inglese Paine Clark e costruita dal cantiere William King and Sons. Negli anni Sessanta, per un certo periodo, navigò con armo bermudiano, prima di ritornare all’originale configurazione di cutter aurico, grazie ai lavori di restauro condotti negli anni Settanta e Ottanta. Nel 1991 fu poi acquistata dall’architetto inglese Richard Meynell, nelle cui mani è rimasta fino al 2005, quando è stata acquistata da Maurizio Manzoli che l’ha riportata in Mediterraneo. Tra i primi proprietari vi fu anche Michael Barne, luogotenente di Robert Falcon Scott, che nel 1902 raggiunse l’Antartide a bordo della Discovery. Lona II durante la seconda guerra mondiale si salvò perché venne nascosta in una palude nell’Essex.
RABBIT
La barca che portò alla ribalta Dick Carter e rivoluzionò l’epoca RORC. Nel 1965 una piccola barca stupisce il mondo dello yachting, vincendo in assoluto la mitica regata del Fastnet. La barca si chiama Rabbit. E’ lunga poco più di dieci metri, l’ha progettata un “amateur designer” statunitense di trentasette anni pressoché sconosciuto: Dick Carter. Nessuno aveva mai progettato una barca così: una forma di scafo con le appendici affusolate e un baglio massimo posto a centro barca molto pronunciato: 3,15 metri in poco più di 10 di lunghezza. Il suo biografo, Sandy Weld, riferisce che, non appena varata la barca, Carter abbia espresso il suo sorpreso compiacimento per il fatto che galleggiasse “proprio come una barca”. Acquistata da poco dai nuovi armatori, ad ottobre 2017 entrerà in cantiere per un restauro che la porterà ai fasti del 1965.
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