Il senso di Vasco per la vela: il velista più vincente d’Italia tra altura e monotipi
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Vasco Vascotto (due volte Velista dell’Anno, nel 2000 e nel 2006), con quel nome che ti rimane in testa, è una vera e propria macchina da regata. Forte, fortissimo: triestino (nato a Muggia), classe 1969, è assieme a Tommaso Chieffi, l’italiano che in assoluto ha vinto di più nella storia della vela. Più di 25 titoli mondiali, una miriade di vittorie di campionati italiani ed europei, al punto che lui stesso non riesce a ricordarli tutti. Il 25mo titolo iridato lo ha ottenuto con il TP52 Azzurra (da tattico): il circuito dei TP52 resta il suo programma top tra i tanti attualmente in essere.
Signore e signori, questo è Vasco Vascotto, uno dei velisti più titolati tra altura e monotipi. Dai J24 ai Farr 40, dagli RC44 ai Soto 40, passando per ORC, ILC30 e IMS, ha vinto tutto. Anche l’Admiral’s Cup del 1999, due bronzi ai Campionati Mondiali Isaf, cinque Giri d’Italia a Vela. Nel 2007 è stato lo skipper di Mascalzone Latino nella 32ma America’s Cup. L’unico suo rimpianto? Ce lo racconta lui stesso in questa recente intervista che vi riproponiamo.
VASCO VASCOTTO, LA NOSTRA INTERVISTA
Tra tutti i tuoi trionfi, qual è quello a cui sei più legato?
Sempre l’ultimo perché non ho mai memoria dei precedenti! Il Mondiale appena vinto con Azzurra lo ritengo speciale, per il livello della flotta e per aver trionfato con la barca simbolo sportivo dello YCCS. Il merito è di tutto il team, questo tipo di vela è uno sport di squadra. Senza validi compagni e armatori appassionati non sarebbe arrivato il venticinquesimo titolo: forse neanche il primo! Ricordo con piacere anche il titolo iridato J24 nel 1999, uno dei monotipi tuttora più diffusi sul quale hanno vinto tanti miei avversari. Infine, il primo amore: nel 1992 a Chioggia vinsi il primo titolo mondiale assoluto Quarter Ton su Jonathan VI, assieme agli amici Michele Paoletti e Andrea Favretto. Un equipaggio triestino di quella “leva” che ha ben raccolto il testimone della precedente generazione di velisti della mia città.
Una generazione che ti ha insegnato molto…
Mauro Pelaschier, Roberto Bertocchi, mio padre. Sono stati loro i miei primi “idoli”. Sono nato a Muggia, il 10 ottobre 1969, pochi giorni prima della prima Barcolana (un caso?). Ho iniziato ad andare in barca a sei anni, sugli Optimist: mai e poi mai avrei pensato, agli esordi, di far diventare questa mia passione una professione.
Sei uno sportivo. Al di fuori della vela, quale atleta ammiri di più?
Valentino Rossi, un grande campione i cui risultati parlano da soli e un punto di riferimento nella gestione della propria immagine e della comunicazione.
In barca usi soltanto il cervello o ti affidi anche all’istinto?
Il cervello fa la maggior parte del lavoro, è una sorta di computer che immagazzina, elabora, confronta le informazioni che mi arrivano dallo stratega, dal navigatore, dal timoniere e da quello che vedo coi miei occhi. Certo, a volte anche il “cuore” fa la sua parte. Mi trovo bene, ad esempio, con la squadra di Azzurra, un team “latino” e festaiolo. Ai Mondiali di Puerto Portals una giornalista russa ci ha chiesto come mai, dopo la vittoria del titolo iridato, esultassimo come bambini, un top team dovrebbe essere abituato alle vittorie importanti. Le abbiamo risposto che siamo fatti così, ed esultiamo anche per molto meno!
Sei stato su Mascalzone nel 2007. Rifaresti la Coppa?
Non sui multiscafi, non mi piace la nuova filosofia che regola l’America’s Cup. La velocità ha preso il sopravvento ed è cambiato il modo di concepire la tattica di regata. Un modo che non sento mio. Speriamo si ritorni ai monoscafi. Al più presto, aggiungerei, perché ho 46 anni e il tempo stringe. Se mi capitasse ancora una volta questa opportunità, credo che sfrutterei al massimo l’esperienza di Valencia per commettere meno errori possibili.
Niente foil e barche volanti per te in futuro?
Mai dire mai, in questo momento certo tipo di vela è più adatta ai giovani, sempre che non si disperda quella che è la “vela vera”, o se preferite vela vecchia, quella dove hanno un ruolo la tattica, la messa a punto ecc…
Hai abbandonato presto le classi olimpiche. Un rimpianto?
In effetti, un po’ mi spiace. Sui campi di regata d’altura e nei monotipi ho però avuto l’opportunità di confrontarmi con i più forti velisti olimpici e devo dire che me la sono sempre cavata egregiamente.
Ti vedresti bene in futuro come coach della squadra olimpica italiana?
Qualche consiglio utile potrei darlo anche adesso, in futuro probabilmente sì, mi interesserebbe, ma a determinate condizioni: uno staff valido a fianco e la libertà di prendere certe decisioni.
NEL 2000, PERCHE’ LO AVEVAMO PREMIATO
Tratto dal Giornale della Vela del Maggio 2000. Fino a qualche tempo fa si diceva che vinceva un campionato del mondo solo negli anni bisestili (il riferimento era chiaramente rivolto ai successi nella Quarter Ton Cup del 1992 e nel mondiale ILC 30 del 1996). Poi la tradizione è stata cancellata, fortunatamente per lui, dalla vittoria di almeno un titolo iridato ogni anno: quello ILC 25 nel 1997 el’ILC 30 nel ’98. Nel 1999, in un colpo solo, Vasco Vascotto (30 anni di Trieste) ha portato addirittura a sette il numero delle vittorie in campionati del mondo, aggiungendo quelle dell’ILC 30, del Sydney 40 e, senza dubbio la più importante tra tutte, quella del J 24. Con quest’ultima vittoria è diventato il terzo non statunitense a vincere u titolo iridato in questa classe (dopo Francesco De Angelis nel 1987 e l’australiano Bethwaite nell’81). Nel ’99 Vascotto ha partecipato anche all’Admiral’s Cup al timone del Sydney 40 Merit Cup, schierato dall’Europa, con il quale si è classificato secondo di squadra e primo di classe. A fine stagione ha timonato il nuovo Ceccarelli 50 Tutta trieste alla Bracolana di Trieste. In attesa di conoscere il programma del Team Merit Cup Pro, tenterà ora di selezionarsi per Sydney 2000 con la Star.
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